Se l’architettura spiega razzismo e violenza [di Michela Morgante]

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https://ilgiornaledellarchitettura.com/web/2020/06/17- A fronte dei progetti socialmente impegnati di MASS Design, le certezze della cosiddetta «architettura umanitaria» sono da tempo in discussione. La vera pace è giustizia operante, recita un famoso monito di Martin Luther King.

E giustizia è bellezza, teorizzano Michael Murphy e Alan Ricks, soci fondatori di MASS Design Group. Il collettivo di Boston è noto internazionalmente per l’impegno nel progetto etico, dotato di un alto controllo formale. Justice is (or/and) Beauty, è il titolo della monografia con cui nel 2018 hanno celebrato i primi 10 anni di carriera.

Fra le loro opere più acclamate troviamo il National Lynching Memorial voluto dalla Equal Justice Initiative – agenzia di assistenza legale gratuita per nullatenenti afroamericani a Montgomery, Alabama. Nell’ex capitale del traffico di schiavi, sulla rotta dall’Africa al Sud latifondista degli Stati Uniti, l’installazione copre un’area di 2,5 ettari. E dal 2018 funziona congiuntamente al non lontano Legacy Museum come un unico sistema espositivo sugli effetti della schiavitù nell’attuale società americana.

Il tema va dunque alle radici della variegata fenomenologia del razzismo contro i neri, ciclicamente conclamato come è cronaca di questi giorni. Schiavitù e segregazione storica vengono poste in correlazione con manifestazioni più recenti del suprematismo bianco – tortura, carcerazione pregiudiziale, sparatorie di massa. Il museo è interattivo, presenta dati, documenti, testimonianze veicolandoli con un’esperienza di tipo immersivo. Come alcune narrazioni in ologramma, da parte di anonimi, soggetti a soprusi e sopraffazioni, allestite nel buio di una serie di celle.

In questa operazione di public history a pieno titolo, dove il passato viene divulgato con il fine di una precisa utilità sociale, il capitolo più sconcertante riguarda il fenomeno del linciaggio. Pratica corrente, ben oltre l’abolizione ufficiale della schiavitù, nella fase di “restaurazione sudista” seguita al tramonto delle battaglie anti-segregazione repubblicane.

Tra il 1877 e il 1950 sono stati infatti brutalmente soppressi, obbedendo ad una logica aberrante, 4.000 afroamericani. Vittime sostanzialmente ignorate dai lettori delle grandi testate nazionali del Nord – ci ricorda il «New York Times» – e solo di recente commemorate nel Paese, con il memoriale realizzato da MASS. In cima ad una collina nel centro di Montgomery si profila un padiglione aereo a corte quadrata, aperta sui lati.

L’interno è fittamente popolato di centinaia di prismi in Corten con incisi – contea per contea – nomi e date degli episodi storicamente documentati di linciaggio. I prismi sono alti 180 cm, la dimensione standard di un corpo maschile. Su di essi si gioca l’effetto percettivo creato dalle pendenze del percorso di visita: mano a mano che si scende tra i blocchi, inizialmente posti ad altezza sguardo, questi sembrano migrare verso l’alto, come appesi al cappio, sopra le teste dei visitatori.

E altrettante copie di questi simulacri sono allineate all’esterno, a disposizione delle singole contee, alle quali è richiesto di prelevarle ed esporle pubblicamente nel luogo storico del linciaggio. Così Equal Justice Initiative spera d’irradiare l’opera di sensibilizzazione tra le pieghe del territorio nordamericano.

Quello di MASS è un impegno a tutto campo, che va oltre le campagne sui diritti e i conflitti razziali, anche in installazioni più recenti – si veda il Gun Violence Project. Il cuore programmatico della loro attività è promuovere salute, sviluppo e sostenibilità ambientale per il rilancio di comunità deprivate, dall’Haiti post-terremoto all’Africa sub-sahariana.

Attraverso un’architettura progettata con, e non per, gli abitanti (Murphy ha dedicato la propria tesi di laurea alla rivista «Spazio e società» di Giancarlo De Carlo). Convinti che solo un cambiamento strutturale possa spezzare il circolo della povertà. Lo studio è decollato a livello professionale specializzandosi in una serie di strutture sanitarie, a partire dal pluripremiato ospedale di Butaro in Rwanda e dal Gheskio Center a Haiti.

Oltre a diverse scuole primarie in aree rurali, da Ilima a Kigali. Con lo stesso spirito di empowerment, agendo sulla formazione, MASS ha proposto all’ONU nel 2015 l’istituzione di un Bauhaus Africa, dove coltivare giovani talenti progettuali tra la classe media locale, in grado di sviluppare politiche di contenimento insediativo e di conservazione del paesaggio. In tutto questo la qualità architettonica punta a stimolare senso di appartenenza e valore aggiunto, spendibile sui mercati (professionalità, turismo ecc.).

E tuttavia va anche detto che la proposta viene per l’ennesima volta, da outsider bianchi, con ruoli accademici e solidi agganci con i centri di potere (come la Clinton Foundation), con ciò sollevando le consuete aporie della cooperazione occidentale con i Paesi in via di sviluppo. D’altra parte le certezze della cosiddetta humanitarian architecture – per usare una fortunata formula della fondatrice di Architects without frontiers – sono da tempo in discussione.

Come ha fatto notare Joseph Watson, ricercatore del Louisiana College of Art & Design, su questo trend, di moda da almeno un ventennio, l’architettura esercita da sempre, per statuto proprio, una missione sociale senza bisogno di ulteriori mandati. Ed è forse illusorio sovrastimarne il potere trasformativo, quando il neoliberismo ha mostrato da tempo di sapersi riorganizzare sotto nuove vesti, in apparenza inclusive e solidali.

*Architetta, dottore di ricerca in Urbanistica, si occupa di storia urbana contemporanea. Ha insegnato “Storia della città e del territorio” e “Storia del paesaggio italiano” presso Conservazione dei Beni Culturali a Ravenna. Tra i temi indagati, in saggi su riviste e monografie: la tutela storico-artistica nella pianificazione delle città italiane tra Otto e Novecento, le dinamiche edilizie della ricostruzione post-bellica, l’infrastrutturazione del territorio per il governo delle acque, le politiche territoriali di area vasta. Le pubblicazioni più recenti riguardano la rappresentazione delle città d’arte italiane bombardate durante la Seconda guerra mondiale, in chiave di propaganda. Collabora con “Il Giornale dell’Architettura” dal2004.

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