Il Capitalismo sopravvive grazie al Consumismo [di Pier Giorgio Testa]

Un confronto tra Moravia e Pasolini su temi che preannunciavano i rivolgimenti sociali e culturali, oggi visibili, lo si poteva leggere, nei primi anni ’70 nel Corriere della Sera; un vero scambio epistolare. Moravia sosteneva che sempre più la Chiesa si sarebbe schierata con il Capitalismo, perché quella era stata da sempre una soluzione utile. Per esempio, con il Fascismo, mano armata dei capitalisti e di quanti godessero di privilegi.

Pasolini, da parte sua, riteneva l’ipotesi datata, giacché il Capitalismo, per meglio affermarsi, aveva dato vita al Consumismo, non solamente un facilitatore di acquisti ma, perché si realizzasse, un attore del cambiamento di usi, costumi e modi di pensare che escludessero la religione. Secondo Pasolini, infatti, l’affermazione della “Società dei consumi” si sarebbe verificata solo con l’abbandono della spiritualità, di aspettative di premi o punizioni ultraterreni, dovendosi la gioia trovare solo in terra e soprattutto attraverso gli acquisti.

Faceva notare come i più importanti eventi della vita dell’uomo, la nascita e la morte, considerati fatti densi di sacralità, venivano degradati ad operazioni mediche, emotivamente asettiche, tant’è che non avvenivano più nelle case con famiglie e vicini, ma negli ospedali. Soprattutto il morire, oggi del tutto trasformato: niente lacrime e tristezza, un frettoloso rito funebre, meglio se nascosto; un fatto cioè da  eliminare dal nostro scenario di vita, invece scandito dalle tappe del gioioso consumo, che non ammette interruzioni.

Qualcuno ricco di idee positive potrebbe obbiettare che sia normale che, eventi così importanti, debbano essere sottoposti a particolari attenzioni cliniche e molti sarebbero d’accordo; quello che manca è magari vedere come la sacralità, di cui si è parlato, sia presente nelle religioni di tutto il mondo, forse perché è proprio l’uomo che la cerca.

Solo elidendo questi temi, pensava Pasolini, il Consumismo si sarebbe affermato e non sembra aver avuto torto, considerando ciò che sta accadendo all’Occidente opulento e materialista.

Si prenda ad esempio il Giappone e il  fenomeno crescente degli “Hikikomori”. Da Wikipedia : “Il fenomeno dello hikikomori può essere considerato come una volontaria esclusione sociale, una ribellione della gioventù giapponese alla cultura tradizionale e all’intero apparato sociale da parte di adolescenti che vivono reclusi nella loro casa o nella loro stanza senza alcun contatto con l’esterno, né con i familiari o amici. Oltre all’isolamento sociale gli hikikomori soffrono tipicamente di letargia, depressione, di comportamenti ossessivo-compulsivi e manie di persecuzione….”..

Questa spiegazione sembra individuare nella cultura tradizionale nipponica la responsabilità del disturbo, ma se così fosse perché è diffuso anche in parte del mondo occidentale? In Italia si stima che un individuo ogni 250 sia soggetto a comportamenti a rischio di reclusione sociale. Nel 2013, secondo la Società Italiana di Psichiatria, circa 3 milioni di italiani tra i 15 e i 40 anni soffrivano di questa patologia! Che cosa c’entra la cultura giapponese con l’Italia?

Si potrebbe sospettare che in tutto l’Occidentale venga proposta l’immagine trionfante dell’uomo di successo, potente perché ricco ed in grado di tutto consumare, immagine con la quale non tutti si sentono in grado di identificarsi, da cui la grave frustrazione, che sta dando questi risultati.

A quanti si chiedono come mai in USA non si parla di questi fenomeni si potrebbe rispondere che, forse il fenomeno lì sia ancora più grave, ma che, a causa delle scarse attenzioni ai temi sociali, non rappresenti, per loro, alcun problema.

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