Il senso della tutela [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 15 gennaio 2021. La città in pillole. Tutèla è parola bella nel suono e nelle implicazioni, ereditate dalla lingua da cui deriva e di cui conserva significante e significati. Come altre abituali deriva dal latino. Precisamente da tutus, participio passato di tueri che significa difendere e proteggere.

Parola chiave dell’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Prevede che oltre a proteggere, è necessario diffondere la consapevolezza dei valori materici e immateriali del paesaggio e delle testimonianze della nazione; garantire la conservazione per le generazioni future e la possibilità di goderne. Finalmente non più privilegio di un singolo o di una classe sociale ma dell’intera collettività, legittima proprietaria.

Lo Stato è coinvolto in tanto obiettivo con istituzioni a cui è affidata la declinazione delle testimonianze. Non solo i cimeli più pregiati ma un ventaglio di anonimi relitti del passato che indagati e proposti, diventano tessere del contesto di appartenenza.

Scavando in quel giardino che è la letteratura latina si scopre che tutela significa anche la cura degli umani da parte degli dei e in Seneca nell’ Ad Helviam matrem de consolatione, scritta quando fu esiliato in Corsica, tra il 41 e il 49 d.C., dall’imperatore Claudio, pure nutrimento e sostentamento.

Che raffinati studiosi e intellettuali quelli che inserirono nell’art.9 questa parola dalle implicazioni così dense di senso. Si chiamano Concetto Marchesi, latinista irraggiungibile la cui letteratura fu una bussola per generazioni di studenti, e Aldo Moro. Militavano in campi diversi ma condivisero lo stesso paradigma.

Perché oggi tanti decisori, pro tempore, usano una parola tanto rassicurante come una minaccia? Perché dichiarano la necessità di riaffermare un diritto usurpato dalla stessa, fulcro della Costituzione, quando parlano di palazzine in costa?

Eppure il Codice Urbani all’art. 3, chiarisce che “La tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.”.

Di questo sono attori perché articolazioni dello Stato che devono attuare, costantemente, le operazioni utili per la conservazione, così come disciplinato anche in altri articoli del medesimo Codice. O forse Viale Trento e Via Roma non sono in Italia?

 

One Comment

  1. Mario Pudhu

    Beh, custu nono, professoressa Mongiu!!!
    Totu s’àteru chi at iscritu andhat bene meda, zustu!!!
    Ma «Viale Trento e Via Roma» de Castedhu (de susu e de zosso, chi issa de seguru narat «Cagliari»), no sunt in Itàlia e mi faghet meraviza comente própriu fostè gai impegnada po sa «continuità in Costituzione» no apat bidu ancora chi tra sa Sardigna e s’Itàlia b’at chentu ottanta chilómitros de mare in sos duos tretighedhos prus acurtzu.
    O connoschet un’àtera “geografia”? O est chi natziones e Istados (regnos o repúbbricas, ditaduras o demogratzias) sunt sa matessi cosa e “tutto fa brodo”? O est chi nois Sardos (sa “maggioranza” no s’ischit de cale improdhu, abbunzu o ite) istamus bene meda a no ischire mancu cale terra nos sustenet ne ite diritos e doveres, libbertade e responsabbilidade nos pertocat, e prus de l’istimare, contivizare e guvernare pro che istare in terra nostra che zente (b’at bisonzu de annúnghere tzivile?) nos semus allenados o nos ant fatu fàghere s’allenamentu a l’odiare e a l’ispèrdere e a nos ispèrdere che zente furriada de cherbedhu o che berbeghes chentza pastore “preda” de totus sos aprofitadores, a donzi modu irresponsàbbiles? (e goi fintzas buratinos qb pro no pàrrere marionetas in manos de gioghistus “prestigiatori” e mancari fintzas “prestigiosi”)

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