Sui principi su cui si deve fondare una legge urbanistica o di governo del territorio [di Alan Batzella]

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Una legge che davvero voglia essere di Governo del territorio in quanto disciplina della pianificazione, tutela e recupero del territorio, deve  assicurare:

  • un sistema di programmazione e pianificazione territoriale efficace, efficiente, orientato allo sviluppo sostenibile, capace di garantirne l’integrità fisica e culturale ed i suoi tratti identificativi e di contribuire al miglioramento della qualità della vita;
  • un uso appropriato delle risorse ambientali, naturali, territoriali e storico culturali, tramite la pianificazione paesaggistica;
  • la disciplina – e rimodulazione – delle competenze esercitate ai diversi livelli istituzionali, al fine di collegare i diversi strumenti di pianificazione e valorizzazione territoriale;
  • la cooperazione tra Regione ed enti territoriali e la concertazione con le forze economiche, sociali, culturali, professionali e con tutti gli altri soggetti portatori di interessi di rango generale, collettivo o diffuso, alla tutela e corretta gestione del territorio;
  • la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la trasparenza dei processi decisionali;
  • la partecipazione dei cittadini alle scelte che riguardano la qualità dello sviluppo e l’uso delle risorse ambientali.

La Legge dovrebbe quindi individuare prevalentemente nella sostenibilità, ambientale e sociale, nella sussidiarietà e nella partecipazione i principi in cui deve trovare radicamento ed ispirazione il nuovo modello di pianificazione e programmazione del territorio regionale.

Sostenibilità. L’ingresso del tema della sostenibilità all’interno della governance territoriale impone una lettura a diverse scale di un territorio e, con essa, l’integrazione tra i percorsi di programmazione e pianificazione che lo interessano, il coordinamento tra gli enti competenti, il superamento dei problemi legati ai rapporti con la pianificazione di settore, la valorizzazione del ruolo della pianificazione attuativa.

Il progressivo influsso delle politiche ambientali è manifestato anche dalla acquisizione all’interno della pianificazione di modelli conoscitivi e valutativi imperniati sulla accuratezza e completezza dei quadri conoscitivi e su indicatori di performance, introdotti dalla gran parte delle leggi delle altre regioni che ne hanno fatto ampia applicazione nei nuovi strumenti di piano, in particolare in funzione delle valutazioni di coerenza e compatibilità. I temi dell’ambiente, del paesaggio, della sostenibilità devono essere ampiamente recepiti anche nella Legge di governo del territorio della Sardegna, assegnando alla sostenibilità il ruolo di “principio generale” che sorregga l’intero sistema di programmazione e pianificazione regionale e le scelte pianificatorie degli enti territoriali.

Sussidiarietà. Il principio, declinato in materia urbanistica, privilegia il modello di pianificazione dal basso verso l’alto, ribaltando il meccanismo della pianificazione a cascata, per assegnare le competenze in materia al Comune in quanto ente che maggiormente è in grado di governare il territorio e gli effetti derivanti dalle scelte di piano.

La moltiplicazione dei centri decisionali e delle politiche settoriali ha determinato il progressivo superamento del canone di gerarchia tra livelli istituzionali a beneficio dei principi di concertazione e cooperazione tra enti, che affida l’efficacia delle scelte di governance territoriale principalmente alla loro condivisione ed alla assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti investiti per legge delle relative funzioni.

In tale contesto, il Comune è chiamato a svolgere un ruolo da protagonista del processo di mobilitazione e coordinamento degli altri attori istituzionali e nella costruzione di un programma di sviluppo condiviso attraverso la definizione delle priorità e la verifica della compatibilità con le politiche urbanistiche delle proposte provenienti dei portatori di interessi, in nome di un uso equilibrato del territorio, del riordino di infrastrutture logistiche e delle reti in termini di sostenibilità ambientale, della valorizzazione del capitale sociale ed economico.

