Sigismondo Arquer : un processo senza prove [di Fiorella Pilato]

Calarisarquer

Pubblichiamo l’intervento letto da Fiorella Pilato in piazza San Cosimo in occasione della FAIMARATHON Cagliari… tra bianchi colli e piazze svoltasi a Cagliari domenica 12 ottobre un percorso che ha coinvolto 10 piazze della città ed un centinaio di accademici, studiosi, professionisti, intellettuali, artisti che si sono prestati a fare i “ciceroni speciali” per spiegare la bellezza della città del sole (NdR).

Questa piazza sorge intorno a un’antichissima chiesa paleocristiana e fu teatro, secondo la leggenda, del martirio di cristiani che non vollero abiurare il loro credo, temuto da chi allora deteneva il potere. Mi richiama alla mente la storia di Sigismondo Arquer, cittadino cagliaritano di grandissima cultura europea, umanista raffinato e giurista, che subì il martirio del rogo nel 1571 per tener fede a se stesso e alla propria dirittura morale.

Fu vittima della prepotenza dei poteri forti della sua epoca: i feudatari locali, dei quali aveva ostacolato soprusi e illegalità, e il clero del quale aveva segnalato depravazioni, ignoranza e sottrazione di ricchezze destinate ai poveri.

Aveva avuto l’incarico dal Consiglio della città di provvedere all’approvvigionamento annonario e poi ricoperto l’alta carica di avvocato fiscale per la Sardegna, misurandosi con l’ingrato compito di dover toccare gli interessi delle consorterie nobiliari che spadroneggiavano nell’isola ed esportavano abusivamente grano, mentre Cagliari era minacciata dalla carestia; nel suo ruolo arrivò a confermare l’arresto di don Salvatore Aymerich come mandante dell’omicidio di Gerolamo Selles, fratello del magistrato pubblico Bartolomeo, avversario della potentissima famiglia e a sua volta intimidito e oltraggiato per aver accusato i feudatari di speculazioni illecite sul grano.

Le grandi famiglie della nobiltà feudale – Aymerich, Aragall, Torrellas e Zapata – fecero pagare ad Arquer la sua capacità e il suo rigore. Riuscirono a liberarsi di questo personaggio scomodo con una denuncia strumentale di eresia al Tribunale dell’Inquisizione, dopo aver tentato invano di farlo fuori fisicamente e di screditarlo con false accuse di corruzione.

L’accusa era di luteranesimo, nel quale si faceva rientrare ogni critica documentata ai ministri della Chiesa, sebbene relative a cattive condotte nella vita privata e in campo economico e finanziario. I capi d’accusa comprendevano i suoi rapporti col cartografo di Basilea Sebastiano Münster, su richiesta del quale aveva scritto in gioventù la sua famosa Sardiniae brevis historia et descriptio descrivendo anche la vita dissoluta di ecclesiastici sardi; i suoi contatti con altri esponenti protestanti dell’intellighentia nordeuropea; la divulgazione in Sardegna e in Spagna di opinioni ereticali.

Giocò a suo sfavore il fatto di aver difeso e fatto assolvere il commerciante cagliaritano Mattia Malla, accusato di “patti col diavolo; ma anche e soprattutto la paura per l’avanzata borghese sostenuta dal nuovo ceto burocratico e l’invidia per il suo sconfinato sapere di nobili prevaricatori e ignoranti, oltre al fatto di aver condannato apertamente arbitri e ingiustizie dei ministri dell’Inquisizione.

Si trattò, naturalmente, di un processo inquisitorio, istruito in segreto.Significa che all’indagato venivano taciute le fonti di prova, impedendogli un’efficace difesa. Le garanzie difensive, che impongono la discovery degli elementi d’accusa e riconoscono il diritto all’incolpato di interrogare l’accusatore e portare prove a discarico, sono acquisizione recente della cultura giuridica e del processo penale.

Fu usato contro di lui anche un “pentito”, il francescano Arcangelo Bellit che dopo aver ammesso i propri delitti era stato condannato all’ergastolo per aver negato l’esistenza del purgatorio e la presenza di Cristo nell’ostia; diventato accusatore segreto di Arquer, ottenne la riduzione della pena a soli 3 anni di carcere, poi mutati in una semplice nota di biasimo.

Sigismondo Arquer, mente brillante, cercò ugualmente di difendersi in un processo che sapeva originato da rancori personali degli avversari, alimentato da concreti interessi economici del ceto dominante e inquinato da pregiudizi religiosi. Contestò l’attendibilità delle accuse in un memoriale in cui indicò nomi e moventi d’inimicizia di chi immaginava avesse testimoniato a suo carico, che nel processo rimanevano anonimi.

Nella psicosi collettiva seguita allo scisma di Lutero, contenuto e circostanze della sua Historia, nel frattempo tradotta in italiano, furono sufficienti a incastrarlo.
Le sue sapienti argomentazioni giuridiche e canoniche furono considerate espressioni di protervia, la sua fermezza nel rifiutare l’abiura delle proprie idee fu letta come una conferma di colpevolezza.

Dopo aver sopportato otto anni di carcerazione preventiva e la tortura, non volle mentire per salvarsi e con fierezza dichiarò di preferire la morte.

3 Comments

  1. pier nicola simeone

    una grande figura, una grande lezione di dignità… se si cambiasse la data de “sa die e sa Sardigna” al giorno del rogo di Toledo che ne causò la morte, 4 giugno 1571, questa data non acquisterebbe maggiori, e certi, significati?

  2. Alberto Mario DeLogu

    Articolo interessantissimo, nota tecnicissima: se proprio vogliamo usare il termine giudirico inglese (e non quello italiano, che preferirei) dovremmo parlare di “disclosure” degli elementi d’accusa, e non di “discovery”.

  3. Pingback: Il “Giordano Bruno sardo” nemico dell’Inquisizione: Sigismondo Arquer - Me and Sardinia

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