Spagna al voto nell’incertezza [di Nicolò Migheli]

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Oggi si vota in Spagna per le elezioni generali. Premier di un governo di minoranza, il  socialista Pedro Sánchez, ha voluto anticiparle dopo che i deputati catalani si rifiutarono di votare la legge di bilancio. Nello stesso giorno a Madrid era cominciato il processo contro i leader indipendentisti catalani. Processo che prosegue con capi di imputazione non riconosciuti validi dalle magistrature di Belgio, Germania e Scozia  quando era stata richiesta l’estradizione dell’ex presidente della Generalitat Puigdemont e degli altri esuli politici.

La via giudiziaria per la soluzione dei problemi della Catalogna si sta dimostrando ardua, sulla Spagna pende l’accusa di essere un paese dell’Ue che ha prigionieri politici. In questi mesi vi è stata una radicalizzazione del conflitto che sta mettendo in crisi il patto costituzionale post franchista del 1978. Il cafè para todos, come venne definito l’accordo costituzionale non regge, ha bisogno di una grande riforma. Il giorno di Pasqua a Coripe (Sevilla) durante la  fiesta de la Quema del Judas, è stato bruciato un fantoccio che ritraeva Puigdemont descritto come esempio de lo negativo para la sociedad. Una tradizione antisemita aggiornata in chiave anticatalana.

Non è solo la questione territoriale, ma anche il flusso migratorio- più 165% rispetto al 2017- hanno comportato uno spostamento verso la destra radicale dell’elettorato spagnolo. Il Partido Popular, stravolto dagli scandali dell’era Rajoy, ha subito delle scissioni. È nato il partito di estrema destra Vox di Santiago Abascal, che con i popolari governa  l’Andalusia dopo decenni di potere del Psoe; i Ciudadanos di Albert Rivera si mostrano essere quel che sono: liberali in economia e molto conservatori nei valori. Vox dà voce a quei settori della destra spagnola che rimpiangono il franchismo e il clericalismo più retrivo. Sono dati in ascesa e potrebbero entrare in parlamento.

Si rompe così l’unicità spagnola, caratterizzata fino ad oggi dall’assenza di formazioni dell’ultra destra che avessero un consenso consistente.  l timore che si possa riproporre anche in Spagna una ricetta italiana non è infondato. Gli ultimi sondaggi fanno intendere che potrebbe non essere così. Secondo le rilevazioni pubblicate da Il País, a 9 giorni dalle elezioni, Il Psoe e Unidad Podemos potrebbero avere la maggioranza semplice di 134 seggi, l’assoluta è di 174. Mentre i partiti di destra cedono consensi.

Il PP potrebbe avere 72 seggi, Ciudadanos 52 e Vox 27. I partiti baschi Bildu e Pnv otterrebbero rispettivamente 4 e 5 seggi, i catalani di ERC 11 e J&C 5. Oriol Junqueras ex vicepresidente della Generalitat catalana, dalla prigione in cui è ristretto, ha dichiarato che l’ERC appoggerà un governo Sánchez, per impedire che governi la destra che di sicuro assumerebbe – è stato preannunciato in campagna elettorale dai loro esponenti- un politica neo centralista con lo svuotamento delle autonomie, l’imposizione del castigliano come lingua veicolare nelle scuole.

Tutte misure che riporterebbero la Spagna agli anni del franchismo. Un pericolo che potrebbe riaccendere il conflitto armato nei  Paesi Baschi; aggraverebbe la crisi catalana con una probabile sospensione dell’autonomia e l’applicazione dell’art. 155 della costituzione fino a che gli indipendentisti non verranno cancellati dal governo della Generalitat.

Pedro Sánchez viene da due anni di successi economici, la Spagna cresce con numeri ignoti nel resto d’Europa, ha superato la crisi del 2008, anche se la disoccupazione resta alta. Però più che l’economia è la questione territoriale a creare tensioni. Lo si è visto nel dibattito di Lunedì dell’Angelo trasmesso dalla TV pubblica.

L’incontro tra Casado del PP, Rivera dei Ciudadanos (Cs), Iglesias di Podemos e Sánchez – Abascal di Vox non era stato invitato perché non ne aveva diritto non avendo deputati nel parlamento uscente- nonostante siano stati toccati più temi, il convitato di pietra restava la Catalogna e le sue aspirazioni.

I giornalisti chiamati a valutare a caldo le performance dei leader convenivano che la comunicazione più efficace era stata quella di Rivera, che non a caso, aveva centrato gran parte del suo intervento sulla battaglia contro gli indipendentisti catalani.

Il leader di Cs ha polemizzato anche con Casado, suo concorrente diretto nei voti di destra, accusandolo degli scandali in cui sono caduti i popolari. Benché il martedì mattina seguente Sánchez si sia mostrato sicuro di vincere le elezioni, se non raggiungerà la maggioranza assoluta dovrà governare con catalani e baschi. Problemi strutturali che potrebbero essere risolti con una modifica costituzionale federalista che, per ora, pochi vogliono.  Se Psoe e Podemos il 28 dovessero vincere, sarebbe un segnale per l’Europa, mostrano che è possibile sconfiggere i nazionalismi degli Stati e che i migranti non sono più l’agenda dominante.

Restano i problemi territoriali, però solo un governo di centro sinistra con catalani e baschi potranno risolverli. L’affidabilità dei sondaggi è quella che è, i giochi sono fatti e questa sera sapremo.

 

 

 

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