L’autonomia pianificatoria a scala locale va raccordata in un contesto organico di area vasta, individuato nel livello provinciale. Il superamento della pianificazione a cascata si avvera attraverso l’attribuzione di un ruolo specifico a ciascuno dei tre livelli di pianificazione regionale, provinciale e comunale, la cui sfera di competenza è definita in relazione alla dimensione dei rispettivi impatti sul territorio.

Partecipazione. Contemplato già dalla legge urbanistica del ’42, seppur relegato alla fase successiva alla delibera di adozione del piano regolatore generale nella forma delle “Osservazioni“, l’istituto della partecipazione deve emanciparsi da quei limiti per acquisire un ruolo di primo piano nella costruzione delle politiche di piano, fin dalle prime fasi di redazione dello stesso.

E’ innegabile, difatti, che se lo spazio urbano riguarda essenzialmente l’organizzazione degli ambiti di vita e lavoro di chi lo occupa, le scelte che lo concernono non possono non essere condivise dai suoi abitanti. E’ altrettanto ovvio, tuttavia, come la costruzione ‘dal basso’ delle strategie di governo del territorio – congiuntamente al principio di sussidiarietà – corra il rischio di attestarsi a mero esercizio stilistico ove non assuma valore di metodo e di strumento di coesione, crescita sociale e di sviluppo.

Per vanificare tale pericolo è necessario perseguire il reale coinvolgimento di tutti i soggetti portatori di interessi nei processi decisionali, riconosce concretamente il diritto dei cittadini a partecipare alle decisioni assunte e ad accedere alle informazioni in materia ambientale, nell’intento tanto di integrare il percorso informativo ed acquisitivo utile per la redazione dei quadri conoscitivi quanto di esplicitare l’iter decisionale, i suoi presupposti, gli obiettivi da raggiungere, senza dimenticare che la logica della decisione condivisa richiama sempre anche quella della responsabilità condivisa.

Per assicurare effettività a tale percorso è necessario che l’informazione sia trasparente, diffusa, articolata ma anche permanente, slegata dalla contingenza del singolo atto.

Si tratta di attivare pratiche che segnano il passaggio dalla dimensione ‘statica, monolivello, del piano, focalizzata sulla disciplina di vincoli e zone, ad una dimensione ‘dinamica’, in cui prevale la visione dei percorsi sociali, economici, culturali che intersecano un territorio e dei suoi obiettivi di sviluppo, ma anche la ricerca di nuove strategie di intervento.

L’informazione, la consultazione, il coinvolgimento dei diversi portatori di interessi nelle politiche di governance territoriale devono pertanto percorrere tutto l’apparato di strumenti di piano e di programmazione urbanistica, così confermando come la partecipazione sia lo strumento principale per veicolare i temi della sostenibilità e della corretta allocazione delle risorse e per favorire la reale incidenza nel processo decisionale di tutti i protagonisti dello spazio urbano e territoriale, attraverso un percorso chiaro, trasparente e condiviso.

L’efficacia di tale processo è demandata alla capacità delle Amministrazioni di leggere correttamente il territorio; ascoltare esigenze e bisogni; valorizzare i diversi interessi in gioco; sollecitare lo scambio di risorse e competenze; coinvolgere i portatori di interesse a tutti i livelli nel processo di anamnesi, diagnosi e monitoraggio delle soluzioni adottate; in poche parole, di capovolgere i paradigmi dell’urbanistica classica per confrontarsi con una nuova visione della città e del territorio.

Sulla necessità di una nuova legge urbanistica regionale. E’ ricorrente l’affermazione che una nuova Legge urbanistica sia urgente e quindi la sua immediata approvazione sia inderogabile. Tutte le persone che si occupano in vario modo di urbanistica hanno sempre manifestato la necessità che la 45/89 dovesse essere aggiornata, adeguandola a nuove necessità scaturite dai cambiamenti che hanno attraversato la società negli ultimi venti/trent’anni.

Gli argomenti veri però, sui quali si evita di discutere seriamente, superando l’apoditticità di questa urgenza sono:

– quali parti della legge esistente necessitano di un radicale superamento?

– quali nuovi istituti in termini di equità urge che vengano inseriti nel testo?

