In difesa della baracca carlofortina [di Annalisa Diaz]

baracca

E’ da circa cinquantanni che trascorro l’estate nella splendida Isola di San Pietro, che amo tantissimo, abitata da  donne e uomini  molto orgogliosi delle loro tradizioni, della loro lingua, dei loro canti, del loro cibo, ma non altrettanto attenti alle modifiche del territorio.

Quasi tutti i carlofortini hanno posseduto, e alcuni possiedono ancora, una casa in paese e una in campagna dove si trasferiscono per la vendemmia, per preparare le marmellate e il sugo dei pomidoro da conservare in bottiglia.

La classica casa di campagna è la baracca, immersa nella macchia mediterranea, tradizionalmente in pietra, dipinta di bianco calce, con porte e finestre dolor verde o azzurro. Un modulo ripetibile che ha caratterizzato l’entroterra dell’Isola.

Da molti anni molte baracche sono state messe in vendita  e i turisti acquirenti hanno potuto abbatterle per costruire villette e villone  non compatibili con l’assetto del territorio. E questo perché è mancato un intervento urbanistico che vincolasse la tipologia edilizia tradizionale come è avvenuto ad esempio in Puglia per i trulli o a Pantelleria per il dammuso, modificabili solo all’interno senza possibilità di cambiare la struttura esterna.

Perdere la memoria abitativa  significa perdere una parte delle proprie radici  e sarebbe opportuno intervenire per arrestare questa deriva.

 

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