Pandemia, ignoranza e nuovi luoghi collettivi [di Alain Badiou]

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leparoleelecose.it I nostri mali non provengono da Emmanuel Macron, ma dall’accoppiamento teso tra proprietà privata e concentrazione del capitale. È possibile reinventare una vita comune intorno alle scuole che riunisca intellettuali, lavoratori di tutto il mondo, artisti, per sviluppare nuove idee a partire dal reale.

 La pandemia attuale è sospesa, al contempo, a una causa naturale – l’esistenza del virus e le sue modalità di trasmissione e di sussistenza, dai pipistrelli agli esseri umani – e a una causa “sociale” – il volume e la rapidità, entrambi considerevoli, dei viaggi umani, il che significa che il virus circola in poche settimane dalla Cina all’Europa e alle Americhe senza che nulla possa fermarlo, se non la cessazione di quasi tutti questo trambusto umano, il cosiddetto “confinamento”.

Sul versante degli Stati borghesi (oggi, purtroppo, non ne esistono di altro tipo), che cosa sta succedendo? Sono costretti ad adottare misure che vanno al di là della loro rigida logica di classe. Il sistema ospedaliero deve funzionare, costi quel che costi; le camere d’albergo devono essere requisite per confinare i malati; la circolazione delle persone che portano con sé il virus deve essere limitata alle frontiere, etc.

Ma attraverso tutto questo, gli Stati devono imperativamente proteggere il futuro della struttura della società nel suo insieme, cioè la sua natura di classe. Governare diventa un esercizio più difficile che in circostanze meno originali. Fortunatamente per gli Stati in carica, il vero nemico dei nostri tipi di società, che non è il virus ma il comunismo, è oggi così debole che se la caveranno, almeno a breve termine, senza troppi problemi.

Dovremmo prendercela con Macron? Il regime parlamentare, che è il naturale regime politico del capitalismo sviluppato, e che rimane in Francia elogiato sotto il doppio nome feticcio di “democrazia” e “nostra Repubblica”, ne ha viste di peggio! Se Macron dev’essere scaricato, saranno gli stesso padroni del gioco a farlo, con l’applauso di ogni genere di scontenti che, negli ultimi due anni, hanno pensato che questo Macron fosse la causa di tutti i loro mali.

Mentre, a dire il vero, per due secoli i nostri mali sono venuti dall’accoppiamento, al momento invero particolarmente teso, tra la proprietà privata (che possiamo celebrare e promettere a tutti) e la “legge di ferro” della concentrazione del capitale (che fa sì che, in ciò che ha di decisivo, la proprietà privata sia di beneficio solo a pochissimi).

Ciò che mi sembra pericoloso, in questa congiuntura, e che favorisce ogni forma di reazione, è l’ignoranza di queste evidenze e lo scarso credito accordato ai ragionamenti probanti e alle affermazioni scientificamente stabili. Le vere scienze rappresentano uno dei rari campi dell’attività umana che merita fiducia, uno dei principali tesori comuni dell’umanità, dalla matematica alla biologia, passando attraverso la fisica e la chimica, così come gli studi marxisti sulla società e la politica, per non parlare delle scoperte psicoanalitiche sui disagi della soggettività.

Il vero problema è che la fiducia nella razionalità è molto spesso ignorante e cieca, e di conseguenza, come vediamo oggi, molte persone, forse la maggioranza, hanno fiducia anche nelle false scienze, negli assurdi miracoli, nelle anticaglie e negli impostori. Questo rende la situazione decisamente oscura e genera profezie inconsistenti sul “giorno dopo”. Ecco perché i dirigenti rivoluzionari di tutte le epoche sapevano che, senza una preparazione ideologica dell’opinione pubblica, l’azione politica è molto difficile.

Il cuore della valutazione della crisi pandemica, e di tutte le “crisi”, dovrebbe quindi essere la costituzione, da parte di tutti i militanti volontari, di una vasta rete di scuole dove tutto ciò che deve essere conosciuto per vivere, agire e creare nelle nostre società sarebbe insegnato a tutti coloro che lo desiderano.

