Turismo in Sardegna, quella visione “albergocentrica” ormai sconfessata dai dati e che rischia di confondere tutti [di Vito Biolchini]

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 Prime pagine dei nostri quotidiani di oggi: “Vacanze, andamento lento in Sardegna”, “Federalberghi, turisti meno 5 per cento, un’estate sull’orlo del flop”. Addirittura? Allora ci dobbiamo preoccupare? Sì, no, forse: boh. Ma probabilmente, a pensarci bene, fino a un certo punto.

Qualche settimana fa si sono tenuti a Cagliari i laboratori di Destinazione Cagliari. Nel corso di una due-giorni al Lazzaretto, numerosi esperti hanno spiegato in che direzione sta andando il turismo in città, nell’ambito di un progetto che punta a costituire anche nel capoluogo una Dmo (Destination Management Organization), una società mista pubblico-privata capace di impostare una valida strategia per rafforzare Cagliari come destinazione turistica.

Tra le tante relazioni, una mi ha colpito in particolar modo. L’ha illustrata Maurizio Battelli, presidente dell’associazione Extra che si occupa di extralberghiero, che ha portato all’attenzione dei presenti i dati su Cagliari di bed&breakfast, affittacamere, seconde case regolarmente registrate e di airbnb.

Sapete quanti posti letto alberghieri ci sono oggi in città? 2283. E sapete invece quanti sono i posti letto extralberghieri? Ben 5929: quasi il triplo. Incredibile, vero? E il numero è ovviamente destinato a crescere.

Ma questi ormai seimila posti letto extra, che giro di affari hanno generato? Sappiamo anche questo: tra aprile 2018 e marzo 2019, le strutture hanno fatturato oltre dodici milioni di euro.

Peraltro, come è emerso nel corso del dibattito, non è vero che l’extralberghiero toglie lavoro all’alberghiero (e infatti a Cagliari si stanno per aprire due nuovi hotel di lusso), ma è invece vero che l’asse del turismo si sta sportando dall’alberghiero all’extralberghiero. D’altra parte, chi di noi oggi decide la destinazione delle sue vacanze in base all’albergo? Da un territorio e da una città cerchiamo altro, e per l’alloggio un b&b, quasi sempre, va più che bene.

Il punto è che la nostra opinione pubblica si beve ancora ragionamenti che andavano bene trent’anni fa (“Il turismo va bene solo se gli alberghi vanno bene”), ma ormai è chiaro che le cose non stanno più così.

Nei dati diffusi alla stampa, Federalberghi conteggia come extralberghiero solo i 70 mila posti letto delle case vacanza e omette il dato sugli airbnb (oltre 31 mila), mentre segnala i 95 mila posti letto nei campeggi. Quindi a spanne, l’offerta alberghiera rappresenta solo un terzo di quella complessiva in Sardegna.

Dunque, se per il mese di agosto la metà dei posti letto negli alberghi è vuota, cosa si evince? Che vanno male gli hotel, non il turismo. E questo ce lo dicono i dati aeroportuali, che segnalano infatti una crescita costante degli arrivi negli scali isolani.

Ma dove finiscono allora tutti questi turisti che mancano all’appello? Vanno tutti nel 150 mila posti letto abusivi denunciati da Federalberghi? Ma se anche così fosse, è evidente che tra una seconda casa e un albergo c’è una certa differenza. Se anche tutte le seconde case si dovessero regolarizzare, accoglierebbero un tipo di turista che non vuole evidentemente andare in albergo.

Quindi è il prodotto albergo che non tira più come una volta, e di questo facciamo esperienza tutti noi quando decidiamo dove passare le nostre vacanze.

Conclusione: in Sardegna abbiamo una visione albergocentrica del turismo. Questa visione è sbagliata e soprattutto fuorviante: sia perché ci impedisce di pianificare correttamente il settore, sia perché per assecondare le richieste dei proprietari degli alberghi (la cui offerta sarà nel tempo sempre più ridimensionata), la politica pensa sempre di mettere mano agli strumenti di pianificazione urbanistica. Ricordate i motivi per cui la giunta Pigliaru voleva riaccendere le betoniere nella fascia dei 300 metri dal mare? Esatto: proprio per favorire gli alberghi.

Che però ormai non sono più sinonimo di turismo in Sardegna ma semplicemente di hotel. E scusate se è poco.

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