Che ne sarà dei suoli delle aree soggette al governo a ceduo nel Marganai? [di Sergio Vacca]

ceduo

L’intervento di Giuseppe Delogu mi permette di chiarire aspetti del mio contributo del 12 u.s. in questo sito. Come quelli di Giuseppe Pulina e di Roberto Scotti, è dentro il dibattito tra persone, caratterizzate da diverse esperienze scientifiche e professionali ma accomunate dallo stesso interesse di salvaguardare il patrimonio naturalistico dell’isola. Mi permette di formulare a Giuseppe Delogu, forestale e studioso di suoli forestali, la domanda: che ne sarà dei suoli delle aree soggette al governo a ceduo nel Marganai?

Nel mio intervento precedente ho ritenuto che la persona a cui porla fosse Mauro Agnoletti; docente di Assestamento forestale a Firenze, che, nel suo argomentare, è apparso l’interlocutore che avrebbe potuto dirimere le controversie sorte con l’articolo di Stella e con il dibattito che ne è seguito. La ripropongo perciò a Giuseppe Delogu, che ne ha competenza scientifico-tecnica e anche esperienza.

Ciò che lui afferma credo sia vero e risponde alla buona pratica del “governo a ceduo”. Che pare, per storia e prassi, possa essere l’optimum per quei boschi. Ciò che viceversa domando è se le pratiche adottate siano adatte ad eliminare, o quantomeno contenere, l’erosione del suolo in un’area estremamente delicata come quella del Marganai. Che, come giustamente fa notare Delogu, insiste non solo su formazioni calcaree, ma anche sui graniti. Quanto a lunghezza dei processi pedogenetici (processi di formazione dei suoli), non cambia una virgola. Sono processi complessi ed estremamente lunghi in tutti e due i casi.

Il maggior studioso di Scienza del Suolo in Sardegna, Angelo Aru, dopo un sopralluogo ha suggerito alcune prescrizioni indispensabili per contenere l’erosione nelle fasi di taglio e di ricrescita delle piante. Credo sarebbe importante che se ne parlasse in questo dibattito e in altri nei quali possano emergere e venir divulgate le opinioni a confronto. Credo sarebbe oltremodo utile conoscere i primi risultati del taglio già effettuato su alcune decine di ettari. Riguardo al controllo dei processi erosivi, mi permetto di suggerire l’adozione di tecniche, internazionalmente riconosciute, a scala parcellare e di bacino, di misura del carico solido delle acque fluenti, che andranno implementate con urgenza prima che comincino le piogge.

Inoltre, sono da auspicare, controlli speditivi sul top soil – termine, internazionalmente riconosciuto, che indica l’orizzonte superficiale del suolo – nell’area già interessata ai tagli per verificare, anche attraverso l’utilizzo di droni, se siano già presenti forme di erosione dei tipi laminare o incanalato. Mentre per l’intero territorio, sarebbe utile fare delle simulazioni sull’erosione potenziale, sia in condizioni di copertura attuale, sia in condizioni di copertura ridotta dal ceduo (es. U.S.L.E. Wischmeier e Smith, 1975-1978, con R calcolato secondo le ricerche di Seuffert a Piscina Manna).

Due questioni, infine. Perché ho fatto cenno alle multinazionali che praticano il Land grabbing con gli impianti di energie rinnovabili? Perché con il contenuto dell’ultimo capoverso del suo intervento, Agnoletti ha evocato scenari che hanno dell’apocalittico. Basti pensare all’industria e alle altre iniziative spacciate per risolutive delle condizioni di arretratezza della Sardegna, che hanno consumato suoli e lasciato macerie. Frasi come “in Sardegna vengono gestiti con il taglio a ceduo poco più di 100.000 ettari, quindi non si può certo dire che poche centinaia di ettari portino a sostanziali modifiche dei caratteri del paesaggio sardo” toccano la sensibilità e spaventano.

L’altra questione riguarda le istituzioni. Sono stato uomo delle istituzioni e continuo ad esserne profondamente rispettoso. Il problema, semmai, sono gli uomini. Ho sommessamente posto una domanda e la ripropongo. Riterrei, da cittadino attento alla salvaguardia del paesaggio sardo, che debba essere data una risposta non genericamente accademica, ma strettamente legata alla natura dei luoghi di cui si tratta.

Spero che il dibattito attivato da Sardegna Soprattutto, che ha il merito di tenere accesa la discussione su aspetti fondanti della Sardegna, possa continuare sotto l’egida del FAI per mantenerlo sul piano del dialogo scientifico-tecnico, e risultare utile, non solo per tenervi fuori i mestatori di professione, ma soprattutto per estendere al governo delle restanti aree forestali dell’isola esperienze positive di ceduo realizzate salvaguardando l’integrità dei suoli e dei paesaggi forestali della Sardegna.

