È morta venerdì sera a Ghilarza a quasi 92 anni di età Diddi Paulesu, ultima dei nipoti e delle nipoti diretti di Antonio Gramsci [di Umberto Cocco]

Era figlia della sorella Teresina, la prediletta di Antonio, scrivono le biografie, in ogni caso quella con la quale scambiava le lettere più affettuose e complici, comprese alcune  inedite pubblicate solo di recente nell’edizione critica delle «Lettere dal carcere» – edizione Einaudi, collana I millenni. In una di esse Gramsci ringrazia la sorella per una “letterina” ricevuta proprio da Diddi bambina nel carcere di Turi nel 1932.

Nella stessa lettera Antonio scrive a Teresina di avere in cambio tradotto per loro «una serie di novelline popolari come quelle che ci piacevano tanto quando eravamo bambini e che anzi in parte rassomigliano loro, perché l’origine è la stessa»’. Parla delle favole dei fratelli Grimm: «Sono un po’ all’antica, alla paesana, ma la vita moderna, con la radio, l’aeroplano, il cine parlato, Carnera ecc. non è ancora penetrata abbastanza a Ghilarza percné  il gusto dei bambini d’ora sia molto diverso dal nostro d’allora»’.

Diddi aveva allora meno di tre anni. Aveva già un fratello e una sorella – Franco e Mimma –  e dopo di lei sarebbe arrivato il quartogenito, Marco. La madre, Teresina, dipendente delle poste – assunta nell’isolato avamposto di Lochèle, una stanza annessa alla caserma rurale nella campagna fra Olzai,  Sorradile e Sedilo di là dal Tirso – aveva sposato un dirigente dell’ufficio di Ghilarza originario di Senorbì, e a Ghilarza era tornata, per tutta la vita lavorativa nell’ufficio davanti alla parrocchia di San Palmerio.

Fecero studiare tutti i figli, sino alla laurea, Diddi in Giurisprudenza, ed è la sola che è tornata a Ghilarza sino alla morte in casa qualche ora fa. Insegnante di lingue alle medie, è stata sino all’altro ieri una elegante, sobria “Signorina Diddi”, le unghie colorate di smalto rosso, è rimasta nella memoria delle alunne come una figura intransigente e affettuosa, contribuivano a farne un mito i pregiudizi e i pettegolezzi, le invidie del paese bigotto e ancora in gran parte fascista e clericale negli anni cinquanta e sessanta, per la comunista atea alla quale quelle unghie rosse fornivano un che di diabolico suo malgrado, senza Dio e nipote di quel Gramsci gettato in carcere dal fascismo, mai accettato come proprio eroe sardo e ghilarzese, forse nemmeno ora.

Riservata ed essenziale, Diddi era però assai presente nella vita sociale e intellettuale anche al di là del suo paese. E’ in gran parte merito suo se la casa dei Gramsci al corso – ora meta di pellegrinaggi da tutto il mondo – è stata conservata nella sua dimensione e misura, complice Cini Boeri. L’architetta, e  un gran giro di intellettuali milanesi, torinesi e romani, mobilitati dalla sorella Mimma (che aveva sposato Elio Quercioli, vicesindaco Pci di Milano)  costruirono  fra la fine degli anni ’60 e la metà dei ’70 – con l’associazione Amici della Casa Gramsci – una difesa della memoria e della funzione dei luoghi di Gramsci, mentre le opere del pensatore conoscevano la diffusione maggiore, fra edizioni critiche dei «Quaderni» e la divulgazione e popolarizzazione delle «Lettere».

Anche la biografia di Gramsci scritta da Giuseppe Fiori nasce in quel contesto, con le lunghe chiacchierate del giornalista sardo (che sarebbe poi diventato senatore indipendente eletto nelle liste del Pci nella federazione di Oristano) con Teresina, Diddi e Mimma, alle quali si deve l’emersione del Gramsci sardo, sardo non solo per ragioni anagrafiche.

Mai da sola, con amici personali, comunisti ma non solo – i tre fratelli Manca, anzi, erano tutt’altro che comunisti, si alternavano nell’apertura della casa di Gramsci tutti i giorni – e con la sezione del Pci (nel 1975 viene eletto il primo sindaco comunista nella storia del paese, Tino Piras, Diddi sua sostenitrice autorevole), la federazione di Oristano, fidandosi di Aldo Aldrovandi che era una potentissima e prestigiosa figura di intellettuale milanese (cognato di Giulio Einaudi e direttore della libreria di via Manzoni), più di recente di Luca Paulesu (suo nipote, figlio di Marco),  Diddi ha tenuto botta per decenni, tutti i giorni a casa Gramsci, che teneva come un sacrario, informata e presente, mai travolta dai tentativi di appropriazione o di metter bocca in quel presidio dell’una o dell’altra associazione che si sono susseguite dopo la fine del Pci, la morte di Mimma e dei fratelli ( l’ultimo – Franco –  l’anno scorso).

Nessuna gestione della Casa Gramsci successiva al ritiro di Diddi ormai invecchiata e costretta a casa negli ultimi tre quattro anni,  ha saputo conservare il rigore della stagione segnata dalla sua presenza. E in fondo nemmeno l’apertura che lei garantiva, materialmente prima di tutto, e poi apertura al mondo cattolico, socialista, laico, in quella casa che accoglieva tutti, insieme Badaloni, Luporini, Spriano, con Nino Carrus, Arfè, Trentin, mentre organizzava convegni e concerti con Uto Ughi, Gaslini, Gazzelloni.

La fondazione Casa Gramsci nata qualche anno fa per gestire il museo, aveva Diddi nel comitato scientifico, a garanzia di un legame fra la gestione della casa e la famiglia del grande intellettuale, eredi consapevoli, questi ultimi –  di qualcosa di più di quelle mura del corso Umberto (questo è ancora il nome del corso principale di Ghilarza! Bell’affronto permanente alla memoria e alla storia).

Si deve a Luca e a Diddi la scoperta qualche anno fa delle riviste alle quali era abbonato il Gramsci adolescente e ”ghilarzese”, il meglio della pubblicistica letteraria e storica dell’Italia di allora, solo in minima parte note, e che portavano per quella sorprendente strada qualche respiro di modernità nel paesone agricolo di Teresina e dove stava crescendo Diddi.

La prof.ssa Diddi Paulesu – Luisa Emilia il suo nome all’anagrafe – sarà sepolta domani, domenica, alle 11, con rito civile, nel cimitero di Ghilarza.

 

 

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