La rivoluzione dell’illuminazione elettrica in Sardegna: 1915-2015 [di Guido Pegna]

 

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Il 20 dicembre 2013 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2015 Anno Internazionale della Luce e delle Tecnologie basate sulla Luce. Il tema è troppo vasto per poterne parlare qui con un minimo di utilità. Infatti esso comprende, per esempio, e in senso lato, tutte le meravigliose informazioni che ci arrivano dalle stelle e dall’universo, attraverso le onde radio, la luce, i raggi infrarossi, fino ai raggi gamma; tutte le applicazioni di quella straordinaria invenzione del secolo scorso, il laser, sorgente di luce che non esiste in natura e che troviamo ormai sia nei lettori dei codici a barre nei supermercati che nei più impressionanti progetti di produzione di energia a basso costo; nei sistemi di interferometria con fasci laser lunghi chilometri per la rivelazione (forse) delle onde gravitazionali; per la creazione del freddo assoluto con il raffreddamento di atomi, e in innumerevoli altre.

Tutto ciò per non parlare del fatto che l’esistenza nostra e di tutto ciò che vive su questo piccolo globo chiamato Terra deriva e continua a esistere grazie alla luce che ci manda la nostra stella.

Voglio qui raccontare una storia minore: quella di due rivoluzioni. La prima è quella che avvenne nella nostra isola nei primi anni del secolo scorso; la seconda che è in atto ai nostri giorni, esattamente dopo cento anni, e di cui forse non ci stiamo accorgendo. È la storia dell’illuminazione elettrica, in cui tanta parte ha avuto uno scienziato che lavorò in Sardegna e che è uno dei grandi del mondo moderno: Antonio Pacinotti.

A Ozieri il 10 giugno del 1906 venne firmato il capitolato d’appalto per l’istallazione di una rete elettrica di illuminazione pubblica. La ditta appaltatrice si impegnava a illuminare la cittadina con duecento lampade da 16 candele di potenza (1): in cambio il Comune concedeva alla ditta il monopolio dell’illuminazione per trent’anni.

Dalle cronache cittadine dell’epoca, riportate nella Nuova Sardegna del 13 aprile del 1907, si apprende che alle ore 20 la Piazza Cantareddu di Ozieri, prima in Sardegna, fu illuminata, fra lo stupore generale, dalla luce elettrica invece che dai fanali a petrolio allora esistenti nel centro dell’abitato. Ma l’energia elettrica era già arrivata da molti anni. Prodotta localmente con piccoli generatori a vapore, aveva trovato applicazioni in quella che a quei tempi era in Sardegna una delle industrie più avanzate d’Europa: quella mineraria. Fu usata per l’illuminazione delle miniere in sostituzione delle lampade Davy a fiamma di petrolio, che segnalava la presenza del pericolosissimo grisou spegnendosi, ma non totalmente immuni dal provocare a loro volta esplosioni. Le lampade elettriche erano intrinsecamente sicure.

Nel 1883 fu illuminata con le nuove lampade ad incandescenza con filamento di carbone la miniera di Monteponi, poi le miniere di Malfidano, Montevecchio e man mano altre del Sulcis. A Cagliari fu istallata l’illuminazione elettrica nello stabilimento molitorio di Luigi Merello con una dinamo azionata dalla stessa motrice a vapore che faceva funzionare il mulino. Altre attività, come il pastificio Lotti e Magrini, la Manifattura Tabacchi, e a Sassari il mulino Azzera ebbero l’illuminazione elettrica.

Come abbiamo visto, i sistemi impiegati erano a corrente continua generata da dinamo. La storia della dinamo, una delle dieci invenzioni che sconvolsero il mondo, è quella di un’altra avventura che ebbe, come abbiamo accennato, la Sardegna come incubatrice. La grande invenzione di Antonio Pacinotti è del 1854, ma fu perfezionata e sviluppata durante il periodo in cui lo scienziato fu direttore dell’allora Gabinetto di Fisica della nostra Università fra il 1873 e il 1881. Per la prima volta divenne disponibile energia elettrica in quantità industriali. L’invenzione contribuì a quella che è stata chiamata “la seconda rivoluzione industriale”. Il Museo di Fisica di Sardegna (2) ospita, fra i suoi cimeli, una delle tre “macchine magneto-elettriche” esistenti al mondo costruite da Pacinotti a Cagliari.

