A Sassari torna la goliardia [di Cristiana Serra]

GOLIARDIA

Gaudeamus igitur iuvenes dum sumus/Post iucundam iuventutem/post molestam senectutem/nos habebit humus! I trent’anni della goliardia sassarese festeggiati con uno spettacolo irresistibilmente irriverente.Il sipario si apre su una scenografia – a dir poco – evocativa. Grandi colonne di forma fallica sorreggono la reggia di Culinto. Un cartello ci avvisa che siamo nell’anno 69 dopo Cristo.

Al Teatro Verdi di Sassari, per la prima volta al di fuori dai circuiti universitari e goliardici, è andata in scena Ifigonia in Culide, opera satirica ispirata ai grandi classici del teatro greco.L’occasione è quella del trentennale dell’AGT, Associazione Goliardica Turritana, nata dalle ceneri della gloriosa ATU (Associazione Turritana Universitaria) che riuniva i goliardi sassaresi fino all’inizio degli anni ’80. L’associazione ha voluto coinvolgere nelle sue celebrazioni oltre all’Università anche il Conservatorio di musica e l’Accademia delle Belle Arti di Sassari, che hanno contribuito rispettivamente con l’orchestra (diretta da Francesco Milito), la realizzazione delle scenografie e dei costumi. La regia è stata affidata all’attore Daniele Monachella.

La scelta di questa operetta satirica è stata coraggiosa e quasi “rivoluzionaria”. Ifigonia è stata scritta nel 1928 da Hertz de Benedetti, all’epoca studente di medicina e divenuto successivamente – ma il suo interesse per l’argomento era francamente già evidente – uno stimato urologo. Per anni, almeno fino alla grande rivoluzione sessuale del ’68, il testo è circolato clandestinamente fra gli studenti di tutta Italia attraverso copie dattiloscritte. L’opera ha così subito diversi rimaneggiamenti (ad ogni rappresentazione si aggiungeva qualche nuovo spunto satirico) ed il suo autore è rimasto sconosciuto fino al 1975 quando il De Benedetti, ormai tranquillo pensionato, lo riconobbe ufficialmente come proprio. Le prime stampe risalgono al 1969 (data che riporta alla mente strane assonanze col contenuto del testo) mentre nel 1970 viene pubblicata come allegato ad una rivista erotica a pubblico esclusivamente maschile.

Si tratta di un poemetto goliardico in tre atti, caratterizzato da esplicite allusioni sessuali e da termini scurrili, utilizzate in quantità talmente massiccia che l’effetto di ilarità è assicurato.  La struttura è quella della tragedia greca, ed il titolo richiama infatti la Ifigenia in Aulide, ma in realtà la trama è ispirata a quella della Turandot pucciniana (che a sua volta riprendeva una fiaba teatrale settecentesca di Carlo Gozi). La bella principessa Ifigonia, interpretata dalla brava Bianca Lay, ormai insofferente al suo stato di verginità forzata, chiede a suo padre Re di Culinto (un Carlo Valle straordinariamente in forma) di trovarle al più presto un marito che ponga finalmente fine al suo strazio. Il gran sacerdote di corte (il notevolissimo Francesco Masala) suggerisce di far prendere parte ad un indovinello i pretendenti che si presenteranno. Il vincitore avrà diritto a sposare la bella e smaniosa Ifigonia.

Fra i quattro pretendenti, tutti caratterizzati da straordinarie “doti” virili, la spunterà un Principe che viene dal lontano Giappone, tale Spiro Kito (il cui nome ha una chiara assonanza con “spirochaetes”, l’agente patogeno della sifilide), superando così i suoi rivali Allah Ben Dhur, Don Peder Asta e Uccellone conte di Belmanico. La gioia per il matrimonio però si tramuterà ben presto in delusione per la povera Ifigonia, perché il suo consorte le ha tenuto nascosto di aver subito un grave e piuttosto inusuale “incidente” che lo ha privato per sempre delle gioie coniugali. Pazza di rabbia per il destino avverso, la giovane sposa si vendica col suo nobile padre, colpevole di essere complice di un destino tanto crudele, evirandolo e, sempre in preda alla follia, si suicida.

Il testo del De Benedetti è stato inframezzato da canti classici della goliardia e la serata è stata chiusa con il Gaudeamus Igitur, l’inno internazionale della goliardia, in onore del nuovo Pontefice appena insediato che, per la prima volta, è una donna. Fin troppo facile indovinate come viene appellata dai goliardi.

One Comment

  1. max

    sopratutto si scrive con tre “t” no co quattro

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