Perché Soru siamo noi (e lui è solo Mister Funtanazza). Una risposta al clan e alle vedove inconsolabili [di Vito Biolchini]

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Se in Sardegna volete tappare la bocca a qualcuno che esprime giudizi critici e un po’ scomodi, buttatela sul personale: dite che è un invidioso e un rancoroso. Se le sue argomentazioni politiche sono taglienti, derubricatele a giudizi personali.

Se insiste, mettete in giro la voce che vi ha chiesto qualcosa (potere, sesso, soldi) e, non avutala, ora si sta vendicando. E se anche lo sciagurato si è esposto coraggiosamente alla luce del sole, firmandosi con nome e cognome e assumendosi ogni responsabilità di ciò che afferma (cosa rara in Sardegna), evocate il venticello della calunnia. Fatelo passare per un cospiratore, per uno che trama nell’ombra. Non vi riuscirà difficile farlo: perché questa è un’isola dove a dire pubblicamente le cose che si pensano si rischia molto.

La pubblicazione del mio post  “Renato Soru, The Great Pretender” ha suscitato la reazione di Umberto Cocco (giornalista ed ex addetto stampa della Regione ai tempi di Soru presidente) e della figlia Camilla, che su Facebook mi ha tolto anche l’onore della citazione. La damnatio memoriae è in effetti una strategia utilizzata da tutti i politici per far dimenticare ai posteri i nomi di chi aveva provato a mettere in discussione il loro potere. Ma io invece vi invito a leggerlo il post della Soru (così come ho condiviso su Facebook quello di Umberto e qui vi ripropongo, “Caro Vito, il Piano Paesaggistico della giunta Soru è più forte degli stessi interessi privati di Renato Soru”), perché non ho paura del confronto e sfido tutti in campo aperto.

In questa risposta mi sarebbe piaciuto anteporre le questioni politiche a quelle personali, perché mi sembrano più interessanti, ma questo è un classico caso in cui il privato diventa pubblico. E quindi scusate se adesso parlo di me.

A Camilla Soru consiglio di non avventurarsi in ricostruzioni che dimostrano solo la sua assoluta incompetenza in materia di processi penali, facendo passare un teste marginale (quale io sono stato nel caso Saatchi & Saatchi) per un grande accusatore, quasi che volontariamente mi fossi presentato al cospetto dei giudici per inguaiare l’augusto padre. L’amore filiale lo perdono, l’ignoranza no. Anche perché da una consigliera comunale del Pd nel capoluogo sardo (diventata tale potendo contare solo ed esclusivamente sulle proprie forze, sia chiaro) sarebbe auspicabile, oltre che un maggior equilibrio, anche un maggiore livello di preparazione.

Così come la inviterei a raccontarla tutta la storia di Funtanazza, compreso il tentativo che la sua famiglia fece nel 2016 di ricorrere contro il PPR (ecco un articolo che rinfresca la memoria ai disattenti) o il progetto sciagurato (per fortuna sventato) di trasformare in villette fronte mare le cubature che l’Illuminato Imprenditore aveva deciso di sottrarre allo stabile dell’ex colonia di Funtanazza. E la solenne promessa di regalare la costa di Scivu alla Conservatoria delle Coste cara Camilla, a che punto è? Facciamo finta di non averla sentita?

Sono particolari agghiaccianti che, mi rendo conto, incrinano il santino dell’Olivetti sardo. Ma io ai santini non ci credo.

Umberto Cocco mi accusa sostanzialmente di far parte (con argomentazioni risibili) di quella corrente di dissidenti che a Soru si contrappose subdolamente già durante anni del suo governo. Come questo io lo abbia fatto nella funzione, dal 2004 al 2006, di addetto stampa dell’assessora regionale alla Sanità Nerina Dirindin, sinceramente mi sfugge.

Forse perché non nascondevo le critiche per una gestione della comunicazione presidenziale che ritenevo a volte sbagliata e per scelte che alla lunga rischiavano di rivelarsi controproducenti? O perché, a differenza di ciò che faceva il presidente che la stampa l’ha sempre disprezzata, ho fatto sì che l’assessora parlasse con tutti, rispondesse a tutti, non si chiudesse nel suo fortino di via Roma e sfidasse i giornali ostili sul loro terreno?

Se mi si accusa di avere sabotato il progetto Soru solo perché, a differenza di tanti che hanno lavorato con lui e per lui, non sono stato uno yes man, allora questa accusa non solo la accetto ma la rivendico con orgoglio. Non siamo in tanti a poterlo fare, caro Umberto.

Cocco evoca poi l’ombra nera di Paolo Maninchedda (una specie di Darth Vader per i soriani a tutte le latitudini e di tutte le epoche), di cui io sono orgogliosamente amico. È un onore essere associato a lui, ma è evidentemente una forzatura unirci in un unico progetto di dissidenza interna, essendoci noi mossi su piani e ruoli sempre molto diversi e talvolta anche molto distanti, prima durante e dopo gli anni di Soru.