– qual’è il modello di sviluppo, a cui uno strumento puramente applicativo come una Legge urbanistica deve agganciarsi?

Se questi nodi non vanno prioritariamente sciolti, è perfettamente inutile stare a discutere articolo per articolo, barattando come al mercato delle vacche la cancellazione di un articolo o l’inserimento di un altro, con un’ottica finalizzata esclusivamente a calibrare percentuali di consenso. La nuova legge urbanistica è necessaria e urgente, ma non se ci si limita a far credere che il suo fine prioritario sia far partire automaticamente il settore dell’edilizia inteso come volano dell’economia.

Diversamente è meglio tenersi la legge esistente, decisamente migliore di quella proposta pur con tutte le sue conclamate insufficienze, nell’attesa di produrne una che effettivamente risponda alle esigenze della Sardegna, e non insegua esclusivamente interessi particolari non rappresentativi delle reali necessità dei Sardi e dei loro territori.

Punti base di una proposta alternativa al ddl della Giunta Pigliaru. La nozione di Governo del territorio, in seguito alla Riforma costituzionale del 2001, ha sostituito quella precedente di urbanistica, ma, contrariamente a tale rivoluzione, forma e contenuti del DdL n. 409 “Disciplina generale per il governo del territorio” (che richiama nel titolo il governo del territorio), approvato il 16 marzo del 2017 dalla giunta Pigliaru, appaiono solo un cambio di denominazione dell’ambito urbanistico, non occupandosi del sistema di funzioni relativo al territorio nelle sue interrelazioni.

Forma della Legge: Poichè il governo del territorio si fonda concretamente sull’integrazione delle competenze politiche, giuridiche, amministrative, scientifiche e comprende la materia urbanistica, l’edilizia, le opere pubbliche, la difesa del suolo, la prevenzione dei disastri ambientali (PAI), la cura degli interessi pubblici, esso risulta funzionale allo sviluppo economico, all’uso e trasformazione dell’abitato con particolare riferimento al patrimonio e agli spazi pubblici, all’organizzazione della mobilità, della viabilità e dei servizi.

La materia pertanto non può limitarsi ad un Testo unico e un Allegato tecnico ancora incardinati alla vecchia concezione di urbanistica – tale è il DdL Pigliaru – ma deve essere regolamentata da una Legge quadro ovvero da un sistema normativo composto da un testo base sull’urbanistica e da una serie di procedimenti complementari (Atti di indirizzo e coordinamento) da aggiornare sistematicamente da parte della Regione.

La cornice di riferimento imprescindibile è il Piano Paesaggistico Regionale, modello di sviluppo coerente con le risorse naturali e ambientali dell’isola che, esteso all’intero territorio della Sardegna, con la Legge quadro e gli Atti di indirizzo e coordinamento deve costituire il nucleo dell’organizzazione unitaria delle discipline che regolano tutela, uso e governo del territorio. Ogni altra legge di qualsiasi genere che in qualche modo introduca norme comunque incidenti sulle trasformazioni territoriali, deve preventivamente essere sottoposta a verifica di coerenza con quanto sopra, nè può autonomamente modificarlo.

Procedure di verifica e approvazione degli strumenti urbanistici: vengono raggruppate, in accordo con il ddl della Giunta, ma ridotte di numero e nei tempi ed estese a VAS e Vinca (Valutazione ambientale strategica e Verifica di incidenza) nelle Conferenze impropriamente denominate “di copianificazione” con gli Organismi di verifica obbligati ad esprimere il proprio parere definitivo, da emanarsi entro trenta giorni, dopo di che -dove non diversamente stabilito da leggi nazionali- interviene il silenzio assenso.

Va da se che gli Organismi di verifica, ad eccezione di Regione e Province che in forza del Titolo V della Costituzione sono esse stesse soggetti della pianificazione al pari del Comune, non devono entrare nel merito delle scelte pianificatorie comunali ma devono limitarsi a vigilare sul rispetto dei vincoli e prescrizioni sopraordinate di loro esclusiva competenza.

