Studio d’Artista: Crisa [di Roberta Vanali]

pietre

Sin dalle prime Tag alle più recenti installazioni urbane, Crisa – al secolo Federico Carta, nato a Cagliari nel 1984 – si dimostra un abile sperimentatore che rivolge la sua attenzione ai muri e ai materiali di recupero dove confluiscono i suoi personali codici espressivi: metafore della metropoli e della natura che interagisce con lo spazio urbano. Capace di creare legami e connessioni attraverso una rigorosa sintesi formale, adotta un linguaggio spontaneo per guardare oltre l’apparenza, cogliere l’aspetto autentico della realtà che ci circonda e connetterci col Divino.

Qual è la tua formazione e quali i modelli di riferimento? Dopo qualche anno di graffiti iniziai il Liceo Artistico dove, contaminato da alcuni professori illuminati, feci una ricerca diversa, sempre in strada, con un linguaggio per me nuovo. Mi ispiravo a Basquiat a Paul Klee e all’Art Brut di Jean Dubuffet e iniziai a dipingere sia su carta sia sui muri i “geroglifici della modernità”: lavatrici stilizzate, piante con occhi a forma di ingranaggi, discariche, scale etc. Le prime sui muri nel 2001, quando ancora la street art non andava di moda.

Eri poco più di un adolescente quando hai iniziato a fare street art a Cagliari. Da cosa è scaturita questa tua passione? Avevo appena iniziato a scrivere CRISA con le bombolette, era la fine del 1996. A Cagliari, nella periferia del quartiere dove vivevo, il fenomeno dei graffiti non era ancora all’apice, scritte ce n’erano poche e nel tragitto dalla casa alla scuola con un amico facevo le prime tracce. Proprio in quegli anni uno zio tornato da Londra comprò un libro e me lo regalò: mi mise in mano Subway Art di Martha Cooper che, per chi non lo sapesse, è la bibbia dei writers, dove questa fotoreporter americana documentò la scena newyorkese dei graffiti dagli anni Settanta. Per me è iniziato tutto così.

In questi ultimi anni ti abbiamo visto impegnato con progetti d’installazione. Come sei approdato a questo linguaggio espressivo? Sentivo la necessità di uscire dal muro, di inserire più elementi e creare più dimensioni. Questo discorso si è concretizzato in Asia durante un progetto di ricerca dove l’obiettivo era lasciare delle tracce durante il percorso e interagire con gli abitanti e l’ambiente circostante. Il primo intervento site specific è stato realizzato in Vietnam, sulle macerie di una abitazione, dal titolo DESTRUTTURAZIONE, dove sembra che abbia fatto il passaggio inverso, ossia come se il muro una volta dipinto venisse scomposto.

Mi racconti il processo creativo di un tuo intervento urbano? Entro in sintonia con l’ambiente: alzo le antenne, parto da un segno, metto il pilota automatico. Parlo col muro e troviamo un dialogo.

Come stai vivendo questo periodo di lockdown? Penso che bisogna guardare avanti, invece di stare solamente a sfogliare vecchi cataloghi di artisti deceduti e scardinare i cliché dell’iconografia sarda per reinterpretarla in chiave contemporanea. Ma bisogna anche guardare indietro al passato e studiare la storia. Abbiamo il muralismo da più di 60 anni, quando i muri si facevano per protestare e per lanciare un messaggio politico prima che venisse chiamato street art e adesso sembra che questo fenomeno non sia mai esistito, si guarda solo Banksy.  Fare cultura in Sardegna è una grande responsabilità.

Qual è la tua opinione sul panorama artistico isolano? Sono molto preoccupato per la situazione generale, per un sistema basato sul capitalismo dove si dà priorità ai consumi dei supermercati, dei grandi magazzini e dei centri commerciali mentre cinema, teatri e musei sono chiusi. Penso spesso alle persone fragili.

C’è stato un evento determinante per il tuo percorso? Di sicuro la perdita dei miei genitori quando ero quasi adolescente. L’arte e stata la mia salvezza, salvagente della vita e del linguaggio di strada.

A cosa lavori in questo frangente e quali sono i progetti futuri? Sto lavorando soprattutto su muri e installazioni, pitture su tela e disegni su vecchi documenti. Qualcosa sta cambiando ma ancora non voglio dare definizioni. Per scaramanzia non parlo mai dei progetti futuri .

*Photo Janko Mandronic

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