Breve cronaca dei due livelli di percezione e di gestione del paesaggio in Sardegna [di Giuseppe Biggio]

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E’ sintomatico del nostro tempo come certi temi di interesse collettivo, come il paesaggio e l’ambiente, sentiti fortemente da tutti e tutelati dalla nostra Costituzione, possano essere plasmati e piegati agli interessi personali di pochi. Forse la stretta connessione che lega l’urbanistica al paesaggio contribuisce a deviare l’attenzione sulle singole azioni/trasformazioni di valenza locale, tipiche dei portatori di interessi economici di parte.

A partire dalla legge Bottai (1939) in Italia ed ancor più in Sardegna, assistiamo in principio ad un’alternanza di disposizioni normative abbastanza diradate nel tempo sui temi urbanistici e su quelli paesaggistici, al punto che gli addetti ai lavori costituiscono una piccola élite di specialisti.

Ma saranno gli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80, che con la dotazione del primo strumento urbanistico generale per ciascuno dei 377 comuni della Sardegna, caratterizzeranno la diffusione di una coscienza urbanistica anche oltre le categorie professionali direttamente interessate.

Un contributo non trascurabile alla diffusione del tema urbanistico verrà dato per un verso dalla prima legge sul condono edilizio (L. 47/1985), per altro verso dalla crescente pressione immobiliare che raggiunge punte di particolare rilievo nelle zone turistiche dell’intero arco costiero della nostra isola. E’ in questi anni che alla diffusione della materia urbanistica si accompagna una diffusione tecnica spesso molto riduttiva, di preferenza della quantità (volumi edificabili) a discapito della qualità architettonica. Ma questo era lo scotto da pagare per poter sviluppare una diffusa coscienza urbanistico-sociale ed una legalità coi primi strumenti urbanistici comunali.

Intanto il tema paesaggistico veniva relegato ad un personalissimo giudizio panoramico dei funzionari addetti alla sua tutela. Il comune cittadino sardo non si è accorto che nel 2000 è stata approvata la Convenzione Europea del Paesaggio e che nel 2004 è stato emanato il Codice del Paesaggio.

Malgrado tutto si percepisce sempre molto chiaramente che la “tutela del paesaggio” costituisce un assioma che nessuno mette in dubbio, ma di cui, altrettanto chiaramente, nessuno vuole discutere. Gli stessi concetti di paesaggio, di beni artistici e storici richiamati dalla Costituzione italiana, assumono dei significati di intangibilità, tanto più rispettati quanto più obliati. La tutela del paesaggio ed il rispetto dell’ambiente, riconosciuti come valori di valenza universale, vengono insegnati ai più piccoli come elementi essenziali di una buona educazione e basi portanti di un senso civico che dovrà ulteriormente svilupparsi col tempo.

Si avverte un’aura di impalpabilità e di sacralità che costituisce il migliore alibi collettivo affinché il paesaggio venga arginato in un angolo recondito senza che possa interferire in alcun modo concreto con le trasformazioni del territorio, che nel frattempo sono rimaste di esclusiva competenza della materia urbanistica.

In materia di paesaggio si sono creati in sostanza due livelli, due piani non comunicanti: uno alto, quasi etereo e universalmente riconosciuto, ma irraggiungibile, che non interloquisce col mondo reale; l’altro invece alla portata di tutti, oggetto di trattative, di compravendite e tavolo di contrattazione per le disfide politiche a tutti i livelli, un livello che rappresenta la realtà pratica, dove si dà voce alle iniziative capaci di promettere posti di lavoro e sviluppo di aree depresse.

Questo rapporto squilibrato tra le due anime che agiscono sulle trasformazioni del territorio si è scontrato improvvisamente con l’entrata in vigore del Piano Paesaggistico Regionale della Sardegna, che inaspettatamente ha ricondotto i termini del confronto sullo stesso livello, costringendo l’intera popolazione (tecnici, professionisti, amministratori pubblici e semplici cittadini) a dibattere sul paesaggio, su come questo viene vissuto, come viene percepito, come può essere trasformato senza essere sacrificato sull’altare dell’interesse particolaristico.

