Quando Franco Battiato mi disse: “Con la morte ho un rapporto magnifico” [di Vito Biolchini]

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Nell’agosto del 1994 collaboravo con le pagine culturali della Nuova Sardegna. Appena seppi che Franco Battiato si sarebbe esibito a Cagliari, chiesi al caposervizio Costantino Cossu di poterlo intervistare e lui mi disse “Va bene”. Ricordo che mi organizzai in qualche modo perché avevo appena iniziato il servizio militare di leva e non ricordo se fossi ancora a Perdasdefogu o già in servizio presso l’Ufficio stampa del Comando Regione in via Torino a Cagliari. Sta di fatto che l’intervista fu combinata e io mi presentai con una certa emozione all’Hotel Regina Margherita. Di Battiato avevo tutti i dischi (il primo da me in assoluto comprato è stato nel 1981 “La voce del padrone”) ed ero curioso di conoscerlo.

Fu un incontro abbastanza lungo (più di un’ora di sicuro). A ripensarci oggi, mi rendo conto di quanto Battiato sia stato gentile, quasi paterno, con un giovane giornalista di 24 anni che forse non avrebbe dovuto impegnare per tutto quel tempo un artista di quel calibro. Ma Battiato fu paziente, capì la situazione e non mi congedò.

Poi l’intervista uscì nell’edizione di domenica 7 agosto 1994 con un titolo un po’ campato per aria ma ve la voglio riproporre lo stesso perché le parole di Battiato mantengono una loro forza. Soprattutto quando parla del suo rapporto con la morte. Ecco perché allora ieri alla notizia della sua scomparsa non ho provato dolore ma solo gratitudine per questo artista da cui quel giorno imparai l’arte della gentilezza.

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                                 “Vacanze ideali? In Sardegna”

A colloquio con Franco Battiato, a Cagliari per lo spettacolo “Café de la Paix”.

Franco Battiato mancava dalla Sardegna da ben 13 anni. Era l’estate del 1981 quando una straordinaria tournée nell’isola lo consacrò come nuovo idolo della musica pop. Un successo, quello de “La voce del padrone”, primo Lp a superare in Italia il milione di copie vendute, giunto dopo dieci dischi intrisi di sperimentalismo, inaccessibili al grande pubblico, premiati dalla critica ma sempre anomali nel panorama musicale. Troppo particolari i testi, troppo sofisticate le musiche, troppo lontano l’autore da quel modello di cantautore nostrano dalla rima facile e dal sentimentalismo a buon mercato.

Erano i tempi di “Fetus” e “Pollution”, di “Juke box” e “L’Egitto prima delle sabbie”, quest’ultimo vincitore nel 1978 del premio di musica contemporanea dedicato a Karl Stockhausen.

Oggi Battiato è un fenomeno musicale in parte inspiegabile. Qualsiasi cosa proponga viene accolta da un successo senza ombre. Dal 1988 ha iniziato a scrivere opere liriche ma non ama sentire definire “colta” la sua produzione. “È solo raffinata” afferma. Le sue canzoni trasudano religiosità, la svolta mistica ha come data il 1988. L’ultimo album “Café de la Paix” è anche il titolo della tournée estiva che h portato il compositore a Cagliari. “È stata una cosa sorprendente, il pubblico cagliaritano mi è piaciuto molto, affezionato ma con una notevole capacità di ascolto”.

Un rapporto, quello tra Battiato e il pubblico, che si è evoluto nel tempo. “Se qualcuno volesse scrivere un saggio sul pubblico contemporaneo dovrebbe seguire la mia tournée. Sino a pochi anni fa facevo fatica a farmi accettare. Ora la sintonia è perfetta, si crea un rito, una liturgia, l’atmosfera è sacrale. Quello che manca nella chiesa c’è in questo genere di concerti. Me ne sono accorto portando in giro per l’Italia la mia ‘Messa arcaica’. Ad ogni esecuzione bisogna allestire maxi schermi nelle piazze, migliaia di persone creano un silenzio sacrale, magnifico ed inaspettato”.

Battiato sa che il suo maggiore successo è stato quello di trascinare il pubblico delle canzonette nei territori privilegiati della ricerca. Chi ha comprato “La voce del padrone” ha poi continuato a seguirlo, dando credito alla sua evoluzione artistica. “Sono grato a quel successo perché allora ero un solitario, un estremista del suono pieno di complessi e paure. Il successo mi ha salvato, facendomi superare una certa spigolosità, anche se l’aspetto concertistico di quel periodo era brutto, perché a me piace un clima raffinato di ascolto. All’epoca c’era solo la festa. In ogni concerto c’erano trentamila persone, la cosa mi frastornava. Dopo 3 o 4 date stavo già male fisicamente”.

