Tap, gasdotto che divide [di Diego Motta]

gas

Avvenire, 18 gennaio 2018. Gli otto chilometri «più lunghi del mondo » iniziano in località San Basilio, nel Comune di Melendugno, e arrivano alla Masseria del Capitano. Siamo in Salento, nel cantiere più discusso d’Italia, il ‘cantiere No Tap’ recita beffardamente una scritta all’ingresso dell’area presidiata da militari e forze dell’ordine.

Gli otto chilometri non si vedranno a occhio nudo, perché saranno interamente realizzati sotto terra; per adesso, a vigilare sul progetto ci sono 40 persone tra ingegneri e operai e il cuore delle operazioni è rappresentato dalle attività di scavo del pozzo di spinta del microtunnel, che procederà in direzione del mare. A mezzo chilometro da qui c’è la spiaggia di San Foca, un piccolo gioiello difeso a spada tratta da ambientalisti e abitanti del posto.

L’impressione è che nei prossimi due anni (il traguardo per il completamento dell’opera è fissato nel primo trimestre 2020) il consorzio di imprese nato con l’obiettivo di portare nel nostro Paese il gas proveniente dall’Azerbaigian, attraverso Georgia, Turchia, Grecia e Albania, dovrà sudarsela, la realizzazione dell’opera. Conquistarsela metro dopo metro, giorno dopo giorno, superando veti, denunce e qualche intimidazione. Troppo alta è l’ostilità della comunità locale, sedimentata in anni di lotte ed equivoci, troppo evidente la distanza tra le parti, troppo diversa la prospettiva in cui due mondi paralleli si muovono.

Nelle stesse ore in cui la squadra guidata dall’ingegnere Gabriele Lanza, project manager di Tap per l’Italia, coordina gru, camion e macchine per il movimento terra, un gruppo di sindaci concorda a pochi chilometri di distanza, nel centro di Lizzanello, le contromosse per bloccare tutto. «Il mare e la spiaggia di San Foca sono il nostro presente e saranno il nostro futuro. Cosa diremmo sennò ai nostri figli? Che abbiamo tradito la terra in cui siamo cresciuti noi da piccoli?», dice il primo cittadino Fulvio Pedone.

Con lui ci sono tra gli altri Marco Potì, sindaco di Melendugno, e Fabio Tarantino, che guida il Comune di Martano, da sempre in prima linea nel fronte ‘no Tap’. L’alleato dell’ultim’ora (anche se il corteggiamento dura da tempo) si chiama Michele Emiliano, governatore della Puglia, con cui «si è deciso di fare un pezzo di strada insieme», in nome della totale contrarietà al gasdotto.

I terreni di battaglia sono tanti e tali da far risultare impossibile qualsiasi mediazione, si parli di impatto ambientale o di sicurezza, di condivisione delle scelte con la popolazione, di investimenti e possibili compensazioni per il territorio. La vera contesa adesso è sulla normativa Seveso: va applicato o no all’impianto che sorgerà il protocollo di regole sul rischio di incidente rilevante? Tap dice di no, partendo da una serie di sentenze della magistratura favorevoli all’azienda, e ricordando che la questione riguarda «un impianto di ricezione e misurazione fiscale» del gas immesso, non assoggettabile a criteri di pericolosità. Non un conglomerato industriale, non una piccola Porto Marghera, per intenderci.

Va valutata la qualità dell’impianto, secondo il consorzio, non la quantità di gas che in esso transiterà, come vorrebbero invece i detrattori, secondo cui la differenza potrà essere fatta dai numeri: oltre le 50 tonnellate la direttiva Seveso entra in vigore e Tap ha dichiarato che a regime il quantitativo di metano trattato si fermerà a quota 48,6. Cosa succederebbe, si chiedono però i comitati, se nel computo finale dovesse rientrare anche l’impianto interconnesso della Snam, cui toccherà in un secondo momento collegare il gasdotto con la rete nazionale di distribuzione, a partire da Brindisi? La magistratura si sta muovendo e una decisione è attesa a giorni.

Si torna sempre lì, ai progetti non condivisi un decennio fa e ora culminati in una battaglia d’opinione senza quartiere. «Continuiamo a lavorare sulla base di un progetto con minimo impatto ambientale, che potrà portare benefici anche al Salento» spiega il country manager di Tap, Michele Mario Elia. «Il Salento non è in vendita» rispondono i primi cittadini, che pure devono fare i conti con uno schieramento meno coeso e più frammentato di quando in 94 firmarono un appello a Mattarella.

«Vogliono scaricare su di noi le responsabilità sulla salute pubblica legate all’opera, ma sanno benissimo che basta un’autorizzazione mancata perché tutto si fermi. Nel frattempo con noi scendono in piazza insegnanti, commercianti, preti, famiglie, giovani».

In realtà, mentre i lavori nel cantiere procedono secondo la tabella di marcia, il territorio è convinto di avere un asso nella manica: il voto del 4 marzo, con la possibile sconfitta del Pd e dell’attuale maggioranza di governo. Il centrodestra e la strana coppia Cinque Stelle-Liberi e Uguali (che qui vuol dire soprattutto Massimo D’Alema) stanno catturando facili consensi tra i ‘no Tap’.

«A Lecce noi sindaci abbiamo detto che sfideremo chiunque si candiderà a rappresentarci a Roma, a dire pubblicamente cosa pensa dell’opera». L’azienda per ora osserva con distacco: il traguardo più importante, al momento, è un altro. È lontano ‘solo’ otto chilometri.

Lascia un commento