Ha rappresentato un brusco risveglio ed un severo richiamo alle coscienze che da troppo tempo erano avvezze alle proposte più oscene in cambio di un arricchimento effimero e fasullo.

In questa cornice di funzioni e di rapporti si è trovata la Regione Autonoma della Sardegna, madre del PPR, che si è posta l’obiettivo di costruire dal basso una presa di coscienza sui temi del paesaggio. E’ con questo fine che fu pensato di ideare una nutrita serie di iniziative volte alla formazione e alla divulgazione non tanto e non solo delle finalità enunciate e perseguite dal PPR, ma soprattutto dei principi insiti nel concetto stesso di paesaggio, al fine di formare una popolazione conscia e responsabile delle proprie scelte, in grado di valutare l’unicità e l’irripetibilità del proprio paesaggio davanti a proposte di trasformazione non sempre compatibili.

L’azione reazionaria della Giunta Cappellacci non è stata capace di demolire il PPR, che ha così dimostrato di avere una solida impalcatura tecnico-giuridica, e l’azione dell’attuale Giunta di centrosinistra incespica nelle sue scelte politiche di applicazione/gestione del PPR e di impostazione della legge urbanistica. Troppo spesso nella verifica di conformità dei PUC al PPR, ci si dimentica che quest’ultimo, attraverso i suoi “indirizzi”, ha tracciato una visione di paesaggio futuro che benché non rigorosamente vincolante, non può essere totalmente disattesa.

La diffusa prassi degli uffici regionali di limitare la verifica di conformità alle sole “prescrizioni” del PPR, certamente ne verifica la legittimità, ma, se non vengono confrontati anche gli indirizzi del PPR con la proposta di PUC, la coerenza del piano comunale col piano regionale non è sufficiente. Attraverso queste disattenzioni si vengono a creare degli spiragli di pericoloso e progressivo allontanamento dalla visione di Sardegna che il PPR ha così abilmente tracciato.

Non molto diverso si delinea lo scontro istituzionale sul caso Eurallumina, dove il Ministero (Mibact) applica gli indirizzi del PPR, orientati al recupero ambientale e alle bonifiche dei siti inquinati, mentre l’attuale Giunta di centrosinistra si concentra solo sulla salvaguardia dei posti di lavoro.

A nulla valgono i numerosi danni ambientali che hanno martoriato questo territorio per decenni; non viene rivista criticamente la scelta politica del polo industriale incentrato sulla produzione di allumina, in aperto contrasto con le vocazioni turistiche di tutti i comuni limitrofi; non viene cercata una soluzione condivisa con la popolazione locale sulle terre gravate da usi civici. L’allontanamento dagli indirizzi del PPR, crea soltanto maggiori difficoltà di condivisione e partecipazione dell’opinione pubblica.

A distanza di oltre dieci anni dall’approvazione del PPR la coscienza popolare sul paesaggio e sull’ambiente, si è davvero assai  sviluppata più di quanto una parte del PD possa pensare. Pertanto non deve meravigliare se alle iniziative sulla nuova legge urbanistica, volte fra l’altro a derogare ancora una volta sull’edificabilità nella fascia dei 300 metri dalla battigia, si sollevano più voci di protesta, a livello locale e nazionale, con riscontri. Importantissimi tra tanti amministratori locali.

Oramai questi temi non sono più appannaggio di un’elite di tecnici o di politici, ma finalmente sono argomenti alla portata delle masse che, adeguatamente coinvolte come sta di fatto accadendo,, costituiscono i veri protagonisti del futuro sviluppo del proprio territorio.

* Già Direttore del Servizio della Pianificazione della Regione Autonoma della Sardegna

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