Genti de Pauly, una comunità della Sardegna spagnola [di Nicolò Migheli]

Pauly

Non si può vivere senza conoscere la propria storia. Si sia popolo nomade o stanziale, il bisogno di conoscere da dove si viene è essenziale per collocarsi nel mondo. Lo è ancor di più per i sardi che hanno sentito da sempre di non averne, di essere una nazione negata, di non ritrovare, se non per brevi cenni, le proprie vicende nei testi che la scuola ha imposto.

Un’alimentazione scientifica dello sradicamento, del senso di inadeguatezza e della vergogna conseguente per non essere al pari degli altri. A volte non bastano i documenti oggettivi per raccontarsi, è l’occhio dello storico che fa la differenza. Noi fino ad ora abbiamo avuto narrazioni che nascevano a Madrid prima, a Torino e Roma poi e che l’Accademia locale non sempre ha confutato.

Una vicenda di lunga durata. Nel 1714 il cagliaritano e diplomatico del Regno di Spagna Vincente Bacallar Sanna, nel suo La Sardegna paraninfa della pace scriveva: […]La Sardegna non apparirebbe più come una specie di scoglio arido e deserto, come alcuni ignoranti hanno voluto descriverla fino ad ora […].

Noi abbiamo sempre avuto un problema con lo sguardo straniero, che quando andava male ci descriveva come popolo trinariciuto, incolto e poltrone, quando andava bene faceva di noi una sorta di riserva etnica di una Europa arcaica, da tenere in quello stato. Un’umanità bambina incapace di prendere in mano le redini delle proprie vicende, perennemente dipendente dai voleri e le concessioni dei dominatori di turno. Poi però il popolo negletto si ribella, frequenta gli archivi, impara le tecniche e le metodologie dell’analisi storica, con la scienza nutre e rafforza la propria coscienza.

Si spiega così il grande interesse per la Storia sia esso ricerca o romanzo. Una modalità di raccontarsi che non vuol essere auto-centrata ma che riporta le vicende dello scoglio arido e deserto, in quelle più vaste del consesso umano. Marco Sini è stato un dirigente regionale della CGIL, sindaco di Monserrato e presidente della sezione sarda dell’ANPI. Parallelamente ai suoi impegni pubblici ha alimentato con numerosi testi il suo interesse per la Storia che va da Monserrato alle vite dei partigiani sardi.

In anni di ricerche certosine ha scandagliato i Quinque libri, i registri ecclesiastici che registrano, nascita, battesimo, cresima, matrimonio e morte di ogni fedele presente in ogni parrocchia. Libri fondanti delle nostre comunità che incrociati con i testamenti riescono a descrivere il tempo, il potere e le proprietà nel loro mutevole andamento di generazione in generazione. Sini scopre che Pauly-Monserrato ha l’istituzione di quel registro in anni vicini al Concilio di Trento che ne stabilì l’obbligatorietà.

Però, secondo quel che scrive l’autore del libro, esisteva una qualche registrazione precedente al 1563; lo deduce dalla visita pastorale dell’arcivescovo di Cagliari Antonio Parragues de Castellejo, il quale rimprovera il parroco per il disordine in cui quei documenti vengono tenuti e per l’ignoranza del sacerdote che non conosce il latino e le preghiere.

Il vescovo si scandalizza che le confessioni avvenissero in Sardescho, tanto da pregare che Nostro Signore le accolga. Sono gli anni in cui il castigliano diventa non solo la lingua dell’impero, ma secondo alcuni teologi castiza, la sola lingua por hablar de Dios e con Dios. Genti de Pauly restituisce un quadro fedele di una comunità della Sardegna spagnola, della sua ricchezza e povertà; di come l’istituto matrimoniale fosse ancora poco praticato, bastava un fidanzamento e poi una benedizione sacerdotale in faci ‘e cresia.

Davanti a una chiesa. Solo dopo il Concilio di Trento diverrà l’istituto che noi conosciamo. Così come la grande povertà costringeva famiglie allargate a convivere nella stessa stanza. Locali che permettevano promiscuità allora accettate: suocere che dormivano con i generi, nuore con i suoceri, però condannate dalla Chiesa. Quel clero, peraltro, aveva molto da farsi perdonare, viveva nel concubinato e i figli alla morte del genitore, sovente esigevano l’eredità dei beni ecclesiastici. Basterebbero quelle pagine per confutare la teoria della famiglia mononucleare come istituzione naturale e non sociale come essa è.

Nel libro è poi possibile ricostruire i cognomi di Pauly-Monserrato, come siano cambiati non solo perché alcuni ceppi si sono estinti, ma anche le diverse grafie: sarda, catalana, castigliana ed infine italiana, rendono non semplice la lettura di una continuità delle generazioni.

Marco Sini afferma che questo libro è solo il primo di una ricerca. Noi non possiamo che auguraci che prosegua, sono materiali utili agli storici e si parva licet anche ai romanzieri.

*Marco Sini, Genti de Pauly, ed Aipsa, Cagliari, 2019. € 14,00

 

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