Suddivisione della Pianificazione in due livelli, strutturale ed operativo: il Piano monolivello tradizionale, come riproposto dalla Giunta, stabilisce il “dove” e “come” effettuare le trasformazioni, ma ignora il “quando“; con i due livelli da noi proposti, ormai generalizzati in tutte le leggi delle altre Regioni, si separano le scelte strategiche di lungo periodo, invarianti, dai programmi di intervento di breve e medio termine legati ai fabbisogni più immediati; a loro volta i livelli e le procedure sono semplificati per i Comuni con popolazione inferiore a 4000 abitanti, dove il Piano strutturale va redatto in forma associata con i Comuni contermini, mentre il Piano operativo mantiene la dimensione locale.

Riproporre la pianificazione “monolivello” significa eludere nei fatti il concetto stesso di Governo del territorio, restringendo ancora una volta le prospettive della legge all’ambito proprio dell’urbanistica.

Pianificazione generale e preliminare esclusivamente pubblica: nella fase di costruzione dei Piani, espressamente nelle consultazioni relative alla Valutazione ambientale strategica (VAS), i privati cooperano con i Comuni presentando loro proposte sulle aree di trasformazione, successivamente devono limitarsi a farlo solo in risposta ad Avvisi pubblici di manifestazioni d’interesse proposti dal Comune o in seguito all’attivazione di “Programmi complessi”.

Che si trovino modalità nuove di partecipazione dei privati alla realizzazione e costruzione della città può essere utile e indispensabile, tuttavia non devono essere gli interessi privati a dettare le regole, i tempi, le necessità, il dove, il come, ma piuttosto sia l’Ente locale a governare, a costituire cioè guida e progetto, non si riduca ad essere un recipiente che accoglie ogni proposta.

Diversamente, per proposte di una certa dimensione economica e sociale lo strumento attuativo può essere esclusivamente quello legislativo o dell’Accordo di programma, rimodulato ad hoc per superare tutte le incongruenze della precedente formulazione, fermo restando che la Legislazione nazionale negli anni ‘90 si è “arricchita” di un elenco di cosiddetti “programmi complessi” atti a promuovere, sollecitare, migliorare gli interventi sul territorio, con l’obiettivo di migliorare le performance progettuali delle amministrazioni locali, la loro capacità di collaborare tra di loro e con i privati.

A puro titolo esemplificativo, e senza nessuna pretesa di essere esaustivi, si elencano i principali “programmi complessi” predisposti a livello nazionale, assolutamente operativi anche in Sardegna: Programmi integrati; Programmi integrati di intervento;Programmi di recupero urbano; Programmi di riqualificazione urbana; Contratti d’area; Contratti di quartiere; Patto territoriale; Programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio.

In ogni caso i Comuni devono restare i principali protagonisti della pianificazione dei loro territori, e non esserne espropriati in nome di una burocrazia presentata come una inderogabile necessità, finalizzata invece all’accentramento nelle mani della Regione.

Superamento totale del Piano casa: l’intensificazione degli indici volumetrici nelle zone di Completamento può avvenire solo in base a corretti criteri di pianificazione urbanistica e non più legata ad esigenze puntuali e puramente individuali, garantendo preliminarmente l’equilibrio tra urbanizzazioni e edifici e rispettando le previsioni inderogabili di insediabilità del Comune elaborate in fase di redazione dello strumento urbanistico generale.

Edificabilità turistica: con la ridefinizione dei contenuti di tutte le zone territoriali omogenee (di cui all’Allegato A), operata sulla falsariga delle Linee guida del Piano paesaggistico regionale, viene superato lo stesso concetto di zona “turistica”.

Si prevede la possibilità di realizzare solo ricettività alberghiera e paraalberghiera nelle ordinarie zone urbanistiche (centri storici, zone di completamento, zone di espansione residenziale, servizi generali) sulla base di dimensionamenti parametrati univocamente sulla consistenza e delicatezza delle risorse costiere e ambientali e sul loro grado di sostenibilità. Divieto assoluto quindi di realizzare nuove lottizzazioni per seconde case stagionali, autorizzazione alla trasformazione, senza premi di cubatura, di quelle esistenti in residenze alberghiere.