3 Comments

  1. Mariano

    Capisco che la specializzazione porti a vedere solo nel dettaglio gli aspetti di propria competenza, ma da uomo che, per svariati anni, ha vissuto procurandosi il pane dal lavoro diretto in agricoltura ed in foresta, vedo un’erosione ben più grave che avanza a ritmi spaventosi, che è quella dei saperi locali e del lavoro necessario a sostenere dignitosamente l’economica delle comunità agro-pastorali. L’idea di vivere dai contributi comunitari per non produrre , che viene avanzata anche per i boschi del Marganai, è quanto mai perversa e pericolosa e porta ad accelerare la scomparsa delle conoscenze del territorio tramandate da generazioni, frutto di osservazioni esperienza e lavoro, senza le quali nessuno studio e rilievo, per quanto sofisticato e scientifico, potrà essere portato dal piano concettuale a quello pratico e applicativo. L’allontanamento delle popolazioni locali dall’uso delle proprie risorse porta a conseguenze ancor ben più gravi come l’abbandono dei territorio che, come è facile constatare, sta creando delle vere e proprie polveriere (anche sociali) che trovano facile via di innesco e propagazione degli incendi. Ammesso che, in seguito ai tagli (non parliamo di disboscamento perché non si tanno stanno sradicando gli alberi), nei primi anni si rilevi che la riduzione della copertura (che in tre anni ritorna ai livelli precedenti) porti ad un temporaneo aumento della portata solida, bisognerebbe comparare il dato con un modello che evidenzi quali sarebbero le conseguenze sul suolo di un incendio che, nella situazione di forte accumulo di sostanza secca dovuta all’invechiamento del ceduo , svilupperebbe temperature elevatissime e metterebbe in difficoltà i più sofisticati sistemi di lotta. Ora che (secondo un recente articolo su sardiniapost) il caso Marganai è approdato anche in magistratura e quindi si prospetta un lungo iter giudiziario che paralizzerà qualsiasi attività, non si sa per quanti anni, inizio ad avere serie preoccupazioni e non vorrei che un domani si arrivi a dire che l’operazione è riuscita (di chi voleva scongiurare i tagli) ma il paziente è morto.

    • Sergio Vacca

      Gentile Signor Mariano,
      tra le molte cose che lei dice, ve ne sono alcune di interesse che meriterebbero d’essere approfondite. Mi permetta tuttavia di dissentire dalla sua affermazione iniziale circa l’erosione dei saperi locali. Col mestiere che ho fatto per oltre 40 anni, mettendo le mani nella terra, il contadino è sempre stato un interlocutore privilegiato, dal quale, con i miei maestri, e poi con i miei allievi, ho sempre appreso informazioni preziose sulle caratteristiche e qualità dei suoli; sia come produttori di vegetazione, naturale o agroforestale, ma anche nel comportamento in occasione di eventi meteorici estremi o, per contro, in condizioni di siccità. Informazioni preziose, insisto, che spesso abbiamo testato con rilievi strumentali, ricevendo conferme, o talora nessun riscontro. Vede, Signor Mariano, se non effettuassimo analisi strumentali o studiassimo i suoli con le metodologie appropriate – se mi passa il parallelismo, comunque efficace – in medicina non avremo la TAC o la risonanza magnetica e saremo, nelle migliori condizioni nelle mani dei Flebotomi o dei Cerusici. Riguardo al rapporto con i saperi locali e all’interesse che ho sempre mostrato nel corso della mia vita lavorativa, mi piace comunicarle che il gruppo di lavoro che ho lasciato all’Università continua ad occuparsi di una ricerca sui toponimi sardi e sul loro significato riguardo all’ambiente, all’agricoltura, alla pastorizia e alle attività forestali, trovando spesso eccellenti correlazioni, ad esempio tra nome dialettale e qualità dei suoli. Come vede quindi, nessuna erosione dei saperi locali, ma anzi profondo interesse per il miglioramento delle conoscenze sui suoli. La branca della Scienza del suolo che si occupa di questi aspetti è – se questo può interessarla – l’Etnopedologia.
      Un’annotazione. Lei chiede se sono state fatte correlazioni tra le aree a copertura vegetale inalterata, copertura vegetale ridotta e assenza di copertura vegetale anche a seguito di incendi. Ebbene si! Per quanto mi riguarda personalmente, posso dirle che ho partecipato a simili ricerche già negli anni ’70 e negli anni ’80/90 ho diretto una specifica ricerca sull’erosione in diverse condizioni di copertura vegetale, anche attraverso l’uso di simulatore di pioggia, con centinaia di prove e relative repliche, nell’ambito degli studi per risalire alle cause dell’eutrofizzazione delle acque del Sistema del Flumendosa, condotti nei bacini idrografici Flumendosa e Mulargia. Se fosse interessato ai risultati vada a vedersi le relative pubblicazioni.In ogni caso, mi consenta, la sua domanda è comunque mal posta, perché le ipotizza eventi che – per esperienza del CFeVA – sono nella quasi totalità prodotti dall’uomo!
      Un’ultima annotazione. Mi rendo conto d’aver interloquito con un generico e sconosciuto Signor Mariano, che verosimilmente, attraverso internet, conosce tutto della mia persona. La pregherei, se vi fossero altre occasioni di intervento da parte sua, di vole indicare anche il cognome.

