La Crisi Armistiziale del 43: dalla Tragedia navale al Riscatto della Battaglia alla Maddalena (IV) [di Mario Rino Me]

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Alcune considerazioni sul senso degli avvenienti. Nelle sue memorie, il Feldmaresciallo A. Kesserling, attribuisce il successo del trasferimento, “quasi senza lotta”, alla “abilità del Generale Langershausen e alla comprensione del comando italiano” motivandolo con la “lunga fraternità d’armi che prese il sopravvento sulle istigazioni dei comandi politici e militari[1]”.

In una apparente contraddizione il comandante di teatro tedesco, che si autodefinisce fedele al suo leader fino alla fine, plaude alla spregiudicatezza del suo subordinato e alla “comprensione“, ovvero “disubbidienza” del comando italiano locale. In effetti, in quei momenti difficili, individui, comandi e reparti, senza un’adeguata opera di preparazione, sono messi di fronte, a decisioni che toccano la sfera delle convinzioni e dell’etica.

Proprio da questo stato di incertezze e tentennamenti che si accentuerà con la frattura della Linea di Comando, lo storico Renzo De Felice ha tratteggiato un quadro da “morte della Patria[2]”. Con tutto il rispetto, dissento da questa ingiusta raffigurazione, che, a mio avviso, va rapportata alla morte di un modello di Stato. Senza i segnali di risveglio, il nostro Paese sarebbe divenuto uno Stato fallito, mentre i combattenti della Maddalena alimentano col loro ardore la fiaccola del sentimento di Patria[3].

Dal punto di vista operativo, l’azione tedesca è stata in un certo senso chirurgica, condotta con tattiche mirate[4], tese a contenere i livelli di violenza, e dunque limitata in ampiezza. Ma nella prospettiva politico militare, i fatti appena descritti appaiono di estrema gravità, da casus belli: l’occupazione comporta infatti, inter alia, la violazione della sovranità nazionale[5], mentre i comandi, sottoposti a coercizione, perdono, de facto, la capacità di decisione autonoma. Senza poi trascurare gli aspetti simbolici tutt’altro che marginali, quali l’offesa all’onore nazionale.

Nell’economia delle risorse, il comandante tedesco[6]. In breve si va decisamente oltre il tradizionale aliquid datum, procede a suon di faits accomplis, per poi fermarsi alla soglia di sopportazione delle controparti aliquid retentum. In questa progressività degli obiettivi, alla un pezzo alla volta (nella vulgata internazionale, la strategia del salame), la mancanza di determinazione e la remora degli scrupoli possono rivelarsi fatali. Nel caso specifico, il gen.

Lungershausen aveva verosimilmente visto le debolezze e incertezze della controparte e agito di conseguenza con decisione e spregiudicatezza; tuttavia, nonostante l’ulteriore atto del sequestro e umiliazione del Comandante Militare Marittimo, lo stato delle relazioni tra le parti in causa rimane confinato a una situazione di tensione interpersonale senza ulteriori seguiti.

In questa prospettiva, la dinamica locale italo-tedesca appare incanalarsi in uno scenario oggi associabile al crisis management, che è sostanzialmente una tecnica di controllo del rischio vis à vis un fine comune. Si opera dunque in un contesto disciplinato da quelle che oggi definiamo “regole d’ingaggio”, effetto della crescente “giurisdizzazione dei conflitti.

Questo scenario differisce dalla visione di A. Beaufre sulla strategia, intesa, nell’ambito di un conflitto, come “dialettica del contrasto di volontà”, dal momento che, in questa specifica situazione di crisi, le volontà e gli interessi dei comandanti sono infatti convergenti sull’esodo dalla Sardegna, da conseguire nell’immediato.

Le maniere dei soggetti sono tuttavia differenti: da una parte il rispetto assoluto dei patti, dall’altra, acquisizione di posizioni strumentali alla sicurezza con metodiche spicce. In queste circostanze in cui l’intervento militare deve essere calibrato in modo da non dare alla controparte l’impressione di voler causare una “escalation della crisi[7]“, il partito che si sente più forte, mantiene l’iniziativa con il controllo dell’escalation, mentre la controparte, reagendo alle conseguenze, è messa nelle condizioni di subire.

