La lunga marcia della sostenibilità urbanistica (di Alan Batzella)

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Alla fine degli anni ’70, in risposta alla crisi di quegli anni,  con il testo “Urbanistica e austerità“ (Feltrinelli, 1978)” Giuseppe Campos Venuti interveniva contro lo sperpero, l’inefficienza e il disordine che il regime immobiliare aveva comportato nella politica della casa, delle città, del territorio e dell’ambiente.

Per uscire dalla degradazione dello sviluppo urbano e territoriale con lucida analisi politica prima che tecnico-professionale, contrapponeva all’austerità dei padroni un’austerità popolare, così sintetizzata: “non una generica riduzione dei consumi ma la limitazione di quelli improduttivi e parassitari, allargando quelli produttivi e sociali”.

Da allora è cominciata la “lunga marcia della sostenibilità urbanistica in Italia” dalla riduzione all’indispensabile delle espansioni private al contenimento delle densità eccessive, dalla conquista degli standard di spazi pubblici alla tutela delle aree agricole “per la produzione alimentare e la difesa ambientale”, dall’attenzione al paesaggio alla introduzione “del verde indispensabile ad assorbire l’anidride carbonica emessa dalle nuove auto nei percorsi urbani”, dall’approvazione dei primi Piani paesaggistici, fino al recepimento delle norme europee per la qualità energetica degli edifici.

Questi elementi necessitano di trovare la giusta collocazione nella non più rimandabile nuova legge urbanistica per la Sardegna, ad integrazione della “Legge Cogodi“, oggi carente di necessarie modalità della pianificazione territoriale e urbanistica, ormai presenti, anche se applicate con diverse fortune, nelle leggi di tutte le altre Regioni italiane. Temi irrinunciabili, oltre alla conservazione del paesaggio, costituenti la “cassetta degli attrezzi” di una legge fondata sulla sostenibilità devono consistere in particolare:

  • nel rafforzamento del carattere non-conformativo delle previsioni di trasformazione dei piani strutturali e del carattere attuativo dei piani operativi (da non sovradimensionare e con scadenza della edificabilità non utilizzata nel quinquennio); quindi, non solo articolazione in due fasi della pianificazione comunale, ma anche differenziazione degli strumenti di pianificazione in considerazione della diversa dimensione demografica e del rango territoriale dei singoli Comuni;
  • gestione attiva e non solo “regolativa” degli interventi sui tessuti esistenti,
  • compensazione edificatoria e perequazione urbanistica” finalizzate al contenimento della rendita ed al suo recupero in favore della città pubblica.

La nuova attrezzatura tecnico-amministrativa può contribuire a sostenere i Comuni nel contrasto alla rendita fondiaria che resta la causa di fondo della crisi urbana e ambientale, strettamente integrate alla crisi economica, entrambe legate a scelte fondamentalmente improduttive, fra cui va rimarcato il ruolo assunto da una certa visione tutta finanziaria e immobiliarista del turismo che continua ad aggredire le nostre coste.

Sostenibilità urbana e perequazione. Lo sviluppo sostenibile è da tutti ormai considerato come la prospettiva generale nella quale affrontare i nodi irrisolti delle città e del territorio. Ma, oltre al vincolismo preventivo sui beni paesaggistici e identitari, occorre identificare nuovi e più idonei strumenti per poterlo realizzare concretamente.

La perequazione e la complementare compensazione appaiono utili strumenti in tal senso. Per l’attuazione di un piano urbanistico sostenibile, inteso in senso ecologico ma anche sociale ed economico/finanziario, diventano essenziali le capacità gestionali degli enti locali, che non possono essere lasciate alla pura iniziativa di alcuni Comuni virtuosi, ma vanno inseriti nella nuova legge urbanistica strumenti organizzativi (la cassetta degli attrezzi) idonei alla produzione – riproduzione del territorio urbanizzato e naturale.

Con la perequazione e la compensazione si perseguono non solo gli obiettivi della “socializzazione” del capitale fondiario e dell’efficienza delle trasformazioni ma, più in generale, gli obiettivi fondamentali della sostenibilità, e cioè l’efficienza economico-finanziaria, l’equità sociale, la tutela ecologica.

