Palestina sempre più sola [di Nicolò Migheli]

gaza

Tra il Caucaso e il Medio Oriente esistono tre popoli traumatizzati. Armeni e israeliani hanno nel loro passato il genocidio; i palestinesi l’espulsione sistematica dalle loro terre, la privazione delle proprietà, l’essere continuamente vittime di comportamenti aggressivi e l’impossibilità ad avere uno Stato.

Quella apocalisse fa vivere tutti e tre in continuo stato di guerra. Nel novero dei popoli traumatizzati ci sono anche gli yazidi che recentemente dall’Onu si sono visti riconoscere il genocidio perpetuato da Daesch. Però questi sono i più pacifici del Medio Oriente, non hanno mai mosso guerra a nessuno durante tutta la loro storia millenaria.

La crisi di questi giorni rivela che i palestinesi sono soli come mai lo erano stati dal 1948, l’anno della fondazione di Israele. I movimenti di liberazione della Palestina hanno avuto appoggio internazionale quando il conflitto arabo-israeliano era uno dei capitoli della Guerra Fredda, scomparsa l’Urss il sostegno si è progressivamente affievolito.

Spesso l’Olp e al Fatah sono stati strumento delle politiche siriane, irachene e libiche, le sofferenze dei palestinesi usate dai Paesi arabi come strumento di politica interna e internazionale.

Additare al nemico israeliano era utile ai regimi arabi per tacitare il sorgere di rivolte contro le élite. Morto Arafat il declino dei movimenti palestinesi è diventato rapido complice il basso livello della loro dirigenza, spesso corrotta. I quasi dieci anni di governo del Likud di Netanyahu hanno tolto ogni speranza di pace. Accordi come quelli di Oslo sono diventati carta straccia.

L’autorità palestinese divisa tra due entità, la Cisgiordania o West Bank governata dal quel che resta di al Fatah, mentre Gaza, trasformata in prigione a cielo aperto è preda del governo autoritario di Hamas, insidiato a sua volta da movimenti jihadisti che fanno riferimento ad Al Qaeda.

Come è stato possibile che un movimento laico come quello palestinese sia caduto in mano ai radicali religiosi? In questo percorso vi è stata la mano più o meno occulta del governo israeliano. Ahmad Yassin, lo sceicco cieco, nemico di Arafat, fondatore di Hamas nel 1987, venne liberato dal carcere in uno scambio di prigionieri, fece ritorno a Gaza accentuando il carattere guerrigliero del suo movimento caritativo. Hamas fino ad allora era stata tollerata e in parte favorita dagli israeliani.

La ragione era che il fervore religioso depotenziasse il nazionalismo dell’Olp. Stessa politica seguita dagli inglesi negli anni ’30 in Egitto, quando non si opposero alla creazione dei Fratelli Musulmani di al Banna e dagli Usa in Afghanistan con i talebani in funzione anti sovietica. L’esperienza ha poi dimostrato che l’estremismo islamico è arma politica potente.

Oggi Israele si trova un nemico irriducibile che lo giustifica nella repressione. Hamas lancia i suoi razzi sempre più sofisticati, ai quali Israele risponde bombardando periodicamente Gaza per ridurne temporaneamente il potenziale militare. Una coazione a ripetere in cui sono prigionieri entrambi gli attori.

La presenza a Gaza di Hamas e del Jihad, considerati movimenti terroristi, allontana qualsiasi simpatia nei loro confronti da parte dei governi dell’Occidente, ma anche delle monarchie del Golfo eccetto il Qatar per la comune appartenenza alla Fratellanza Musulmana.

Ad aggravare la condizione dei palestinesi è intervenuta la modifica costituzionale voluta fortemente dal Likud e che i padri fondatori avevano evitato. Israele pur essendo uno Stato multietnico ora è lo Stato degli ebrei. Gli arabo-israeliani, nome collettivo dei palestinesi, dei drusi della Galilea e delle tribù beduine del Negev, diventano cittadini di seconda categoria.

La West Bank è ancora sotto occupazione militare e vede il territorio palestinese diminuire ogni giorno per via delle colonie ebraiche. Problema che i governi israeliani non hanno mai affrontato anzi favorito dando incentivi a chi vi si trasferiva. Con il Likud e i partiti di estrema vi è stata una radicalizzazione ulteriore.

Un colpo alle speranze dei palestinesi l’ha dato Trump trasferendo l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e facendosi promotore degli Accordi di Abramo dove Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Sudan, hanno allacciato relazioni diplomatiche con Israele. Un riconoscimento venduto come la pace, in realtà un abbandono della Palestina. Gli accordi di Abramo hanno il tacito sostegno dell’Arabia Saudita.

La questione palestinese è diventata uno dei tanti contrasti che vive il Medio Oriente e per certi Paesi non è più quella più importante. la Russia che nei tempi sovietici era una delle maggiori sostenitrici oggi è più amica di Israele che dei palestinesi, in virtù dei russo-israeliani e dall’atteggiamento duplice in Siria; alleati con l’Iran nel sostegno ad Assad e nello stesso tempo impegnati a ridurne l’influenza consentendo i bombardamenti israeliani delle basi dei pasdaran.

Le monarchie del Golfo pro Israele per il comune contrasto con l’Iran di cui temono la spinta egemonica e l’effetto destabilizzante del loro potere, come dimostra la guerra in Yemen. Egitto e Giordania sono amiche da quarant’anni con Israele. L’Egitto ha rapporti con Gaza, diffidenti però a causa dei Fratelli Musulmani, movimento clandestino in quel Paese.

La novità è la Turchia di Erdogan. Fino alla guerra in Siria aveva ottimi rapporti con Israele, oggi si è fatta interprete dei palestinesi. Quei territori furono parte dell’impero ottomano. La posizione del sultano è molto opportunista, lui tratta i curdi come Israele tratta i palestinesi, dimostrandone la strumentalità.

L’Iran che riforniva di armi Hamas, è impegnato in negoziati sul nucleare con gli Usa, che se andassero in porto in tempi brevi vedrebbero la cancellazione di una parte delle sanzioni e una vittoria dei riformisti alle prossime elezioni. Posizione che mette in contrasto il governo con l’opposizione dei radicali contrari a ogni trattativa e favorevoli ad Hamas. In questo quadro le prospettive per una soluzione definitiva diventano sempre più nebulose.

Due popoli e due Stati? In quali territori? Quelli rimasti dopo la guerra del 1967 sono definitivamente compromessi dalla massiccia presenza dei coloni. Una federazione tra Palestina e Giordania? Forse. Sarebbe un ritornare alle posizioni prima del ’67 quando la Cisgiordania faceva parte del regno hascemita.

Uno stato binazionale dove entrambe avrebbero uguali diritti e doveri? Soluzione che comincia a farsi spazio tra le componenti più avanzate degli israeliani. Ipotesi carica anche questa di molti problemi: il primo negare Israele come Stato degli ebrei. Bisognerà fare i conti con le componenti più radicali dei due popoli, con le aspirazioni secolari.

Gli arabo-israeliani si ribellano e per la prima volta indicono uno sciopero generale. Sì è rotto il patto del ’48. Quanto potrà durare questo stato di cose? La demografia è favorevole agli arabi.

I regni crociati in Terra Santa durarono 100 anni. Gli israeliani e i palestinesi lo sanno.

 

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