Perché allora far credere che sia esistita una linea cospirativa interna che in realtà non c’è mai stata? Semplice: perché fa comodo e allontana tutti dalla necessità di svolgere una analisi seria sul Soru e sul suo governo. E rafforza l’idea mitica di un presidente e della sua esperienza politica.

La realtà è che in quegli anni chi la pensava diversamente diventava, banalmente un nemico. E non è un caso che Cocco, lucidamente, associ l’esperienza di Soru a quella di Grillo e dei 5 Stelle, che sotto questo aspetto mostrano molte analogie riguardo l’insofferenza verso il dissenso interno. Però io che con il Movimento ho lavorato a lungo (con gli stessi compiti che ho avuto negli anni di Soru), vi posso dire che mai dai grillini sono stato messo in un angolo o sotto accusa per le mie idee diverse o dissonanti. Mai. Cosa sta succedendo per avere criticato il mitico presidente lo state vedendo tutti.

Il privato in questi casi diventa pubblico, e quindi mi scuso se ora devo indugiare su particolari della mia vita professionale che in altre situazioni non avrebbero interessato a nessuno ma che ora assumono chiaramente un altro rilievo. Sono accusato di portare rancore verso Renato Soru. E per quale motivo, cara Camilla? I fatti ti smentiscono platealmente.

Sono in pochi a poter dire di aver interrotto volontariamente un rapporto di lavoro con lui o le sue aziende: e l’ho fatto per ben tre volte. La prima, interrompendo nel 2000 il mio rapporto da Cococo con la redazione di Tiscali Notizie; la seconda nel novembre del 2003, salutando educatamente il candidato ad appena due mesi dall’inizio della sua prima campagna per le regionali perché non ne condividevo l’approccio con i giornali e scendendo da un carro su cui tutti tentavano disperatamente di salire (e neanche risalendoci, quando venivo chiamato un giorno sì e l’altro pure per tornare a far parte del gruppo); la terza, lasciando dopo due anni il posto di addetto stampa dell’assessorato alla Sanità, senza alcuna polemica ma solo per andare a dirigere nel 2006 la rinascente Radio Press.

Ora che ci penso ce ne fu anche una quarta di situazione in cui dissi di no a Mister Funtanazza, il quale evidentemente, nonostante tutto, ancora mi stimava come giornalista: quando rinunciai alla vicedirezione del quotidiano Sardegna 24 (ho ritrovato perfino il contratto, datato 12 maggio 2011, che andava solo firmato: ma rimase in bianco), comunicando il mio no direttamente a Carlo Scano e al papà di Camilla in persona, incontrati al bar dell’Exma a Cagliari in un caldo pomeriggio primaverile.

Un caso curioso caro Umberto, per uno che, come hai scritto tu, negli anni precedenti aveva “fatto di Soru un bersaglio fisso e sin ossessivo, per anni ogni santo giorno”. Ma se Soru mi voleva vicedirettore del suo giornale (ops, del suo amico), forse non la pensava così. La trasmissione a cui ti riferisci era Buongiorno Cagliari, e non mi sembra che gli altri politici siano stati trattati meglio del nostro (e migliaia e migliaia di ascoltatori sono pronti a testimoniarlo).

Quindi, dov’è il rancore? Dov’è la rabbia? Forse c’è solo in chi ha fastidio nel vedere una narrazione messa in dubbio proprio alla luce del sole e non alimentata dai soliti pettegolezzi che fanno comodo a chi vuole difendere la propria rendita di posizione. La Sardegna sta in questo penoso stato di arretratezza anche per via di una opinione pubblica inconsistente, con i giornali fortemente condizionati dalla politica e un dibattuto pubblico ridotto ai minimi termini.

In Sardegna alla presa di posizione pubblica si preferisce la chiacchiera o il disconoscimento dell’interlocutore in nome di argomenti ad personam. Chi si espone, rischia. Quello tra la stampa e la politica è da noi un conflitto simulato. Chi rifiuta questa convenzione e prova a fare sul serio, rischia. Perfino di passare paradossalmente per “calunniatore”, quale io sarei per Camilla Soru.

Al potere piacciono i pettegolezzi. Io, invece, scrivo e mi firmo. E non sono un giornalista turibolare: l’incenso lo agitavo da bambino quando ero chierichetto di padre Morittu nella chiesa di San Mauro a Cagliari. Nessun politico da me avrà mai lo stesso trattamento che si riserva a Nostro Signore.

***

Avrei voluto evitare di raccontare tutto ciò e mi auguro che non vi siate già stufati di questo articolo perché quello che ho da dire ora è molto più importante di ciò che ho detto finora.

Io ringrazio Umberto Cocco per il post che ha scritto, con un linguaggio lontano dagli isterismi del clan Soru e con uno sforzo di elaborazione che apprezzo. Anche perché mi consente di tornare sul punto nodale del senso politico di quella esperienza che ho provato a sintetizzare nel mio intervento.

