Ci ha lasciato Tore Bua che amò la campagna, la lingua madre, e la politica [di Umberto Cocco]

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È morto qualche giorno fa Tore Bua, un pezzo della storia della Gallura e del Logudoro fra Oschiri e Pattada che non si dovrebbe dimenticare, un capitolo della vicenda della Sardegna settentrionale e del Pci e del sindacato, le lotte bracciantili, il ruralismo e la pastorizia transumante che si insinua sino a dentro Olbia, mentre quella città guardava altrove, assecondava altri progetti, l’industria turistica dopo l’economia degli stazzi.

È morto a 73 anni, a Tempio al termine di una malattia scoperta tre mesi fa, e ieri a Olbia è stato cremato, le ceneri sparse nel cimitero di Oschiri, dov’è nato, e del quale paese ha mantenuto ricordi, affetti, la lingua musicale e la passione poetica, uno stile, una pedagogia.

Aveva studiato a Sassari ed era entrato da ragazzo nella Fgci e poi nel Pci, e diventato tecnico forestale e militante Cgil venne eletto segretario provinciale della Federbraccianti, erede della tradizione e del gruppo dirigente che rese forte il Pci in molte zone della provincia nel dopoguerra e nel fuoco delle lotte per le terre e contro il latifondo.

Fu la scuola dove il partito lo selezionò, a metà degli anni ’70, nel periodo della segreteria regionale di Mario Birardi e Gavino Angius – e lo scelse per fare il segretario della federazione di Tempio, dove allora aveva sede l’organizzazione territoriale della Gallura.

Arrivò nell’antico capoluogo in decadenza che difendeva ogni presidio contro la nascente supremazia di Olbia, in tempo per viversi ed essere a tratti travolto dalla lotta fortemente venata di campanilismo e alla fine fratricida dentro il partito internazionalista fra tempiesi e olbiesi.

Ma era ancora lui il segretario quando alla fine la federazione venne trasferita. Portava più che la Gallura il Logudoro nel cuore, parlava in sardo e trovava a Olbia più interlocutori che a Tempio, il popolino della città povera dei raccoglitori di cozze e venditori di cipolle era di lingua logudorese, e arrivavano a frotte i pastori di Bitti e Buddusò, prima transumanti e che finirono con l’insediarsi – ci sono più bittesi a Olbia che a Bitti, più buddusoini che a Buddusò –  e lui era dei loro.

Ma non erano elettori del Pci, se non in una breve fase, quella della legge De Marzi Cipolla.

Gli spazi a sinistra erano coperti a Olbia dalla fortissima tradizione socialista, il Psi aveva avuto sindaci e continuava ad avere classe dirigente capace e tenace, un insediamento incredibilmente potente nei lavoratori portuali, a cui sapientemente negli anni di governo con la Dc seppe aggiungere le categorie emergenti del boom dell’edilizia costiera, i liberi professionisti, gli artigiani del blocchetto sempre pronto sul cassone del camioncino, i primi imprenditori locali che si facevano uno spazietto nei perugi aperti dal grande capitale.

Così il Pci era schiacciato e con lui il suo gruppo dirigente, e come accade in queste situazioni la lotta politica si trasferì presto all’interno. Tore Bua la affrontò, sotto la forma dell’assalto degli olbiesi del partito, rappresentanti dei ceti urbani emergenti, ceti intellettuali che lui – pure grande lettore di classici – non preferiva al ceppo da cui proveniva. Fu un pezzo del Pci sassarese e del gruppo dirigente regionale che decise di non sostenerlo più, e lui, ancora con la maggioranza nel comitato federale, lasciò l’incarico.

Se n’è sempre rimasto a Olbia, sempre al centro di un circuito interessante di vita rurale, riprodotta nella città e tutt’altro che ai margini di quella affluente, capace di integrazioni insospettabili, che ha espresso sindaci, ceto dirigente, imprenditoria agricola, fior di allevatori.

Comprò anche lui una bellissima azienda nella campagna fra Arzachena e Palau, e l’ha tenuta fino a poco tempo fa, standoci spesso a vivere, a tratti come un eremita, con qualche libro, invitando gli amici a bere vino buono e conversare.

La politica l’ha sempre continuata a fare, è stato amministratore comunale, fu presidente della Comunità montana ed era la sua dimensione. Iscritto alla Cia – la confederazione degli agricoltori di ispirazione di sinistra – non ha mai lasciato nemmeno quel filone bracciantile, e molti in quel mondo lo ricordano, lo piangono.

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