La seconda svolta arriva con “Genesi”, prima opera lirica e “Fisiognomica”. È l’avvento della canzone mistica. L’artista catanese non nasconde la sua religiosità, divide col pubblico il suo cammino esistenziale. “La mia evoluzione ha seguito un percorso anomalo, partendo da una forte crisi alla fine degli Anni ’60. Non capivo gli uomini, vedevo la natura come di plastica. In questi casi si va diritti al suicidio o alla rinascita  per me è stata una rinascita. Mi considero ancora un outsider in tutti i sensi, perché faccio tutto alla mia maniera, compresa la meditazione. Le qualità che apprezzo? Quelle che mancano oggi: la discrezione, la sensibilità per gli altri, la mancanza di volgarità, il controllo delle prprie bassezze, un certo amore per la vita che manca completamente”.

Quando non è impegnato in tournée la giornata di Battiato è molto metodica. Sveglia alle 5, poi esercizi yoga, un’ora di meditazione e poi subito al lavoro per tutto il giorno. “Il piano lavorativo e quello della ricerca personale si intersecano. La mia gioia sono i ritiri da meditazione, impagabili e irrinunciabili”. Le vacanze ideali sono dunque in un monastero? “Oggi farei 15 giorni di mare, magari su una spiaggia solitaria”, dice divertito, citando uno dei suoi maggiori successi.

La critica è sempre stata molto benevola con Battiato. Mai una stroncatura o una semplice perplessità. “È vero. Per certi versi sono stato privilegiato ma credo di meritarmi questa forma di rispetto perché sono molto serio nel mio lavoro, rischio molto e vado per la mia strada senza farmi condizionare. Quando ho inserito nell’album ‘Come un cammello in una grondaia’ quattro lieder mi dicevano che il disco sarebbe stato un fallimento e invece è stata una bellissima operazione”.

Il penultimo ellepì conteneva anche la canzone “Povera patria”, dal testo esplicito contro il degrado della società italiana. “Ricordo bene, fu un’indignazione continuata che si trasformo in un’emozione, trasformatasi a sua volta in una canzone”, dice Battiato quasi scusandosi, “perché non amo questo genere di testi. Mi piace più la musica che non si occupa di società. La musica è nata come fenomeno metafisico e tale deve restare. Poi può diventare linguaggio, comunicazione, canzonetta da barba ma è un vero tradimento”.

Sotto questo aspetto quale è il suo rapporto con la società italiana? “Se non avessi questo pubblico che incontro ogni sera avrei voglia di cambiare Paese. è da anni che medito di lasciare l’Italia”.

Niente politica, dunque. Eppure Battiato passa per essere un artista di destra. “È incredibile, è una stupidaggine che nasce perché c’è sempre qualche cretino di sinistra che ha voglia di bollare. Chi dice che sono di destra non ha mai sentito niente di mio”.

Il prossimo disco che uscirà nel mese di aprile segnerà la terza svolta artistica di Franco Battiato. Per la prima volta i testi delle canzoni non saranno dell’artista siciliano ma del filosofo Manlio Sgalambro. “Mi ha entusiasmato la sua scrittura intrisa di musicalità che il pubblico sembra già apprezzare quando eseguo ‘Fornicazione’. Con Sgalambro abbiam però anche due opere in cantiere. La prima, che debutterà a settembre, sarà ispirata all’ottavo centenario della nascita dell’imperatore Federico II, la seconda si chiamerà ‘Crollo e distruzione di Troia’”. Che il suo futuro sia quello di un compositore di musica classica? “Non so, spero di no, perché la canzone mi piace troppo come struttura, come sintesi è magnifica”.

Parlando della pittura, sua nuova passione, Battiato afferma che la meditazione, lo studio lento delle cose, maschera il maggiore dei suoi difetti, la mancanza di talento e non nasconde di vivere un periodo di grazia. “L’impegno più grande che un uomo possa assumersi è quello di mirare all’evoluzione di sé. Conta più di tutto. Guai alle persone che non sono coscienti di vivere. In questo caso è meglio essere spietati e preferire la sofferenza, di gran lunga più interessante di una vita inconsapevole”.

Non teme neanche la morte? “Con la morte ho un rapporto magnifico”, dice, disarmante. “Non dico di essere pronto, ma quasi, ed essere pronti significa liberarsi anziché incatenarsi, lasciare anziché attaccarsi. E non si capisce se a parlare sia l’autore di “Cuccuruccuccù Paloma” o un filosofo della Magna Grecia.

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