In Sardegna è tempo di dire basta con il Piano Casa [di Antonietta Mazzette]

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La Quarta Commissione Consiliare Permanente della Regione ha licenziato il disegno di legge n. 108 (“Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed altre disposizioni in materia di governo del territorio”) che sarà portato all’approvazione in Consiglio Regionale nei prossimi giorni; parrebbe prima di Natale.

Nel contempo, il Presidente Solinas ha dichiarato che vigilerà affinché non ci siano “colate di cemento”, che considera “la tutela dei 300 metri un valore irrinunciabile” e che l’agro non potrà diventare “un proliferare di edilizia spontanea o di residenze senza controllo”. Sarebbe interessante capire come queste enunciazioni giornalistiche si trasformeranno concretamente in emendamenti al testo sopracitato.

In merito al cosiddetto piano casa, oltre le numerose critiche avanzate su queste pagine e che condivido pienamente, mi permetto di aggiungere le seguenti riflessioni: 1. appare oltraggioso il fatto che queste disposizioni vengano sottotitolate “Misure straordinarie urgenti a seguito dell’epidemia da Covid-19”; 2. appare arrogante pensare di poter bypassare le norme vigenti, a partire dal piano paesaggistico regionale, inserendo l’espressione “sono soppresse”; 3. è un’operazione spudorata quella di disseminare nel testo frasi come “le parole 20% sono sostituite dalle seguenti 25%”, con numeri che variano da 70 a 90, da 30 a 150, da 120 a 180 metri cubi, e così via. Ed è chiaro che dietro questi numeri ci sia un’ingente nuova volumetria.

Personalmente sono convinta che questo disegno di legge regionale non sia emendabile per un insieme di ragioni, prima fra tutte quella che assisteremo a una contrattazione, più o meno palese, sulle percentuali di incremento volumetrico, tanto nell’agro, quanto soprattutto lungo le coste; contrattazione che anche se fatta per ridurre le percentuali di incremento, comunque, non modificherà la logica di fondo. È un testo che andrebbe ritirato e confido che siano molti i sardi ad esprimere questa richiesta.

Com’è noto, il Piano casa nasce con il Governo Berlusconi nel 2009, ma fu sostenuto da più parti politiche con la litania che sarebbe stato uno strumento che avrebbe rilanciato lo sviluppo economico e l’occupazione. Litania che ripete a ogni piè sospinto l’attuale assessore regionale all’urbanistica.

Se ciò fosse fondato, sarebbe interessante che chi ci governa informi i sardi, con numeri e statistiche, su quanta ricchezza sociale e occupazione reale le diverse edizioni di piano casa abbiano prodotto. Ho paura che, da undici anni a questa parte (e ciò non riguarda solo la Sardegna) le proroghe e, di fatto, le deroghe a qualunque pianificazione abbiano creato, tutt’al più, una manciata di posti di lavoro poco qualificati e di breve durata.

Quel che è sicuro è che hanno contribuito ad incrementare la media quotidiana nazionale di consumo di suolo e una trasformazione irreversibile del territorio: da 10 ettari al giorno nel 2009 a ben 16 ettari nel 2020, come risulta dagli ultimi Rapporti dell’ISPRA.  La Sardegna non è stata da meno: solo nel 2019 sono stati consumati circa 80 mila ettari (3,28% del territorio regionale). Numero inferiore a quello delle regioni del nord, ma elevato se lo si rapporta alla scarsa popolazione e al fatto che è concentrato in poche aree urbane e costiere.

Ma ecco che puntualmente a fine anno la Regione sarda presenta il suo Piano rivisitato, con la maggioranza di governo risoluta e un’opposizione ambigua.  E allora domando ad entrambe se non sia arrivato il tempo di chiudere la stagione di questi infausti Piani casa, senza tentennamenti, infingimenti o mediazioni di sorta. Certo, interrompere questa cattiva politica dovrebbe essere compito anzitutto del Governo nazionale, ma anche delle forze politiche regionali.

Penso che il Governo nazionale dovrebbe farsi carico di verificare tempestivamente la legittimità di questo provvedimento, anche perché si tratta di un’operazione che difficilmente potrebbe essere mascherata come un intervento sostenibile di riqualificazione del patrimonio esistente. Così come difficilmente sarebbe in sintonia con le linee europee per contrastare il riscaldamento climatico. E il consumo del suolo (ossia il cemento), com’è noto, è tra le cause primarie. Linee europee su cui dovrebbero poggiare i progetti finanziati dal Next Generation EU e dal Recovery plan, se la Regione sarà credibile in tal senso.

Non sottovaluto, però, come ho già detto in altra sede, la grave crisi del comparto edilizio che in Sardegna precede la pandemia e viene da lontano, nonostante i Piani casa e le varie deroghe che hanno dimostrato che l’uso-consumo di suolo non produce benefici durevoli, bensì elevati costi ambientali e sociali.

Per rispondere a questa crisi possono esserci altre strade, quali quella di intervenire sul diffuso dissesto idrogeologico e quella di utilizzare ampiamente lo strumento dell’Ecobonus 110% per la riqualificazione energetica degli edifici privati. L’Isola ne trarrebbe un triplice beneficio: la messa in sicurezza del territorio; la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente; una distribuzione di reddito da lavoro buono e durevole.

Ma è evidente che seguire queste strade, non solo significa entrare in una logica di interesse generale, ma soprattutto significa abbandonare quella sub cultura, secondo cui essere proprietari equivalga alla “libertà individuale di fare quel che si vuole” in materia di cambiamenti territoriali.

La distruzione di un ettaro di ginepri secolari a Porto Conte docet.

 

2 Comments

  1. Mario Pudhu

    Cundivido, assolutamente giustu!!!

  2. Sabrina Carboni

    Ogni parola. Condivido tutto.

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