La scuola a Dunkerque [di Salvatore Multinu]

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Poco più di ottant’anni fa – tra la primavera e l’estate del 1940 (anche quello era un anno bisestile) – le truppe anglo-francesi furono costrette a ripiegare verso la costa francese della Manica dall’avanzata delle truppe tedesche che con la guerra lampo conquistarono in pochi mesi l’intera Francia.

Per riportare i soldati inglesi in patria fu inizialmente programmata l’evacuazione ad opera della marina britannica, le cui navi, però, venivano regolarmente affondate dall’aviazione tedesca.

Si ricorse allora alla flotta privata di pescherecci, imbarcazioni da diporto, navi mercantili, messe generosamente a disposizione da un popolo che, nell’ora più buia (titolo anche di un film sulla battaglia di Dunkerque) della guerra ricorse a uno spirito straordinario di coesione e di solidarietà al quale ancora oggi si fa riferimento in Gran Bretagna con l’espressione Dunkerque spirit, per indicare la capacità di resistere e trionfare di fronte alle avversità.

Non si vede traccia di quello spirito, oggi in Italia, a proposito della prolungata chiusura delle scuole dovuta all’epidemia Covid, per quanto si faccia ricorso spesso e volentieri alla metafora bellica per indicare una situazione oggettivamente devastante per una generazione di studenti che si vedono privati di uno dei loro diritti primari, quello all’educazione, alla socialità concreta, allo studio come occasione fondamentale di crescita e opportunità di miglioramento delle condizioni sociali.

Eppure, viene generalmente riconosciuto che l’attività scolastica in sé, opportunamente protetta con poche precauzioni di comportamento, non costituisce una condizione particolarmente pericolosa di contagio e diffusione del virus. Quelle che, viceversa, potrebbero incidere negativamente sono le condizioni al contorno, soprattutto gli affollamenti in attesa e all’interno dei mezzi di trasporto che milioni di studenti utilizzano per recarsi a scuola.

Allora, se siamo in guerra, combattiamola seriamente questa battaglia, prima che le conseguenze diventino drammatiche dando il colpo di grazia a un sistema scolastico che, già di suo, manifesta sintomi gravissimi, in Sardegna più che altrove.

Dati recenti pubblicati dall’ISTAT indicano che il tasso di dispersione scolastica nella nostra isola è il più alto d’Italia: il 24% dei ragazzi tra 18 e 24 anni non ha un diploma; il 28% tra i 15-29enni non studia, non lavora e non fa formazione (i cosiddetti NEET); oltre il 57% dei residenti in Sardegna non è andato oltre la scuola dell’obbligo (contro una percentuale nazionale del 50%, per altro assai distante dalle medie europee).

Per tentare di recuperare ci vorrebbe un tempo pieno scolastico generalizzato, edifici scolastici sempre aperti e pullulanti di iniziative di sostegno, altro che chiusura! E ci si ferma per i trasporti? Davvero non è possibile richiamare tutti a un senso civico di responsabilità che metta a disposizione autobus turistici, auto da noleggio e vetture private (ecco una bella occasione di car sharing!) per superare la momentanea difficoltà?

In un periodo in cui sono vietati o comunque drasticamente ridotti gli spostamenti, e quindi gli operatori del trasporto hanno i mezzi forzatamente immobilizzati, quanti di loro – anche solo con il ristoro delle spese vive o poco più – non sarebbero disponibili a dare una mano ai propri figli, nipoti, parenti? E quanti genitori non farebbero il sacrificio di accompagnare in prossimità delle scuole, magari a turno, i propri ragazzi e i loro compagni? I quali, poi, se fossero costretti a fare a piedi l’ultimo miglio trarrebbero anche indubbi vantaggi fisici in termini di salute.

È paradossale che si siano acquistati banchi con le ruote per lasciarli immobili, parcheggiati in aule deserte, autentici monumenti all’ignavia e al pressapochismo. Poi, certo, la scuola deve cominciare a ripensarsi, a partire da chi la dirige. Giorni fa un dirigente scolastico dichiarava che l’ingresso scaglionato, alle dieci, avrebbe poi impedito di fare i compiti a casa.

Ci sarebbe da fargli fare un giro di istruzione (sì, anche molti istruttori ne hanno bisogno) in qualche scuola meglio organizzata, dove la Dad (didattica a distanza) è da tempo a supporto dell’attività scolastica, e dove i compiti si fanno a scuola (mentre a casa, eventualmente e secondo i propri ritmi, si ascoltano le lezioni registrate dai professori con attenzioni particolari per chi ha più difficoltà).

Operazione Dynamo fu chiamata l’evacuazione del 1940: nome che si addice perfettamente al nostro caso, nel quale forza, dinamismo, Dunkerque spirit, sono elementi necessari – e, forse, anche sufficienti – per risolvere il problema e provare, magari, a tornare a essere (o, finalmente, a diventare) un popolo.

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