Il nuovo potere dei sardi [di Maria Antonietta Mongiu]

FOTO IPP/TOMMASO BALESTRA - MILANO 22/10/2008 LEZIONE DI PROTESTA IN PIAZZA DUOMO DEGLI STUDENTI DELLA UNIVERSITA STATALE DI MILANO

L’Unione sarda 19 febbraio 2019. La città in pillole. Nella prospettiva della lunga durata oggi parrebbe di assistere ad un risorto sardinian power; una sarda energia che non proviene dai decisori politici ma da un irriducibile e carsico senso popolare. Giovanni Lilliu lo definiva nazionalitario.

Aggettivo che lasciava interdetti perché appariva regressivo e non piuttosto assai contemporaneo e interno al riconoscimento del vissuto antico della Sardegna. Mai mitopoietico: i suoi caratteri culturali, paesaggistici e ambientali smettevano così di essere alterità etnocentrica.

Quell’aggettivo si fonda infatti sul concetto di valore e di unitarietà identitaria delle variegate geografie dell’isola. Altro dall’idea vernacolare che ha afflitto, ad esempio, il mondo agropastorale che di sé ha oggi diversa percezione. Si riconosce mediatore tra passato e futuro che sopravvivrà se la contemporaneità, quel paesaggio, di cui la Sardegna è fulcro, lo saprà conservare e identificare i pastori quali suoi curatori.

Giornate decisive, come ha scritto in queste pagine Mario Sechi. Di fronte all’Europa infatti una rappresentazione che rifiuta di trasformare quell’antica cultura materiale in quinta scenica come accade oggi nel kitsch dei carnevali allestiti da improvvisati decisori.

Le significazioni della parola usata da Lilliu sono pertanto il vero cane da guardia contro le  politiche  disconoscitive della Sardegna reale, di cui oggi si sa molto. Perché allora stupirsi se in una scena canora nazionale un ragazzo, alto e bello, che in casa parla il sardo e in italiano ha l’accento milanese, rifugge da ogni connotazione etnica?

Altri suoi coetanei sono presenti nella stessa scena come lo sono negli stessi schermi i parenti pastori. Rappresentano la nostra contemporaneità più di altri. Saranno forse loro a ricomporre quell’io diviso nelle colline di Cabras quando le statue che chiamiamo giganti divennero disiecta membra.

Riunite testimoniano che gesti visionari sono possibili se si smette di specchiarci nello stigma di Cicerone che nel 54 a. C. difese Scauro, uno che truffò i Sardi derubandoli. Anche allora quelli che l’oratore definì mastrucati latrones partirono da Cagliari per fare clamore a Roma ma l’alibi razzista, che “I Sardi, che discendono dai Punici grazie a un incrocio di sangue africano, non sono stati condotti in Sardegna come normali coloni ivi stanziati, ma come il rifiuto di coloni di cui ci si sbarazza” oggi si scontra con un’esplicita e rinnovata autocoscienza. Si spera.

 

*FOTO TOMMASO BALESTRA – MILANO

 

One Comment

  1. nt

    «Si spera»?!… S’ispera tocat a dha coltivai marrendi, sudendi e imbrutendisí manus, ciorbedhu e língua puru e fraghendi acoment’e is pastoris cambiendi s’iscallamentu in fortza chi callat a ciorbedhu e a cumportamentus che a su lati cun su callu chi fait su casu.
    Políticus e is intelletualis feis ancora professioni de andicapaus avatu de totu is Ciceronis e Scaurus. Chi no fiat ca ia a passai coment’e maleducau ia a narri ca eis segau sa matza totus.

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