  2. Mariano

    Non intendevo dire assolutamente che l’approccio scientifico supportato da rilevi non sia importante, anzi (alla fine dell’intervento) ne sostengo la validità. Mi fa piacere e le fa onore che lei, nei suoi studi, abbia ascoltato anche chi opera direttamente nel territorio. Tuttavia, rimango dell’opinione che l’erosione dei saperi locali c’è. Faccio dei semplici esempi: un tempo gli agricoltori prestavano una grande attenzione alle sistemazioni dei terreni, alle reti di scolo, facendo anche a mano drenaggi sotterranei in pietrame ecc, ed erano i territori più impervi che ricevevano più cure e venivano dotati di sistemi di regimazione delle acque e terrazzamenti per renderli adatti alle coltivazioni. Nei versanti in pendenza si zappava procedendo dall’alto verso il basso per non portare la terra a valle. Purtroppo ora si vede spesso procedere con arature con potenti mezzi dimenticando l’importanza delle reti drenanti, ed i territori impervi vengono sempre più abbandonati perché scarsamente meccanizzabili e con il loro abbandono si stanno estinguendo coloro che in un determinato terreno sapevano esattamente, per esperienza, dove erano le criticità e si doveva provvedere alle sistemazioni. Trovo che si sia creata una forte discontinuità generazionale ed anche grazie ai lunghi anni di siccità dei precedenti decenni molto cose sono state rimosse facilmente. Ma un dato molto semplice da l’idea di come le conoscenze del territorio siano cambiate a livello di comunità: se ritorniamo indietro di cento anni, tolto il prete ed il maniscalco, la popolazione viveva in prevalenza dalle risorse locali (pastorizia, agricoltura, taglio della legna). Ora le cose si sono decisamente invertite e, anche se pare ci sia un ritorno alla terra, sono rimasti relativamente in pochi ad occuparsi della coltivazione della terra e dell’utilizzo delle risorse locali. I numerosissimi toponimi dati alle diverse aree del territorio (molto più ricchi di quelli riportati nelle cartografie), a cui lei ha giustamente dato un peso, assolvevano per le popolazioni locali alla stessa funzione che ora hanno le strade urbane ed in più erano spesso legati a nomi di piante, avvenimenti ecc. strettamente correlati al territorio. Già ora, anche fra i più anziani, sono rimasti in pochi a comprendere il perché ed il significato di certi nomi e le nuove generazioni in genere non sembrano nemmeno tanto interessate. La montagna un tempo era frequentata principalmente per motivi di lavoro ed ora di svago, ed anche questo fa una grande differenza, non solo come conoscenza del territorio, ma anche in termini di percezione dell’ambiente e delle attività, come può essere un intervento forestale e la valutazione dei suoi effetti. Anche un taglio di un solo albero può creare un grande scalpore ed essere assimilato ad un’irreparabile distruzione del territorio, mentre invece si va tranquillamente e allegramente in grandi centri commerciali che, per la loro realizzazione, hanno richiesto il sacrificio totale di una quota dei migliori terreni della Sardegna , per non parlare di quell’insieme di strutture (capannoni, mega parcheggi, ecc) che hanno reso incoltivabili le terre e poi vengono abbandonati o sono destinati all’abbandono.
    In genere non guardo il curriculum delle persone, almeno nelle discussioni sul web, dove sinceramente sono più interessato alle argomentazioni , pertanto si accontenti di un generico interlocutore di nome Mariano, se poi in qualche occasione dovessimo incontrarci di persona non mancherò di presentarmi.
    Saluto cordialmente

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