Sono formato e informato, quindi sono [di Raffaele Deidda]

 

 

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La recente pubblicazione del rapporto annuale dell’OCSE, “Going for Growth 2013”, riporta  critiche molto pesanti al sistema scolastico italiano. In particolare, il rapporto rileva come le scuola italiana produca scarsi risultati nonostante l’elevato livello di spesa ed evidenzia che “dovrebbe fare di più per offrire migliori opportunità di formazione alle persone scarsamente qualificate”.

Non bastasse, l’indagine Isfol-PIAAC (Programme for the international assessment of adult competencies) rileva anche che gli adulti italiani sono gli ultimi fra i cittadini di 24 paesi europei per competenze in lettura e penultimi per competenze in matematica e nelle tecnologie digitali. Si tratta di competenze che prescindono dal saper leggere e scrivere ma che che attengono alla comprensione di testi scritti. Circa un terzo degli italiani, dalla lettura di un libro e/o di un giornale riesce ad acquisire soltanto informazioni semplici e ha serie difficoltà ad interpretare dati, grafici e tabelle. Limitatissimo, inoltre, è l’uso di internet per “acquisire informazioni, comunicare e svolgere compiti pratici”. Italiani popolo di disinformati, dunque?  Eppure è la storia a suggerire la semplice constatazione:“Sono informato e dunque sono”, risultando evidente la versione negativa: “Non sono informato e dunque non sono”. Anzi, non esisto.

 

Così, in tempi neppure troppo lontani, quante persone sono morte in nome di ideali falsamente trasmessi da chi li mandava al massacro, quanti lavoratori convinti che i padroni avessero sempre ragione e che dunque era necessario accettare salari di fame, quante persone di fede convinte che per andare in paradiso bisognava rassegnarsi alla miseria! Tutte vittime di mancanza di informazione vera. Ne costituisce metafora la storia dei soldati giapponesi che dopo la guerra continuarono a vivere per trent’anni nelle giungla, ignoranti del fatto che il loro imperatore non era un dio invincibile e che la guerra era finita. Ancora oggi c’è chi muore perché le grandi imprese soprattutto chimiche, metallurgiche e farmaceutiche, non informano i propri dipendenti e l’opinione pubblica sulla pericolosità delle loro produzioni. Senza informazioni,  o con informazioni ridotte o falsate, viene meno lo stesso concetto di democrazia perché non è possibile valutare consapevolmente idee, programmi, persone. Non è neppure possibile verificare i risultati delle proprie scelte. La mancanza di informazioni copre inoltre poteri occulti, criminalità, lobbies, massonerie.

 

Non c’è da sperare di ricevere informazioni veritiere per divina o sovrana concessione. C’è sempre la necessità di verificare le fonti, di pesare le notizie confrontandole fra loro nella consapevolezza che cercare informazioni è un lavoro difficile ma significa cercare la verità. Perché dalla mancanza di informazione consegue la gracilità della nostra democrazia, complice la crisi economica che ha aggravato il fenomeno. Se c’è da tagliare il bilancio familiare è quasi automatico cominciare dall’acquisto di giornali e di libri. Tanto c’è la televisione, pensano in molti. C’è la Rai ma c’è soprattutto, ancora, Mediaset. Che continua a cercare di convincere gli italiani che Silvio Berlusconi è vittima di un’infame persecuzione giudiziaria. I media di parte non vogliono  informare il lettore o l’ascoltatore, ma convincerlo che lo stanno informando.

 

Si può immaginare che le famiglie in condizioni di povertà assoluta, che costituiscono circa il 7% del totale delle famiglie italiane, possano permettersi  l’acquisto anche di un solo quotidiano al giorno? No di certo. La televisione però entra anche nella case di quelle famiglie, che costituiscono un enorme terreno di caccia per tutti i berluscones d’Italia. Che non sono solo i “lealisti”del Pdl,  ma anche uomini e donne di centrosinistra che dal berlusconismo hanno appreso le arti della visibilità e dell’apparenza per sopperire alla carenza di capacità e di competenza.

 

Intanto è sempre più drammatico il fenomeno dei “Neet (Not in Education, Employment or Training): Un esercito di due milioni di giovani tra i 16 e i 29 anni che non studiano e non lavorano e che in termini di competenze alfabetiche sono di 8 punti sotto la media nazionale.  Per arginare il preoccupante fenomeno l’Associazione nazionale insegnanti e formatori ha chiesto che venga portato a 18 anni  l’obbligo  dell’istruzione e che venga maggiorato il tempo scuola, ridotto del 10% con la riforma Gelmini. La risposta del Governo, per bocca dei ministri Giovannini e Carrozza, è la prossima costituzione di una commissione di esperti che entro 45 giorni dovrà proporre specifiche misure con obiettivi a breve e medio termine.

Se, come sostiene il presidente del Consiglio Enrico Letta, è finito un ventennio, è fondamentale che gli anni a venire siano caretterizzati, a partire dall’immediato, dal massimo sforzo degli amministratori pubblici e della classe dirigente a tutti i livelli per recuperare il gravissimo gap di incultura e di ignoranza dei tanti, troppi cittadini italiani, soprattutto dei giovani. Non solo per soddisfare un’esigenza di tipo economico-sociale, ma anche per il bisogno vitale di rivitalizzare un concetto di democrazia svilito e mortificato dal ventennio berlusconiano.

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