Di fatto, in nome di quell’obiettivo, rimasto inalterato nonostante le violazioni della controparte e gli ordini precisi all’azione dalla Linea di Comando, si continuano a perseguire compromessi e si fanno concessioni. Va comunque rilevato che nei combattimenti non si registrarono episodi di atrocità. Un uso “disciplinato” della forza dunque.

La messaggistica riportata nelle varie ricerche mette in risalto una sottovalutazione e ridimensionamento degli eventi, come si può evincere dalla versione dei fatti relativa al colpo di mano tedesco della fase iniziale che viene circoscritto “limitatamente, per altro, all’occupazione del Comando e delle centrali di collegamento”, dove si sorvola sull’impatto del blitz sulle funzioni di comando e controllo del dispositivo nazionale.

Nel baratro di una guerra perduta, non occorre poi scomodare i maestri del pensiero strategico, da Sun Tzu a Von Clausewitz, per immaginare l’influenza di fattori psico-emotivi sulle decisioni in condizioni a contorno tutt’altro che ordinarie, come lo stress, la fatica degli anni di guerra e le delusioni, il venir meno di certezze di vittoria e, non ultimo, l’imperante incertezza sul futuro.

Riferendosi agli strumenti conoscitivi in suo possesso, e cioè la citata OP 44, il Proclama del Capo del Governo e a una comunicazione del Gen. Caviglia in cui questi tratta con i tedeschi il loro trasferimento da Roma al Nord, all’oscuro dell’attacco alle Forze Navali[8], il Comandante delle forze Terrestri, messo di fronte a una percepita difficile congiuntura, valuta come obiettivo da perseguire “l’esodo” dei tedeschi dall’isola, prerequisito per un suo sviluppo politico post-bellico (“ferma volontà di salvare e rimettere in piena integrità di questa nostra isola[9]”).

Se da un lato, questo livello di ambizione deriva dal fatto di incorporare poteri militari e civili, sulla base di disposizioni del Governo Badoglio[10], dall’altro, carica e ruolo richiedono, per contro, un orizzonte nazionale. Il fine resta invariato dopo il primo “colpo di mano” tedesco, derubricato a “situazione delicata” [11], che dopo la reazione del personale della base sfocia, nelle parole del Comandante Marittimo della Sardegna, in un ”modus vivendi concordato[12]” con le controparti. Il caso viene dunque chiuso e, per questo, nel rapporto di situazione, si omette il particolare, tutt’altro che trascurabile, dello stato di vigilanza e costrizione cui il titolare rimaneva ancora sottoposto[13].

La stesso avviene con i fatti d’arme del 13 settembre, in cui, nelle parole del comandante delle FA “superati alcuni tentennamenti [dei tedeschi nel post-modus vivendi anzidetto n.d.r] le condizioni venivano accettate[14]”). Questa voluta sottovalutazione dei fatti nei rapporti al Comando Supremo si combina sul terreno con il taglio dell’azione dell’ombreggiamento delle forze tedesche, definito “al rallentatore[15]“.

In definitiva, in Sardegna uno dei principi della Strategia Occidentale, il mantenimento degli scopi, anche davanti al cambiamento dei presupposti, diventa, con l’impegno a mantenere la parola data a tutti i costi, ostinazione.

Quell’accordo, dunque, mette in evidenza la particolarità della distonia tra gli ambiti di pertinenza operativo e strategico, che è in contrasto con i canoni dell’arte militare. A seguire , il totem del mantenimento dei patti, peraltro infranti , appare dunque come soluzione alla portata che garantisce, nonostante la tendenza al rialzo della posta, un senso di sicurezza e l’allontanamento di mali peggiori.