Le procedure della gestione del territorio per realizzarsi necessitano del capitale umano e sociale, cioè di specifiche capacità professionali, ma anche di fiducia (da parte degli amministratori e dei cittadini). Non bisogna sottovalutare che oltre a idonei “strumenti tecnico-giuridici“, l’innovazione di cui c’è bisogno per ridurre la crisi che investe le città, le aree costiere e i territori interni è soprattutto quella istituzionale/organizzativa.

Perequazione e compensazione garantiscono la tutela ecologica perchè subordinano le trasformazioni territoriali, coerentemente con indici ecologicamente compatibili e con la classificazione dei suoli il cui riferimento fondamentale resta il Piano paesaggistico, alla cessione di aree al governo locale da destinare a verde pubblico, ai servizi pubblici, alla formazione di un demanio per l’edilizia sociale.

L’obiettivo dell’equità può in tal modo perseguirsi perchè così si tende all’indifferenza della proprietà immobiliare nelle scelte di piano, con una più realistica possibilità di un controllo dei benefici e dei costi delle scelte di uso del territorio. Si realizza in tal modo l’efficienza per la pubblica amministrazione, che può avvicinarsi alla predisposizione di bilanci in pareggio, in un contesto di strutturale carenza di risorse pubbliche disponibili e di crisi finanziaria per lo più diffusa, perchè azzera i costi espropriativi e riduce i costi urbanizzativi.

Con l’applicazione congiunta della perequazione urbanistica e della compensazione edificatoria si introduce uno strumento di attuazione del piano urbanistico per la sostenibilità che avvia nuove regole atte a risolvere il conflitto tra interessi individuali e interessi generali. Esso aiuta l’attività urbanistica a liberarsi dalle mille pressioni distorcenti della rendita, dalle difficoltà finanziarie collegate ai meccanismi di espropriazione ed alla mancanza di risorse sufficienti per realizzare nelle aree di trasformazione il verde, le attrezzature ed i servizi, e per poter generalmente rispondere alle richieste di abitazioni a basso costo.

Il piano urbanistico limita la quantità di suolo che si può liberamente utilizzare per varie funzioni, identificando le specifiche regole che ne disciplinano l’uso nell’interesse generale, a danno di alcuni soggetti e a vantaggio di altri. Se il piano consente la trasformabilità di un’area, con la perequazione si prevede che questa edificabilità vada “scambiata” con opere di urbanizzazione, ovvero con la cessione di aree per realizzare gli standard, ovvero con l’assunzione dei costi urbanizzativi. Mentre nelle aree urbanizzate i costi di esproprio per la realizzazione dei servizi con la compensazione vengono sostituiti dalla cessione di “crediti edificatori” da delocalizzare in aree di trasformazione e unire quindi ai locali criteri perequativi.

Con questi nuovi strumenti i benefici immobiliari privati sono bilanciati da un corrispondente beneficio sociale netto, sotto forma appunto di beni pubblici acquisiti, di aliquote di beni privati ceduti, ecc..

Va precisato che i meccanismi della perequazione/compensazione sono complessi, tant’è che ogni Regione che li ha introdotti nella propria legislazione ha adottato procedure e meccanismi idonei alle caratteristiche locali, e non sempre il risultato è stato particolarmente efficiente. La loro introduzione in legge va quindi adeguatamente definita ed esplicitata, non possono insomma essere gettati là quasi fossero assiomi evidenti di per se stessi, che non hanno bisogno di essere dimostrati o discussi o semplicemente spiegati.

La perequazione e la compensazione sono strumenti “raffinati“, il contesto istituzionale in cui si vanno a collocare ha un ruolo determinante e, in tal senso, ai Comuni va in primo luogo restituita e addirittura potenziata la totale e primaria potestà di gestire il proprio territorio, potestà su cui si fonda anche la fiducia tra cittadini e istituzione.

Affinchè lo sviluppo sostenibile sia realizzato è poi indispensabile che si riesca a costruire il consenso dal basso; occorre in particolare costruire il consenso sullo stesso sistema perequativo. A questo proposito appare evidente che si tratta di una questione non solo tecnica ma anche e culturale e politica, di difficile comprensione soprattutto per chi considera imprescindibile la coincidenza tra diritto di proprietà e diritto di edificare.

*Architetto- Relatore al Seminario “Materiali per un’urbanistica sostenibile”- Pattada 28 Agosto 2017

 

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