Salvini come Calenda, su Portovesme balle spaziali. Ma su Eurallumina e Sider Alloys c’è chi osa finalmente dire la verità: eccola [di Vito Biolchini]

aluminum

Come se fosse un Calenda qualsiasi, nei giorni scorsi il leader della Lega Matteo Salvini è andato a Portovesme e, indossato il giaccone da operaio di ordinanza, ha regalato a lavoratori e padroni le solite pillole di banalità sviluppista sul rapporto tra lavoro e ambiente: “L’industria serve, ma la Sardegna non può vivere solo di mare, bellezze e turismo, che è importante, ma un’industria che non inquina e rispetta il territorio”.

Come a Portovesme, ovviamente. Stupidaggini da campagna elettorale si dirà; ora però la neo giunta regionale sardo-leghista del presidente Christian Solinas dovrà fare i conti con la realtà.

Stiamo parlando del polo dell’alluminio, cioè di Eurallumina (chiusa da nove anni) e dell’ex Alcoa ora Syder Alloys (chiusa da cinque anni). I due stabilimenti insieme costituiscono una filiera. Eurallumina produce la materia prima (l’allumina) spaccando la bauxite, i cui residui vengono stoccati nei famigerati bacini dei fanghi rossi. L’allumina viene poi trasformata in alluminio tramite un procedimento complesso e onerosissimo dal punto di vista energetico. Basti pensare che l’Alcoa consumava da sola oltre il 20 per cento di tutta l’energia elettrica distribuita in Sardegna!

Il piano di rilancio dell’Eurallumina prevede l’innalzamento di oltre venti metri del bacino dei fanghi rossi. Una follia a cui si è sempre opposta la Soprintendenza paesaggistica, che da anni è nel mirino di un variegato schieramento che parte dai sindacati, tocca i partiti della sinistra e il Pd, passa per Forza Italia e arriva a Confindustria. Tutti insieme appassionatamente: sarebbe strano ovunque, ma non in Sardegna.

Finora pensavamo che gli unici oppositori al rilancio dell’Eurallumina fossero quei cattivoni della Soprintendenza, aizzati dai “soliti ambientalisti”. E invece venerdì scorso, proprio l’ultimo giorno della legislatura, ad appena 48 ore dall’apertura dei seggi, il colpo di scena: il piano di rilancio proposto da Eurallumina non ha convinto neanche l’assessorato regionale alla Sanità, scandalizzato dai dati presentati dalla proprietà, secondo cui la riapertura della fabbrica porterebbe nientemeno che ad una riduzione dei decessi nel territorio (avete capito bene).

Per la Rusal, proprietaria dell’Eurallumina, la riapertura dello stabilimento trasformerebbe Portovesme in una sorta di Abano Terme. Troppo per chiunque, anche per la giunta Pigliaru, che ha così negato l’ok alla valutazione di impatto ambientale. Ora, bando alle ciance: cosa farà la nuova giunta sardo-leghista di questo dossier? Se Eurallumina è una fabbrica morta spacciata per viva, lo stesso si può dire per l’ex Alcoa, la passione del Pd, di Pigliaru e di Calenda.

Negli ultimi undici anni e fino a poche settimane fa, a seguire al Ministero dello Sviluppo Economico il caso alluminio era Giampiero Castano. Un nome sconosciuto ai più, ma non ai redattori del sito Il Diario del Lavoro, che lo hanno intervistato al termine della sua esperienza al ministero. Castano ha tracciato il bilancio di diverse vertenze, alcune conclusasi positivamente, altre meno come la Fiat di Termini Imerese.

Sentite la risposta alla domanda “Altre esperienze non positive?” “Beh, sono rammaricato per la storia dello stabilimento ex Alcoa di Portovesme, in Sardegna. Temo che qui sia stato fatto un errore strategico. A fronte della volontà, chiaramente espressa dall’Alcoa, grande multinazionale Usa dell’alluminio, di chiudere lo smelter di Portovesme, non avremmo dovuto insistere per mantenere a tutti i costi una produzione di alluminio primario nel Sulcis”.

Avete capito? Ma Castano argomenta anche la sua posizione. “La tendenza industriale che si è delineata da tempo è quella di rinunciare alla produzione di alluminio primario in Europa. I nuovi smelter che vengono aperti, se vengono aperti, in altre parti del mondo, sono progettati per produrre da 500mila a un milione di tonnellate. Quello di Portovesme, nel migliore dei casi, non poteva andare oltre le 150mila tonnellate. Avremmo quindi fatto meglio a progettare un piano di rilancio dei territori interessati, investendo gli stessi soldi, che abbiamo comunque speso negli anni, per altri obiettivi”.

“Avremmo quindi fatto meglio a progettare un piano di rilancio dei territori interessati”. E perché?  “Ora il punto è che, come ho detto, Alcoa, che non aveva più interesse a questo suo stabilimento, non voleva cederlo, ma chiuderlo e smantellarlo definitivamente, per evitare qualsiasi successiva complicazione legale”.

E quindi? “Abbiamo lungamente tentato di trovare un successore che potesse essere abbastanza credibile agli occhi di Alcoa. Come si ricorderà, a un certo punto si palesò l’ipotesi di cedere lo stabilimento alla svizzera Glencore. Ma la cosa non andò in porto. È poi entrata in scena un’altra impresa svizzera, Sider Alloys. Purtroppo, però, a tutt’oggi non sono partiti neppure i lavori di ristrutturazione dell’impianto, peraltro assolutamente necessari. Insomma, si tratta di un’esperienza non positiva ma che, con opportune riflessioni, potrebbe offrirci qualche utile insegnamento”. “Potrebbe offrirci qualche utile insegnamento?”

Tipo ad esempio, che tutto il polo dell’alluminio di Portovesme prima chiude e viene riconvertito e meglio è?

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