Ancora prima che l’illuminazione elettrica si diffondesse nelle città e nelle case, in Sardegna si erano avuti dei tentativi pionieristici di breve durata. Nel 1888 destò meraviglia un sistema sperimentale di illuminazione elettrica nel Teatro civico di Cagliari con 200 lampade, ancora a filamento di carbone, alimentate da una dinamo azionata da una motrice a vapore. Nel 1899, in occasione della visita dei reali d’Italia a Sassari, fu istallato nel palazzo della Provincia un sistema di illuminazione elettrica.

Dopo questi tentativi sporadici e provvisori, si dovette arrivare al 1914 per la costruzione della prima centrale termoelettrica della Società Elettrica Sarda (S.E.S.) a Cagliari, alimentata a carbone, della potenza di 1715 KW . L’anno dopo, esattamente cento anni fa, Cagliari ebbe una estesa rete di illuminazione elettrica pubblica, l’energia elettrica fu disponibile nelle abitazioni e entrarono in esercizio tre linee tranviarie elettrificate. Nello stesso anno la S.E.S. costruì, per alimentare le attività minerarie, la potente centrale termica di Porto Vesme da 6.000 KW, alimentata con il carbone del Sulcis. È interessante il fatto che nel 1920 Carlo Emilio Gadda, tornato dalla prigionia e appena laureato in ingegneria elettrotecnica, ebbe il suo primo impiego nella centrale di Porto Vesme.

La diffusione dell’illuminazione elettrica provocò importanti mutamenti nella vita delle persone. Le giornate si allungarono, nelle fabbriche divennero possibili turni per tutte le 24 ore, le strade divennero più sicure, apparvero i ritrovi notturni; le statistiche dell’epoca rivelano una netta diminuzione delle nascite.

Le lampadine elettriche a incandescenza hanno anch’esse una storia interessante. La loro introduzione risale al 1880, anno del brevetto di T.A. Edison, il grande inventore americano, che rese possibile la produzione su larga scala delle lampadine con filamento di carbone, che però avevano durata di poche ore. È di Edison anche il brevetto degli attacchi a vite, che sono restati inalterati fino ai nostri giorni con i nomi E14 per quello piccolo, detto mignon, ed E27 per quello più grande (la lettera E sta per Edison, il numero è il diametro in millimetri). Le lampadine a filamento di carbone furono le uniche in uso fino ai primi anni del ‘900. È infatti solamente nel 1903 che William Coolidge introdusse in commercio le lampadine con il filamento di tungsteno, che è quello delle lampadine che usiamo ancora oggi, con il quale la durata delle lampadine raggiunge le 1000 ore (3).

In realtà, anche se nelle nostre case abbiamo ancora delle lampadine a filamento di tipo “classico”, dal 2009 la Comunità Europea ha cominciato a vietarle secondo un programma di progressiva eliminazione, ed esse diventano sempre più rare nei negozi. È questa la silenziosa rivoluzione a cui abbiamo accennato. Già da alcuni anni, stimolati da tambureggianti pubblicità e da una sorta di emulazione ecologista abbiamo cominciato a sostituire gradualmente le lampadine a filamento con quelle “a basso consumo”, che durano molto di più e consumano effettivamente meno, anche se costano molto di più e la luce che producono non è gradevole e morbida come quella a cui eravamo abituati. In compenso sono comparse delle strane lampadine, ancora con il filamento di tungsteno, ma racchiuso dentro un piccolo bulbo di quarzo all’interno di quello normale.

Ma la rivoluzione avanza inesorabile, e rapidissima. Anche le lampade a basso consumo hanno gli anni, e forse i mesi contati. Stanno per essere sopraffatte dalle lampade a LED (Diodi Emettitori di Luce, oggetti elettronici sofisticati), anch’esse con molta elettronica all’interno per la loro alimentazione, dal rendimento luminoso ancora superiore ma molto più costose. A tutt’oggi non è chiaro se quello che paghiamo in più per l’acquisto verrà compensato dal minore consumo.

