Western all’italiana [di Franco Masala]

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Sicuramente fa un certo effetto vedere sul palcoscenico minatori rudi e rissosi commuoversi al pensiero della mamma lontana, oppure una partita a poker truffaldina; o ancora una lettura sui generis della Bibbia e una coppia di pellirosse che si esprime con i verbi all’infinito come nella (peggiore) tradizione. Sono tutte scene riguardanti la febbre dell’oro californiana di metà Ottocento, inserite nella Fanciulla del West di Giacomo Puccini, ora rappresentata nel Teatro Lirico di Cagliari.

La prima parte dell’opera ha un andamento corale, equamente distribuito tra minatori e personaggi più o meno loschi, che creano un’atmosfera “americana” preparando l’avvio delle vicende dei tre protagonisti: Minnie, la proprietaria dello spaccio del campo, pronta a destreggiarsi tra uomini e avventurieri ma sentimentale e in attesa dell’eroe di turno; Rance, lo sceriffo ambiguo, già biscazziere e sposato ma disposto a usare modi da stalker per convincere la ragazza alle sue brame; il sedicente Dick Johnson, “bandito da strada”, sognatore, a dispetto di tutto, di una via di redenzione fino a portarsi via Minnie in un happy end da western hollywoodiano ante litteram.

Rappresentata per la prima volta nel 1910 al Metropolitan di New York,  la settima opera di Puccini ebbe un successo mediatico di notevole respiro all’apice della fama ormai planetaria del compositore lucchese. Se il verismo permane nel trattamento della rude vicenda e in certi momenti di una vocalità aspra e riguardante soprattutto il soprano e il tenore, la raffinatissima orchestrazione conduce immediatamente ad una musica che dimostra di conoscere le più aggiornate esperienze dei Viennesi o dei Francesi, culminanti nel valzer del primo atto (fatto di una spirale di note che diventano sempre più lente e rarefatte) e nel finale dello stesso atto, affidato quasi completamente all’orchestra.

La Fanciulla manca delle arie del Puccini più noto, lontana come è dalla tradizionale opera a pezzi chiusi: è opportuno, allora, abbandonarsi al flusso continuo della musica che scorre sulla base di una straordinaria attenzione ai singoli strumenti e agli impasti timbrici che valgono a perdonare anche il finale lieto reboante e sicuramente strappacuore.

La scarsa popolarità della Fanciulla è testimoniata anche dalle poche produzioni cagliaritane, peraltro  distanziate di parecchi decenni: dalla prima Minnie nel 1915 con una Carmen Melis all’apice delle sue possibilità drammatiche (ma ben lontane da quella “voce d’usignolo” che qualche sprovveduto di oggi le attribuisce) si passa al 1923 con Bernardo De Muro e a quelle del 1949 e del 1985.

Poco, evidentemente così da giustificare pienamente (e finalmente) l’abbandono della ridda di Bohème, Tosca e Turandot che ci ha accompagnato negli ultimi anni, per un Puccini meno noto ma degno di grandissima attenzione e proiettato verso quel rinnovamento che troverà esiti, purtroppo incompiuti, nel suo capolavoro estremo. Appunto Turandot che La Fanciulla del West anticipa soprattutto nel coro che si fa personaggio, e nella preziosità strumentale.

Coprodotta con la New York City Opera e l’Opera Carolina di Charlotte (USA) e con il Teatro del Giglio di Lucca, la nuova edizione cagliaritana poggia sulla robusta bacchetta di Donato Renzetti, attento a valorizzare il denso tessuto orchestrale e a non prevaricare sulle voci.

Dei tre protagonisti Marcello Giordani, quale Johnson, riesce appassionato vocalmente pure se sarebbe opportuna qualche dolcezza in più in una parte che non è solo irruenza ma anche sentimento; Roberto Frontali tratteggia il suo personaggio (Rance) con una sicura vocalità mentre dispiace che il ruolo di Minnie veda Svetla Vassileva quasi fuori parte, mettendo a dura prova una voce che rivela difficoltà nel salire verso le non poche note impervie.

Nelle numerosissime parti di fianco sono in evidenza soprattutto Giovanni Guagliardo (Sonora), Federico Cavarzan (nel doppio ruolo di Larkens e di Billy l’indiano)  e, nel cameo del cantastorie Jake Wallace, Francesco Leone mentre nell’unico, brevissimo ruolo femminile, protagonista a parte, si disimpegna egregiamente Martina Serra (Wowkle).

La messinscena, affidata interamente a Ivan Stefanutti anche per scene e costumi, si sviluppa in modo quasi cinematografico con l’ausilio di filmati ora indovinati, ora meno riusciti, e ha il pregio della fedeltà al tempo e ai luoghi senza tentare inutili anacronismi. Sono interessanti i costumi variegati della folla dei minatori che riempie spesso il palcoscenico, mentre è certamente meno riuscita la scena del secondo atto laddove la “graziosa stanzetta” di Minnie diventa una sorta di piazza d’armi, poco funzionale alla plausibilità dell’azione.

Pubblico numeroso, più rarefatto dopo la fine del secondo atto. E se gli si propinasse Wagner, cosa succederebbe?

*Foto di Priamo Tolu ©

**Teatro Lirico di Cagliari  La fanciulla del West opera in tre atti libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini, dal dramma The Girl of the Golden West di David Belasco musica di Giacomo Puccini

venerdì 20 ottobre, ore 20.30 – turno A; sabato 21 ottobre, ore 19 – turno G

domenica 22 ottobre, ore 17 – turno D; martedì 24 ottobre, ore 20.30 – turno F

mercoledì 25 ottobre, ore 20.30 – turno B; venerdì 27 ottobre, ore 20.30 – turno C

sabato 28 ottobre, ore 17 – turno I; domenica 29 ottobre, ore 17 – turno E

Le recite per le scuole, edizione “ridotta” dell’opera della durata complessiva di 75 minuti circa, sono: martedì 24 ottobre alle 11, giovedì 26 ottobre alle 17 (speciale famiglie) e venerdì 27 ottobre alle 11.

 

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