All’Ufficio Ticket dalle tre del mattino, 120 telefonate al Cup e nessuno risponde. Nell’indifferenza della politica sarda [di Vito Biolchini]

PLEASE NOTE THE PATIENT'S NAME HAS BEEN REMOVED FROM THE SCREEN.  File photo dated 04/01/07 of an Intensive Care Unit, as hospital intensive care units generate a cacophony of noise that far exceeds World Health Organisation (WHO) guidelines, research suggests.  PRESS ASSOCIATION Photo. Issue date: Monday May 30, 2016. Staff running a typical intensive care unit (ICU) in Belgium carried out a study of noise levels in one ward after complaints from patients. See PA story HEALTH Noise. Photo credit should read: Steve Parsons/PA Wire

Curarsi in Sardegna: cittadini in fila all’Ufficio Ticket di Quartu Sant’Elena dalle tre del mattino (per fortuna che a Sassari va un po’ meglio, lì basta presentarsi alle sei), il centralino del Cup di Cagliari, il Centro unico di prenotazione, che non risponde non a una, a due, a tre, a dieci tentativi di chiamata, ma a ben 120.

Avete capito bene: 120 telefonate senza che nessuno sollevi la cornetta. Dopodiché il cittadino va sul sito di Sardegna Salute, cerca qual è lo sportello Cup più vicino a casa sua, ma poi scopre che in via Piero della Francesca (a Su Planu) quel servizio non è più attivo. Una beffa. Se la denuncia delle file nel cuore della notte a Quartu e Sassari è stata fatta recentemente dall’Unione Sarda e dalla Nuova Sardegna, ora a certificare il disastro del Cup a Cagliari è l’associazione Altroconsumo.

Due casi clamorosi, roba da malasanità calabrese. Invece siamo in Sardegna. Nessuno è così stupido da non capire quanto sia difficile organizzare la sanità. Ma è pur vero che per fornire servizi almeno decenti la Regione spende oltre tre miliardi di euro l’anno e qui non stiamo parlando di trapianti di cuore ma, banalmente, di timbri da mettere e di prenotazioni da effettuare.

I medici e gli infermieri non c’entrano niente: qui c’entra la politica. Che sceglie manager incapaci non solo di organizzare un banale servizio a sportello o un call center, ma perfino di rendersi conto del disastro in corso e di porvi rimedio. La politica non si turba davanti ai cittadini in coda dalle tre del mattino per un semplice timbro. Perché?

A volte l’indifferenza fa più male dell’inefficienza. Ci sono voluti quasi dieci giorni di martellante campagna stampa dell’Unione Sarda per convincere il commissario dell’Azienda Brotzu (scuola Riformatori) che all’ospedale Businco qualcosa non andava per il verso giusto e che tenere i malati di tumore in fila per oltre dieci ore prima di fare la chemio non era tollerabile.

Alla fine il commissario (che ha colpevolmente tollerato per mesi una situazione intollerabile) si è scomodato, annunciando dal primo febbraio una diversa organizzazione dei turni.Per l’Ufficio Ticket di Quartu e Sassari non ci risulta invece che nulla sia cambiato, e di sicuro nulla cambierà anche per il Cup. La politica è impermeabile a queste critiche estemporanee, subisce solo le campagne quotidiane. Ma l’informazione sarda non ce la fa a contrapporsi frontalmente e giornalmente alla politica, non regge l’urto. Non ha il coraggio né le spalle sufficientemente larghe per farlo.

Così, se il problema del Businco forse è stato risolto, quelli dell’Ufficio Ticket e del Cup resteranno lì. E altri, ovviamente, si presenteranno. A dimostrazione che il problema della sanità sarda non è solo legata alla qualità delle cure ma soprattutto all’incapacità della politica di organizzare efficacemente servizi di base, che dovrebbero funzionare come un orologio svizzero tanto sono essenziali.

In tanti ne abbiamo avuto una esperienza diretta: la vera differenza tra un sistema sanitario sottosviluppato come quello sardo e quelli additati ad esempio come quelli lombardo, toscano o emiliano non è data banalmente dalla qualità dei medici ma soprattutto da quella dei servizi garantiti ai cittadini: ad esempio, Cup che rispondono e Uffici Ticket che funzionano.

Costringendo i cittadini a queste mortificanti prove, la politica sarda lancia invece un messaggio sconfortante ma inequivocabile: chi ha i mezzi economici, fa bene ad andare a farsi curare fuori dall’isola. Perché come ci si può fidare di un sistema sanitario che non ti risponde al telefono o che ti costringe per avere un timbro in un foglio a metterti in fila nel cuore della notte?

E allora la domanda all’assessore regionale alla Sanità, il leghista Mario Nieddu, è la seguente: come si combattono i viaggi della speranza, la mobilità passiva? Mettendo qualcuno a rispondere al Cup, potenziando gli Uffici Ticket o dando più soldi alla sanità privata?

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