Dai carri armati alla T-shirt [di Franco Masala]

Tiennamen

A trenta anni dal massacro di piazza Tienanmen cosa c’è di meglio per capire la Cina di oggi se non assistere attoniti ad un episodio di consumismo che mai avremmo pensato di vedere? È la corsa incontrollata dei giovani cinesi che in un centro commerciale dell’Hunan, provincia centro-meridionale, cercano di impossessarsi di t-shirt griffate e offerte a 13 euro.

Non guardano in faccia nessuno, perdono smartphone e non si curano di ritrovarli, vengono alle mani mentre tutto intorno l’obiettivo è uno solo: afferrare le magliette e poterle sfoggiare, dicendo “Io ce l’ho!”.

Se il mondo intero non fosse ormai globalizzato, ci si potrebbe stupire del cambiamento epocale che ha colpito il gigante cinese di oggi. Certo è comunque che la rivolta degli studenti del giugno 1989 in una Beijing blindata è cosa lontana. Lo sciopero della fame e della sete che gli studenti universitari cinesi protrassero per giorni fu represso con una forza inaudita nei confronti di un movimento che voleva ottenere riforme democratiche ed economiche e protestare contro un regime sempre più corrotto e inefficiente.

E abbiamo tutti negli occhi la fotografia divenuta simbolo della rivolta con il giovane sconosciuto che fermava   i carri armati ponendosi davanti ai mezzi blindati. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 l’esercito aprì il fuoco, facendo numerose vittime mai accertate. L’azione repressiva continuò ulteriormente, coinvolgendo anche i lavoratori e troncando, di fatto, ogni tentativo di rivolta.

In una Pechino che già cominciava a stravolgere il suo centro storico, fatto di case a un piano sovraffollate con servizi comuni, per cedere ai grattacieli, pronti a divenire alberghi lussuosi e centri di affari; in una Pechino dove vedevi soltanto fiumane di biciclette in movimento e folle immense che si riversavano nelle strade; in una Pechino ancora legata ad un’economia statalista, la rivolta studentesca fu il primo passo verso una trasformazione controllata che ha visto via via il dilagare di moltissimi cinesi in Europa (e l’Italia non è da meno) oltre che i presupposti di un’economia che ha invaso il mondo intero.

Che poi ancora oggi l’avvenimento sia un tabù in Cina è dimostrato dal controllo dei mezzi informatici con tecniche avanzatissime, dalla censura sui contenuti nel web, dalla impossibilità di ricordare e commemorare le vittime. Ne sapranno qualcosa i cacciatori di T-shirt?

*Fto AP Photo/Jeff Widener/LaPresse ©

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