Montiferru-Planargia: ora è il tempo di pensare al futuro [di Nicolò Migheli]

Il disastro si è consumato. Circa 20 mila ettari distrutti. Un incendio che per estensione da quelle parti non si era mai visto. Tutte le disgrazie portano con sé una carica apocalittica, sono rivelatrici ai più di quello che pochi sapevano. L’incendio è stato devastante per una serie di concause, il vento e lo stato di abbandono dei boschi a causa dello spopolamento e del cambiamento di abitudini. Il pascolo in quei luoghi di montagna è ridotto a poche aziende.

I boschi privati si sono inselvatichiti perché il ricavo economico è pari a zero, ma anche a causa di una legislazione vincolistica che limita di molto la pulizia del sottobosco. Se si aggiusta una vecchia carrareccia si può finire sotto processo per abuso edilizio. Poco importa che poi quell’arteria abbia salvato centinaia di ettari dal fuoco e che la Forestale la abbia utilizzata in questi giorni. Come scritto più volte, gli incendiari sono il problema minore, quelli esistono in Sardegna come in California.

Solo che la nostra legislazione forestale è permeata dal concetto americano di wilderness mentre il bosco sardo è antropizzato da sempre. Un insieme di fattori che rendono gli incendi incontrollabili, con fiamme che raggiungono i 35 metri e poco fanno i mezzi aerei. Si legge che il Montiferru sia finito e che le riserve d’acqua scompariranno.

Quella montagna è terreno vulcanico, poroso, i bacini sotterranei sono intatti e lo saranno anche in futuro. Gli incendi del 1983 e 1994 furono devastanti come quello di questi giorni anche se la superficie investita fu minore. L’acqua non mancò e neanche le piogge che l’alimentano.

In realtà il primo problema serio sarà in autunno. Il regime delle piogge è mutato, assistiamo a precipitazioni violente che in un’ora raggiungono la quantità di un mese. I declivi sono privi di vegetazione. C’è da attendersi frane, torrenti di fango che raggiungeranno il fondovalle.

Mettere in sicurezza quei luoghi dovrà essere il primo intervento. In questi giorni di passione, il Montiferru e la Planargia hanno mostrato una forza umana che si credeva dimenticata. Uno spirito cooperativo di altri tempi. Centinaia di volontari si sono prodigati senza sosta. La macchina regionale ha mostrato invece tutti i suoi limiti, impreparata a un susseguirsi di allarmi. Non a caso si è fatto ricorso a Canadair provenienti da Corsica e Grecia.

Quel che è stato è stato. Ora bisogna pensare la destino futuro di quei luoghi. Il disastro può agire da disincentivante. Allevatori anziani e proprietari di terreni possono essere indotti a disfarsene. Non vogliono più subire i costi senza riuscire a cavarne un reddito. La legna da ardere è stata sostituita dal pellet che importiamo da ogni luogo.

Perché non permettere che venga prodotto anche qui? Perché non pensare a un uso produttivo del bosco che oltre che dare reddito lo salverebbe da incendi devastanti? Le porzioni che si sono salvate lo  devono all’impiego pascolativo che se n’è fatto. La legislazione impedisce che per 15 anni non vi sia nessun cambiamento di destinazione dei terreni percorsi dal fuoco, salvo “opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente”. Torri eoliche e impianti fotovoltaici potrebbero rientrare. Dopo cosa avverrà? All’orizzonte si intravvedono gli avvoltoi delle società elettriche. Quelli sono disposti a offrire quantità di denaro. Quanta forza ci vorrà per non accettare?

Circa 15 anni fa un’impresa aveva intenzione di coprire tutta la cresta del Montiferru con un parco eolico che avrebbe cambiato il profilo della montagna, con un impatto visibile da mezza Sardegna. È sicuro che torneranno alla carica. Peraltro dopo il disastro il valore ambientale del sito sarà compromesso per qualche decennio. È vero che con il Decreto Semplificazioni il potere interdittivo delle comunità locali sarà ridotto, ma non bisogna arrendersi. Bisognerà che in ogni modo che il bosco ritorni a essere produttore di reddito, solo così si potrà evitare la svendita.

Al disastro sotto i nostri occhi non se ne può sommare un altro. Le generazioni future non ce lo perdoneranno. Non me lo perdoneranno, visto che in Montiferru sono nato e cresciuto.

*foto di NM

2 Comments

  1. Delogu Giuseppe mariano

    Bell’articolo Nicolò, ma mi permetto di suggerire una specificazione. Non è la legislazione forestale “permeata di wilderness”, ma l’insieme e il combinato disposto delle norme europee di Natura2000 e l’applicazione estetizzante del concetto di “paesaggio” (quest’ultimo in netto contrasto con la visione della Convenzione Europea del paesaggio di Firenze del 2000, che recita che “il paesaggio è …. come lo percepiscono le popolazioni”). La attuale legge forestale statale, il c.d. Testo Unico Forestale, al contrario prevede che la gestione “attiva” dei boschi sia svolta attraverso una accurata pianificazione a scala regionale, a scala territoriale (di “paesaggio” appunto), a scala aziendale, prevedendo tutte le opportunità di prevenzione di conservazione, di produzione sempre mantenendo intatta la biodiversità. E la vecchia legge forestale (3267/23) prevedeva attiva selvicoltura per proteggere i suoli dall’erosione e dai dissesti. Ma nella prima versione Conte del PNRR erano previsti 1 MLD di euro per la selvicoltura di prevenzione, con la versione finale tutti quei soldi (in realtà 0,8 MLD) sono andati a finanziare la “foresta urbana”, un vero e proprio ossimoro: pianteranno nuovi alberi in P.zza Jenne, dopo aver abbattuto i vecchi, ma non ci saranno fondi per ricostituire con intelligenza i boschi del Montiferru. E magari costruiranno altri boschi verticali che di più costosi e inutili non c’è (quelli di Boeri, per intenderci) D’altra parte, non credo che con i divieti della L. 353/00 si possa deviare autorizzando impianti industriali tipo eolico ad alta resa: a meno che non fossero già previsti nei PUC del Comune, e allora non c’entra proprio la visione “wilderness” ma semmai occorre domandarci se le nostre comunità nei PUC abbiano davvero espresso una visione del territorio realmente conservativa dei nostri valori. Pensa che in un adeguamento del PUC di un comune del Grighine (non in mare) era previsto che in campagna si potessero financo “realizzare dei sistemi portuali e aeroportuali!”. guardiamoci allo specchio, ogni tanto e non pensiamo sempre e comunque che la colpa è sempre de chie benit dae su mare.

  2. Mariano Cocco

    Concordo l’analisi generale dell’articolo, non molto diversa da quella che avevo fatto in un comento risalente al 2015 su sardegnasoprattutto . Ma condivido ampiamente quanto dice Giuseppe Delogu sulla legislazione forestale. Ora, sentendomi coinvolto personalmente con il dolore e lo sconforto della comunità lussurgese, non voglio entrare in polemica in merito alle forzature effettuate attraverso SIC e ZPS ecc., per imporre un regime di gestione del tutto uguale a quello dei parchi, tenendolo nascosto alle popolazioni locali.
    Consiglio la visione di questo video che in modo semplice aiuta a capire dove si sta sbagliando anche ai non addetti ai lavori.
    https://www.youtube.com/watch?v=ApwsV0FFoZc

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