Ma nei momenti turbolenti, l’ostinarsi nella logica di essere lasciati in pace non garantisce la sicurezza, condizione che, come sappiamo ha un carattere dinamico. Indubbiamente un accordo al livello operativo sul transito libero di una forza dichiarata, strada facendo, nemica, stride con l’interesse nazionale di renderla inoffensiva. In altri termini, il trasferimento della forza in un altro settore nazionale contribuisce a incrementare l’ordine di battaglia nemico nel territorio metropolitano, nel nostro caso tra Cassino e Anzio, con riflessi su tempi e condotta delle operazioni.

Infine dal punto di vista dell’etica militare, consentendo l”esodo”, l’intero problema viene trasferito sulle spalle del comandante in Corsica, dove la preponderanza operativa tedesca consentirà il successivo balzo nella penisola. Difatti, la responsabilità non si evade passandola ad un altro.

NOTE

[1] Albert Kesserling, Memorie di Guerra, Garzanti, Milano, 1954, pag. 209

[2] Renzo De Felice, Il Rosso e il Nero. La a morte della patria appare come perdita dell’idea di Nazione, Norberto Bobbio, la attribuirà a conseguenza del 10 giugno 1940 . “’ 8 settembre è la conseguenza per aver partecipato a una guerra dannata, ad una guerra che era destinata ad essere perduta.”. vedi l’8 settembre e la morte della patria , http://www.italia-liberazione.it/novecento/rinaldi3.htm

[3] Qualche giorno dopo il Capo di SM della Divisione Nembo, Ten. Col. A. Bechi Luserna, MOVM viene trucidato nel tentativo di convincere un battaglione della divisione Nembo che si era unito ai tedeschi, a desistere dall’intento di unirsi ai tedeschi

[4] Vedi Giovanna Sotgiu, Settembre 1943 a La Maddalena, Sorba editore m La Maddalena, 2013, pqg 44

[5] Vietata all’Art 1 dalla convenzione dell’Aja del 1907

[6] Gioco, però, che era sfuggito di mano con l’invasione della Polonia.

[7] Vedi Autore, Appunti di Politica Militare Regole del Crisis Managemnt, Centro Alti Studi per la Difesa, 2014, pag 28

[8] Questo aspetto è stato confermato allo scrivente dal Prof Manlio Brigaglia. In quelle giornate di settembre il ritrovamento dei poveri resti dei naufraghi della RN Roma nelle spiagge del Golfo dell’Asinara   fu messo in sordina, E’giunto il momento di approfondire anche questo aspetto

[9]      Salvatore Sanna, citato La Piazzaforte di Latta, Comunicazione del Comando Fo.ter  a tutti gli Enti dipendenti, pag .45. in un promemoria del suo capo di SM al Capo Ufficio del Capo di SM dell’Esercito, l’esodo viene descritto “soluzione utile perché consentirebbe di fare della Sardegna Libera in mano alle nostre truppe, una base sicura militare e politica per tutto il continente“. Quanto al sostegno della popolazione in Sardegna, come segnalato da fonti letterarie era forte il risentimento per i bombardamenti di paesi e città che non rappresentavano obiettivi militari (es la città di Alghero) , nonchè mitragliamenti contro pastori e lanci di ordigni giocattolo, causando  anche vittime infantili

[10] Daniele Sanna  (a cura di) , La Sardegna e la Guerra di Liberazione, pag .140.

[11] Inviato a Super Esercito  il giorno 10, dopo aver  riferito , nel precedente rapporto  , sui soli accordi Brivonesi-comandante tedesco del giorno 9.  Il giorno 15, riferirà “con brillante azione et lievi perdite rioccupati Isola La Maddalena “ Daniele Sanna , op citata pag , 45 e 54.,

[12]  Questo compromesso appare di difficile comprensione, in un’epoca in cui il binomio “territorio e sangue “appariva come una sorta di must.

[13]  Ibidem, Pag. 52.

[14] Ibidem, pag 53. Questo giusto riconoscimento appare in netto contrasto con la sottovalutazione dell’offesa subita

[15]  Manlio Brigaglia , La Sardegna nella Seconda Guerra Mondiale, http://www.italia-liberazione.it/portalenuovo/60moliberazione/PAGINE/REL_27.HTM

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