Occorrerebbe condurre un’inchiesta internazionale su tutto ciò che può già esistere in questa direzione. Inchiesta tanto più necessaria e delicata dal momento che, in questo ambito, pullulano tutta una serie di sembianti, associativi o ufficiali, che esistono solo nella misura in cui sono al servizio, in maniera caritatevole e falsamente umanista, non dell’umanità reale, ma di un’integrazione all’ordine esistente e alle sue ineguaglianze costitutive.

Partendo dalla mia personale esperienza, posso dire che l’École des Actes, creata ad Aubervilliers con il sostegno del Théâtre de la Commune, mi sembra invece proporre un luogo ben orientato rispetto ai compiti di trasmissione e invenzione che oggi s’impongono. Questa scuola riunisce delle componenti il cui incontro è essenziale: intellettuali, operai provenienti da tutto il mondo, artisti, nonché donne, uomini e bambini di questa città multinazionale.

Il loro incontro si organizza attorno a delle “assemblee” – luoghi collettivi di elaborazione d’idee nuove a partire da un’ipotesi circa l’esistenza di “leggi della vita della gente”, che necessitano di essere formulate, riconosciute e rispettate. Prima ancora dell’epidemia, vi si concepivano e apprendevano simultaneamente – a partire dalle esperienze e dalle domande del pubblico popolare, con al suo cuore i proletari nomadi (infelicemente chiamati “migranti”) – molte cose che, nelle diverse forme della razionalità, sono necessarie per sopravvivere, per parlare, per leggere, per pensare.

Delle scuole di questo tipo potrebbero altresì organizzare – l’École des Actes ne tenta l’esperienza – degli aiuti materiali e amministrativi per coloro che ne hanno bisogno, come una mensa per dei pasti caldi, un ambulatorio per assistenza medica di primo soccorso, una riflessione concreta sull’abitare, dei consulenti per l’ottenimento di diritti – quelli che esistono e quelli che dovrebbero esistere in virtù delle leggi della vita della gente. E molte altre cose alle quali non penso e che queste persone inventeranno.

Come si vede, al cuore del dispositivo c’è la forma “assemblea” e non il rapporto a dei maestri. Sul suo versante più “politico”, nel senso più ampio e aperto che oggi s’impone, l’École des Actes organizza ogni settimana – qualche volta vi ho assistito – un’assemblea cosiddetta generale, dove chiunque abbia qualcosa da dire o una domanda da porre, o una critica, o una nuova proposta, può intervenire.

Gli interventi sono tradotti nelle lingue parlate all’interno della scuola. Ho visto tradurre in inglese (per le persone originarie del Bangladesh), in lingua soninke, fula e in arabo. Anche questa è una pista internazionalista assolutamente necessaria.

Si potrebbe forse chiedere a questa scuola, e a tutte le altre dello stesso tipo, ovunque si trovino, di organizzare di tanto in tanto delle assemblee aperte, dove si potrebbe discutere dei principi stessi, della necessità e del futuro di questo genere d’istituzioni. Certo, la politica esige il controllo del tempo e il sangue freddo che proteggono dalle esaltazioni utopiche, così come dalle profezie da fine del mondo.

Tuttavia, combinando una prospettiva sulla situazione generale alle lezioni tratte dall’esempio concreto a cui mi riferisco, credo si possa ragionevolmente affermare che, in un futuro accessibile al pensiero, una sorta di federazione internazionale delle scuole costituirebbe una tappa importante affinché emergano almeno alcuni elementi essenziali, alcune linee di forza, di un programma politico nuovo, situato al di là tanto delle nostre false “democrazie”, quanto del fallimento dei comunismi di Stato.

Se, con un po’ di fortuna, si aprisse una discussione nuova a partire da questo tipo di proposte, la pandemia avrà avuto la chance di non essere stata, al contempo, biologicamente mortifera, intellettualmente miserabile e politicamente sterile.

 

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