Quanta bellezza [di M.Tiziana Putzolu]

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Ottobre 1943. La piccola iniziò a muovere i suoi primi passi. Che precocità, osservavano i nonni, sempre pronti a valutare come sbalorditivi i normali quotidiani percorsi di crescita della piccola della famiglia. Quel pomeriggio, con quel sole autunnale un po’ velato e bagnato dall’umido che saliva dal lago, Nina faceva due passi con la piccola nel giardino di Villa Ada. Sul lago Maggiore. Oltre quel perimetro non era conveniente avventurarsi. Le SS erano sempre nei paraggi. Il parco era talmente grande che non vi era affatto bisogno di varcarne la soglia.

Da dietro le ampie vetrate dei saloni della villa i genitori non perdevano d’occhio la giovane e la sua bambina. Erano dei ferraresi giunti a Baveno come profughi. Da Tripoli. Gli altri uomini della famiglia, nella fuga, si erano divisi in diverse zone del paese. Chi in Sardegna, a seguito dei grandi mezzi per il movimento terra della loro impresa ormai militarizzata. Altri a Roma. Erano imprenditori, a Tripoli. Quelli che avevano costruito la via Balbia.

Ad un tratto l’anziano Achille notò degli individui avvicinarsi alla riva del lago, camminare e muoversi con circospezione. Notò anche degli ammassi intorno ai quali si aggiravano alcuni uomini in divisa. Spingevano quegli ammassi verso le acque del lago, facendoli rotolare aiutandosi con i bastoni che impugnavano. Alcuni misero in acqua delle barche appoggiate sulla riva. Da sopra le piccole imbarcazioni aiutavano gli uomini a terra a portare verso acque più profonde gli ammassi. Qualcosa era emersa verso il centro del lago e galleggiava.

Raggiunsero, remando, gli ammassi affiorati. Di nuovo con i bastoni tentavano di mandare a fondo quelle che in lontananza apparivano sagome informi. Achille prese allora un binocolo. Voleva capire cosa stava succedendo dinanzi casa sua. Che succede, chiese Cosetta che lo vide impallidire di colpo. Niente, rispose Achille. Niente. Non preoccuparti. Ripose il binocolo e si sedette su una savonarola. Si prese la testa tra le mani e disse a Cosetta di richiamare figlia e nipote dal giardino. Subito! Disse. Falle rientrare subito in casa.

Settembre del ’43. Villa del Castagneto era una delle più belle e lussuose ville sul lago Maggiore, immersa in un immenso castagneto e noccioleto. Il parco della Villa, nel quale in primavera fiorivano superbe ortensie lungo i sentieri, tanto grande che due ruscelli ne delimitavano il perimetro. La signora Olga e le sue belle e studiose figliole avevano conosciuto i nuovi che stavano nella villa vicina. Anche se erano sempre tutti rintanati dentro casa.

Quella sera avevano appena finito di cenare. Una cena assai frugale. Silvia e Maria Grazia, sedici e diciotto anni, erano salite nelle loro stanze. L’ingegnere, tornato da poco da Londra dove dirigeva la filiale londinese della Pirelli, era seduto in poltrona. Indossava una camicia bianca e dei pantaloni grigi. Teneva le gambe accavallate e tentava di leggere un libro fumando una sigaretta. La moglie Bice e la sorella di lei, Olga, che era andata a trovarli da qualche giorno, davano una mano alla domestica a rimettere a posto le stoviglie in cucina. Il clima in casa era assai teso.

Bussarono alla porta ed irruppero nella Villa a tarda sera. Il podestà non riuscì ad avvisarli. Costretto dal ten. Schnelle, fece accompagnare da un vigile urbano le SS dell’Obersturmführer a Villa del Castagneto dove era alloggiata la famiglia israelita. L’ingegnere, Mario, non esitò a riconoscere i portatori di morte alla sua porta. Al trambusto le ragazze scesero impaurite al piano inferiore. La domestica fuggì in cantina. Fu la sua fortuna. Siamo brave persone, disse alle SS l’ingegnere alzatosi in piedi per tentare una mediazione. Il libro cadde per terra aperto a metà. Aveva capito cosa stava per succedere. La sua vita, quella della sua famiglia, gli era passata davanti. Perché era tornato da Londra, si chiedeva? Perché non aveva portato via da lì la sua famiglia? Uno delle SS urlò Non brave persone. Giudei, la rovina dell’Europa. E quindi Kaputt.

Le ragazze piangevano disperatamente. Si abbracciarono per la paura. Furono legate per i polsi dalle SS di fronte agli atterriti genitori e trascinate con forza fuori di casa. Si sentì uno sparo. Poi un altro. Bice ed Olga gettarono un urlo strozzato. Furono freddate anche loro. Infine, fu la volta di Mario. Il ten. Schnelle si guardò intorno. Quanta bellezza, pensò. Poi diede un calcio al libro. E uscì. Li trascinarono esanimi e li gettarono su una camionetta. Legarono loro polsi e piedi con del filo spinato. Si avvicinarono alle sponde del lago, nella notte, e li gettarono in acqua. Giudei. Kaputt.

Dalla metà di ottobre del ’43, ogni mattina, fino alla fine dei suoi giorni e finché lo sostennero le forze, Achille scendeva sulle rive del lago e deponeva in riva un mazzolino di fiori rossi. Alla fine della guerra gli altri uomini della famiglia, tornati a casa, acquistarono Villa del Castagneto dall’Egeli, l’Ente che si occupava dei beni espropriati agli ebrei. Era vuota da tempo. Non era di nessuno.

Gli eccidi degli ebrei nel novarese sono stati documentati dall’ANPI.

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