Restano come zone F, turistiche: le aree per il turismo mobile (campeggi, rifugi, stazioni di cambio per il turismo equestre), gli edifici delle zone minerarie e diversamente produttive dismessi, aree non adiacenti al territorio urbanizzato e non gravate da vincoli paesaggistici (esclusivamente oltre la fascia dei 300 metri dal mare) per la realizzazione di villaggi turistici (resort all-inclusive) nel rispetto comunque dei livelli di sostenibilità del territorio definita in fase di redazione del PUC.

Relativamente alla edificabilità turistica abbiamo cercato di ricondurre l’argomento negli ambiti propri del settore turistico e dei suoi servizi, svincolandolo da questioni puramente immobiliaristiche.

La dotazione alberghiera in Sardegna è costituita per oltre il 90% da strutture costruite prima del 1988, una parte non inconsistente di esse sono realizzate con caratteristiche non più adeguate alla domanda attuale, ma prevalentemente in termini di servizi e non certo di posti letto.

Le demolizioni e ricostruzioni e/o ristrutturazioni con incentivi volumetrici, secondo la nostra proposta, sono consentiti in misura minore da quanto previsto nel ddl della Giunta regionale (15% in luogo del 30%), ma soprattutto saranno condizionate alla previsione di interventi di riqualificazione che adeguino le strutture e soprattutto le tipologie esistenti a criteri di ricettività richiesti dal mercato –differenziati per target di fruitori– in grado di contribuire alla destagionalizzare dei flussi turistici, la cui attuale concentrazione è dovuta a ben altri problemi che non a carenza di posti letto.

Riqualificazione del territorio urbanizzato con interventi di demolizione e ricostruzione: oltre alla sostituzione di singoli edifici “non sostenibili strutturalmente, igienicamente, energeticamente e dal punto di vista della qualità architettonica“, vengono in particolare favoriti gli interventi di rinnovo urbano prevalentemente dell’edilizia realizzata nel secondo dopoguerra, interessanti uno o più isolati caratterizzati da scarsi livelli qualitativi e di dotazione di servizi essenziali.

Integrazione fra i criteri di perequazione e compensazione: attivazione di criteri di giustizia distributiva fra i proprietari dei suoli chiamati a usi urbani, socializzazione di porzioni della rendita fondiaria con la formazione, senza espropri e spese a carico del Comune, di un patrimonio pubblico di aree a servizio della collettività.

Pianificazione di area vasta: le facilitazioni e opportunità, anche in termini di sostegno economico, finora garantite alla sola Città metropolitana vengono estese alle tre Province statutarie e alla nuova Provincia del Sud Sardegna secondo la denominazione che prenderanno eventualmente in seguito. Si ribadisce che le Unioni dei Comuni non sono entità idonee a predisporre una pianificazione di livello sovracomunale, semmai esplicano la loro utilità nella gestione associata di servizi tecnologici, sociali e quant’altro ma niente di più.

Integrazione e potenziamento del Piano paesaggistico regionale: da strumento di fatto prevalentemente di tutela, esercitata con l’imposizione di vincoli basati sul “principio di precauzione”, se ne sollecita il completamento secondo il modello di sviluppo e i principi originariamente espressi e l’integrazione, dotandolo di strumenti di indirizzo e buona pratica progettuale, dando contenuto operativo alle azioni di recupero e riqualificazione e ai criteri di gestione e trasformazione in esso finora solo enunciati. Nella fase di approvazione della Legge sul governo del territorio il PPR va comunque preliminarmente esteso all’intero territorio regionale secondo l’elaborazione già predisposta da circa dieci anni e mai pubblicata. Le incongruenze e le inefficienze rilevate possono essere risolte successivamente e soprattutto efficientate con gli Atti di indirizzo e coordinamento.