Sembra che per ora sia finita? Assolutamente no. Sono in arrivo lampade a LED che verranno accese e spente via Wi-Fi, il sistema di scambio di dati digitali via radio a breve distanza in uso fra computer, telefonini, tablet e altri dispositivi come router domestici, antifurto, ecc.

Gli impianti elettrici nelle case saranno enormemente semplificati. Spariranno gli interruttori sulle pareti, e tutto potrà essere azionato e programmato con un telecomando piccolo come quelli della TV, o anche a distanza, attraverso una connessione internet con un telefonino o con un computer. Anche le prese di corrente subiranno la stessa sorte. Le abitazioni e gli uffici diventeranno sede del trionfo di quella nuova tecnologia che è conosciuta come “domotica”.

Cosa succederà quando le pile del telecomando saranno scariche? Saremo costretti a ricordarci di mettere in carica tutte le sere un ulteriore incomprensibile fastidioso oggetto elettronico? Quanto costeranno e quanto dovremo aspettare per gli interventi di tecnici specializzatissimi, come quelli del film “Brasil”, quando qualcosa smetterà di funzionare? Appariranno tecnici clandestini, come in quel film? Per una potenza totale istallata di 3200 W: poco maggiore di quella dei contratti minimi che stipuliamo oggi con l’ENEL per la fornitura di energia ad una singola abitazione!
(1) Il Museo di Fisica di Sardegna si trova presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Cagliari, nella nuova città universitaria di Monserrato ed è visitabile liberamente. Nel museo è a disposizione del pubblico, che la può azionare, anche una perfetta copia della dinamo di Pacinotti costruita dal grande C. De Rubeis durante la direzione del museo da parte dell’autore di questo articolo.
(2) In realtà la durata delle lampadine potrebbe essere molto maggiore. Il 23 dicembre 1924 i principali produttori europei e statunitensi di lampade ad incandescenza firmarono a Ginevra il “Cartello Phoebus”, con un termine ideale per il 1955, saltato nel 1939 a causa della guerra mondiale, un accordo per limitare la durata delle lampade ad incandescenza a 1000 ore. È questo storicamente uno dei primi esempi di obsolescenza pianificata a scopi commerciali.

*Pubblicità di lampade elettriche (1897)

 

 

One Comment

  1. Gianluigi Pili

    Un bel racconto che, praticamente ci coinvolge tutti in prima persona.
    Vorrei aggiungere qualche considerazione: I cagliaritani meno giovani ricorderanno che il palazzone dell’Enel in via Roma prima che venissero imposte regole di risparmio energetico, illuminava la sua facciata accendendo strategicamente la scritta ENEL. Pochi ricorderanno che prima dell’acquisizione da parte dell’Enel delle varie società di produzione elettrica, nello stesso palazzo veniva fatta comparire la scritta SES (Società Elettrica Sarda). A proposito della longevità delle lampadine ad incandescenza può essere interessante ricordare che una lampadina in una caserma dei vigili del fuoco in California è accesa ininterrottamente dal 1901, e sono quasi un milione di ore. Vorrei anche ricordare che prima che l’Enel accorpasse tutte le società elettriche, a Cagliari veniva erogata corrente elettrica a 160 volt e il giorno in cui venne cambiato lo standard di erogazione tutti dovettero dotarsi di appositi trasformatori per evitare che gli elettrodomestici (pochi) in funzione si guastassero. A casa mia molte lampadine resistettero ancora molti anni, gli apparecchi radio spesso avevano già un selettore di tensione, i primi televisori venivano comunque dotati di un filtro di tensione e di protezione dagli “sbalzi elettrici” . Un’ultima curiosità: Insieme alla bolletta del consumo elettrico (che era una scheda perforata) veniva spedito agli utenti un opuscolo con qualche articolo, qualche vignetta e qualche semplice cruciverba, tutti legati all’uso della corrente elettrica.

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