Socialismo o barbarie [di Giulia Caruso]

Loach

https://left.it/2019/08/16/socialismo-o-barbarie/16 Agosto 2019. «Socialismo o barbarie». È lapidario Ken Loach nell’esprimere la sua visione del futuro citando un leggendario slogan di Rosa Luxemburg. «Sembra un aut aut disperato, vero? Penso invece che oggi più che mai, non esista davvero un’altra via», rincara il grande regista britannico autore di pellicole indimenticabili come Land and freedom, Carla’s song e I, Daniel Blake. Abbiamo raccolto il suo messaggio che, forte e chiaro, indica nell’autodeterminazione dei popoli l’unica risposta possibile alla chiusura delle frontiere e all’avanzata del nazionalismo xenofobo.

Cosa la preoccupa di più, in questo momento? Sono preoccupato da tutto quello che accade a casa nostra come da quello che accade nel resto del mondo. Penso a quello che accade in Siria e alle terribili sofferenze che quelle popolazioni stanno attraversando. Penso allo sciagurato intervento del governo inglese in quei territori. Penso anche alla cacciata dei palestinesi dalle loro terre da parte degli israeliani e che le sofferenze per quei popoli sembrano eterne. Sono preoccupato da Trump per esempio. E soprattutto sono preoccupato per come sia difficile distinguere tra cosa è falso e cosa è vero.

La guerra che si combatte sul fronte delle “fake notizie” sembra non avere fine. Certo, penso alle manipolazioni della stampa inglese e alle sue bugie, alle accuse calunniose di antisemitismo che hanno colpito il Labour. Da quando Jeremy Corbyn ha ottenuto la leadership del partito grazie all’appoggio della gente e non grazie ai giochi in Parlamento, gli attacchi si susseguono senza sosta. È il classico gioco delle classi dominanti che quando si sentono minacciate nel loro esercizio del potere, cambiano le regole del gioco, spesso falsificando la realtà grazie al contributo dei media che sono nel loro libro paga, spesso ricoprendosi di ridicolo. Per esempio, se appoggi il popolo palestinese, allora non puoi che essere antisemita.

In tempi di Brexit, mentre assistiamo all’avanzata del nazionalismo xenofobo, alla chiusura delle frontiere, lei crede ancora nell’attualità dell’internazionalismo e della solidarietà? L’internazionalismo è da sempre un fondamentale valore della sinistra. Un valore per cui ci siamo battuti in passato e per cui ci batteremo in futuro. L’internazionalismo è valido oggi e lo sarà sempre. Soprattutto oggi, in un mondo globalizzato, i problemi e i bisogni della working class sono simili. In Uk come in Spagna, come in Italia. E anche in Corea.

Perché? Perché tutti i lavoratori si trovano e si troveranno a fare i conti con il mercato globale, la competitività globale e con lo sfruttamento globale. I movimenti nazionalisti e xenofobi che prosperano in Europa come in America e che apparentemente nascono dal basso, affermando di difendere la working class, sono palesemente al servizio della classe dominante, sfruttando il concetto del Paese dominante. Per sconfiggerli, bisogna rimettere in campo il concetto dell’autodeterminazione dei popoli. Bisogna lavorare insieme, costruire legami e obiettivi comuni che vadano oltre i confini nazionali.

Sembra che però tutto vada nella direzione opposta. Anche se al momento sembra impossibile, si può sempre lavorare a un cambiamento possibile del sistema, a un nuovo modello economico. Abbiamo bisogno di una differente visione di Unione europea. Io credo nell’Europa dei popoli, della gente, contro questo club di grassi businessman che è invece l’Ue di Bruxelles.

In I, Daniel Blake, lei ha offerto un’indimenticabile testimonianza di come il sistema socio assistenziale britannico possa annientare la vita delle persone. Come si può uscire da questa trappola? Possiamo pensare a un unico modello di social welfare che rispetti la dignità delle persone. Per esempio. Il sistema inglese umilia la gente, criminalizzando i loro bisogni  e le loro esigenze attraverso l’esercizio punitivo delle forme di assistenza, creando un clima di incertezza, quasi di paura. Penso si tratti di crudeltà consapevole ai danni di lavoratori e disoccupati, donne e madri soprattutto. Per cui, anche ottenere un alloggio diventa un percorso umiliante, per non parlare del lavoro e anche della stessa sussistenza quotidiana.

 

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