Io considero Soru un personaggio storico. E come tale cerco di valutarlo, prendendo in considerazione l’intera sua biografia e non soltanto alcune parti. Ecco perché non sono d’accordo con Umberto Cocco quando afferma “Capisci perché non me ne importa niente di Funtanazza, in relazione a tutto questo?”. Perché proprio molte scelte adottate da Soru dopo la sua esperienza presidenziale ci aiutano a capire meglio ex post cosa non ha funzionato di quegli anni di governo.

Il caso Funtanazza, con le sue contraddizioni mai realmente esplorate dalla stampa sarda (ora finalmente l’Unione Sarda si sta svegliando), dice molto di Soru e di quegli anni, altroché. Così come spiega tanto il caso Unità; oppure quello legato alla società Shardna; e ancora, dicono tanto le vicissitudini giudiziarie (conclusesi con una piena assoluzione ma di cui si fatica a trovare traccia nella rete, come se dovesse calare il silenzio su quel pezzo di storia) e che ci riportano all’errore capitale di avere affidato il governo della cosa pubblica ad un imprenditore (errore fatale per le sorti del centrosinistra in Sardegna); spiega tanto anche l’assurdo appoggio dato da Soru al referendum costituzionale renziano del 2016, con le stupidaggini dette dal nostro sul rischio fascismo ormai superato.

Perché nascondere questi dati di realtà? Perché recitare ancora la parte delle vedove inconsolabili che vivono in un mondo parallelo? Almeno chi non ha Soru come cognome dovrebbe fare uno sforzo maggiore di obiettività.

La politica non è archeologia, ma la costruzione di un futuro possibile. E allora la valutazione dell’esperienza Soru non può prescindere dalla sua eredità. Cosa resta oggi di quella straordinaria stagione dove il meglio della società sarda si era messa a disposizione di un progetto? Una nuova classe dirigente? No. Uno schieramento progressista forte? No. Nuovi protagonismi politici che Soru ha contribuito a fare crescere e maturare? No: tranne rare eccezioni, furono quasi tutti pescati dal clan o dalle terze fila dei partiti del centrosinistra.

Quindi, cosa resta realmente di quella esperienza? Poco. Molto poco. Anche per effetto di una lettura distorta di quegli anni, tutta incentrata su una visione autocentrica e autoriferita. Il mito Soru, appunto.

E infatti “Il piano paesaggistico era tutto merito suo” scrive Cocco. Ebbene, non sono d’accordo con questa affermazione. Ma proprio per nulla. E il motivo è semplice: perché Soru a mio avviso è stato soprattutto il terminale virtuoso di uno sforzo collettivo che è rimasto a lungo sottotraccia nella società sarda.

Uno sforzo portato avanti da minoranze che hanno combattuto duramente per avere dignità politica e della cui elaborazione Soru si è intelligentemente e meritoriamente giovato quando con coraggio ha abbracciato cause che poi si sono rivelate vincenti, anche dal punto di vista del consenso.

La battaglia contro il cemento lungo le coste non nasce con Soru ma parte almeno negli anni 90, con la candidatura alla presidenza alla Regione di Federico Palomba, in una campagna elettorale che mise al centro proprio quel tema.

E che dire della lotta alle servitù miliari? Anche lì, Soru non inventò nulla ma si fece lui con coraggio portatore di una visione tenuta troppo a lungo marginale.

Soru ha messo del suo, e tanto, collocando la Sardegna in un contesto internazionale e dando respiro a tematiche che erano rimaste come ingabbiate dentro piccole cerchie. Ci ha fatto capire che eravamo cosmopoliti e non provinciali. Questo è stato il suo capolavoro, il suo grande merito e forse la sua vera eredità. Ma quelli che oggi passano per suoi successi solitari, erano successi di tanti. E già che ci siamo, per spiegarlo ricorro ancora ad un esempio che richiama la mia biografia personale.

La giunta Soru ha fatto la battaglia per Tuvixeddu. Cocco direbbe anche in questo caso che la salvezza della necropoli è stata “tutto merito suo”? Forse lo direbbe. Ma sarebbe un errore.

Io nel 1995 contribuii a costituire con l’associazione Ipogeo di cui facevo parte ed altre sigle del mondo culturale e dell’ambientalismo, il Comitato per Tuvixeddu. Raccogliemmo settemila firme che io stesso consegnai all’allora ministro dei Beni culturali Paolucci. Avevo 25 anni. E penso, senza tema di smentita, che allora Renato Soru Tuvixeddu non sapesse manco dove fosse. Perché allora lui, mi sembra, costruiva supermercati.

Ecco cosa intendo quando affermo che Soru eravamo noi. E lo siamo ancora nel momento in cui combattiamo quelle battaglie che non abbiamo mai abbandonato. Ma Renato Soru oggi dov’è? Cos’è diventato? Da Mister Tiscali a Mister Funtanazza. Sta pensando alla Costa D’Oro. E con una figlia in consiglio comunale a Cagliari.

Visto quello che è stato e che poteva essere, un po’ pochino direi.

 

 

2 Comments

  1. umberto cocco

    Caspita, che vita, Vito! Già da bambino, distinto. Mica solo chierichetto. “Chierichetto di padre Morittu”!

  2. Vito Biolchini

    E non ti ho mai raccontato il resto!

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