Atti di indirizzo e coordinamento: costituiscono gli strumenti tecnici essenziali, a corredo della Legge, necessari per la sua pratica attuazione in tutti i settori che concorrono a definire il governo del territorio.

Sostenibilità energetica e ambientale degli edifici: fra gli Atti di indirizzo e coordinamento sono previste le Linee guida per gli interventi di architettura sostenibile e di bioedilizia atte a verificare le prestazioni di un edificio in riferimento non solo ai consumi e all’efficienza energetica, ma prendendo anche in considerazione il suo impatto sull’ambiente e sulla salute dell’uomo.

Introduzione di nuovi istituti e/o procedure, o revisione di quelli esistenti, atti a ottimizzare la gestione del territorio, quali:

  1. a) Conservatoria delle coste e del paesaggio;
  2. b) Banca della terra;
  3. c) Incentivi alla rapidità operativa;
  4. d) Uffici del piano e condotte urbanistiche;
  5. e) Comparti edificatori;
  6. f) Fondo per gli espropri per l’attivazione dell’intervento sostitutivo comunale in caso di inerzia nella formazione dei Piani attuativi.

Gestione organica delle aree rurali: rinvio della materia ad un preciso Atto di indirizzo e coordinamento da produrre in tempi stabiliti, che riconosca l’esistenza di situazioni socialmente e culturalmente molto diversificate nei diversi ambiti regionali dell’Isola.

Articolazione in sei classi dei Comuni: viene superato il precedente criterio che di fatto raggruppava i Comuni in due classi demografiche (formalmente quattro); tutte le disposizione relative alla pianificazione sono differenziate in considerazione della classe di appartenenza.

Superamento dei vincoli preordinati all’esproprio: il combinato disposto fra perequazione-compensazione e applicazione del nuovo sistema di individuazione delle zone da destinare a servizi, produrrà:

  1. a) il superamento di un numero impressionante di situazioni di terreni urbanisticamente necrotizzati da vincoli per servizi e mai espropriati,
  2. b) la restituzione di potenzialità edificatorie in diversi casi,
  3. c) il giusto compenso dei proprietari per le zone comunque da destinare a servizi con la moneta complementare costituita da crediti edificatori da utilizzare altrove o commercializzare liberamente,
  4. d) la possibilità per i comuni di costituire, senza esborsi, un ampio demanio di aree pubbliche per servizi e interventi di edilizia sociale.

Edilizia sociale:

  1. a) possibilità di abbattere notevolmente i costi per la sua realizzazione grazie all’eliminazione del costo del terreno con l’attivazione della compensazione edificatoria e realizzazione di un demanio di aree pubbliche;
  2. b) introduzione di regole e facilitazioni finanziare (accessibilità ai mutui) per l’autocostruzione familiare, da realizzarsi eventualmente anche su aree pubbliche con diritto di superficie;
  3. c) superamento della “ghettizzazione” indotta dalla rendita fondiaria grazie alla possibilità di realizzarla all’interno del territorio urbanizzato (centri storici e zone di completamento) come effetto indotto dall’applicazione della compensazione e del Piano dei servizi in applicazione dei nuovi parametri inseriti nell’allegato A.

Contenimento del consumo e dissipazione del suolo: la trasformabilità del territorio è subordinata a previsioni demografiche e di effettivo fabbisogno di lungo, medio e corto periodo, così come i volumi destinati alla ricettività turistica nei comuni costieri sono vincolati alla tollerabilità della costa rispetto al carico umano (secondo i criteri indicati nell’Allegato A).

Viene generalizzata nel territorio urbanizzato ed urbanizzabile, in funzione delle caratteristiche insediative specifiche, la possibilità di aumentare le densità edificatorie, stabilendo nuovi indici di fabbricabilità massimi e minimi. Gli incrementi volumetrici così consentiti vanno peraltro sempre strettamente rapportati alle dotazioni di servizi obbligatorie per le diverse zone, e la volumetria totale realizzabile nel territorio va in ogni caso inderogabilmente contenuta all’interno dei dimensionamenti sociodemografici posti alla base dei PUC .

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