Gli intellettuali, il pozzo e le stelle [di Silvano Tagliagambe]

antonio

Tornano a risuonare gli echi di attacchi sinistri agli “intellettuali dei miei stivali”, anche in luoghi e da parte di personaggi che dovrebbero, per tradizione, essere refrattari a questo tipo di foschi richiami. Questo clima rende particolarmente attuale l’arguta opera di reinterpretazione che un mio più giovane amico e collega, Luciano Bazzocchi, sulla scia autorevole di Gadamer, ha di recente compiuto sul brano del Teeteto di Platone in cui Socrate narra di “Talete, il quale mentre stava mirando le stelle e aveva gli occhi in su, cadde in un pozzo; e allora una sua servetta di Tracia, spiritosa e graziosa, lo motteggiò dicendogli che le cose del cielo si dava gran pena di conoscerle, ma quelle che aveva davanti e tra i piedi non le vedeva affatto”. “Questo motto – commenta Socrate – si può ben applicare egualmente a tutti coloro che fanno professione di filosofia”.

Dunque i filosofi, e gli intellettuali in genere, a detta di un loro grande maestro, avrebbero il vizietto di vivere sulle nuvole, di guardare troppo in alto, trascurando le cose terrene e concrete, la quotidianità e il vissuto. Sono talmente immersi nella ricerca di verità astratte e teoriche da essere privi di buon senso. Per questo vengono giustamente puniti cadendo nel pozzo e suscitando le risate persino di una servetta. Risulterebbe quindi pienamente giustificato lo scherno di cui sono fatti oggetto anche oggi dai politici, che invece sono costantemente alle prese con la realtà e impegnati a risolvere i problemi che essa quotidianamente pone.

La storiella viene ripresa pari pari da quasi tutti i manuali di storia della filosofia, sì, proprio quelli con i quali si pensa di formare all’esercizio del pensiero i nostri studenti: addirittura uno ha scelto come titolo per proporre il proprio percorso didattico alla scoperta della filosofia appunto Le stelle di Talete, e già nella quarta di copertina si limita a riportare tale e quale l’aneddoto, considerato talmente noto e istruttivo da prestarsi bene a fare da “marchio” attraente a un libro di testo.

Il fatto curioso e interessante è che basta conoscere un po’ di storia delle osservazioni astronomiche e i metodi seguiti dagli antichi ricercatori per studiare meglio le stelle (metodi che ben conoscevano anche i nostri contadini) per rendersi conto che Talete non era caduto, bensì si era calato volontariamente in un pozzo secco perché questo fungeva anticamente da cannocchiale. Infatti grazie all’effetto di oscuramento e di schermaggio, reso possibile dalle sue pareti, si può registrare con maggiore precisione l’orbita delle stelle che si trovano nella direzione di osservazione e si può inoltre vedere molto di più che non ad occhio nudo.

I pozzi dunque hanno una caratteristica decisiva: schermano l’osservatore dalla luce riflessa del sole o della luna. I contadini che si trovavano a scavare in fondo a un pozzo hanno spesso riferito che di laggiù, anche di giorno, capita di vedere alcune stelle, che ci sono come di notte, ma non si vedono perché la luce del sole, riflessa dall’atmosfera, supera la loro luminosità. Schermando la semisfera della volta celeste e limitandola a una porzione di pochi gradi, il riflesso diminuisce e, verso sera, le stelle compaiono molto prima e molto più evidenti. Inoltre, l’occhio dell’osservatore in fondo al pozzo si abitua all’oscurità ed è più sensibile alla fioca luce degli astri.

L’aneddoto, quindi, così come viene raccontato da secoli è frutto di un autentico e clamoroso fraintendimento linguistico: la proposizione teleologica “Talete è nel pozzo al fine di osservare le stelle”, viene trasformata in una relazione di causa/effetto: “Talete è caduto nel pozzo per voler troppo osservare le stelle”.

Qual è la morale di questa storia? Che presentare i filosofi e gli intellettuali come persone distratte e pasticcione, destinate inevitabilmente a finire nella polvere, mentre i politici “sull’altar” si preoccupano con dedizione e sapienza dei destini dei loro simili, di cui cercano di alleviare le pene, è un esercizio sterile e stolto di volgare falsificazione della realtà per pura ignoranza o per accreditare senza fatica la propria miope visione delle cose.

Bisognerebbe invece che proprio i politici imparassero dagli intellettuali autentici, quelli che fanno della loro vita un esercizio genuino e costante di studio e di ricerca per sforzarsi di capire sempre meglio la realtà che li circonda, a calarsi di proposito nei pozzi per vedere meglio le stelle, anche quando la loro luce è fioca. Perché la capacità di cogliere anche i segnali più deboli, ma non per questo meno importanti e significativi, che provengono dalla realtà, calandosi nei pozzi, è fondamentale e imprescindibile per il buon esercizio della politica.

One Comment

  1. Romano Cannas

    Condivido totalmente il bell’articolo di Silvano Tagliagambe. L ‘ insofferenza dei politici verso gli intellettuali ( categoria peraltro sempre più rara ) è una vecchia storia ma Renzi ne ha fatto un suo cavallo di battaglia per mascherare la propria superficialità. Ecco perché tanto disprezzo verso i “professoroni” persino da una graziosa quanto modesta servetta che alla lotteria della Leopolda ha vinto il premio “ministro delle riforme”.
    Speriamo che il metodo Leopolda ( fedeltà al capo e inesperienza ) non si applichi anche al Quirinale.

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