Mondi perduti e ritrovati [di Silvano Tagliagambe]

Luria

IlSole24ore 1novembre 2015. La storia di Zaseckij, il protagonista del caso clinico analizzato da Aleksandr Lurija nel suo studio biografico Un mondo perduto e ritrovato, pubblicato da Adelphi con prefazione di Oliver Sacks e postfazione di Luciano Mecacci, commuove a affascina per quello che racconta e per le analogie che se ne possono tracciare con il destino di un intero popolo.

Il giovane tenente dell’Armata rossa, ferito nel 1943 sul fronte russo occidentale da un proiettile tedesco che gli penetra in profondità nel cervello, cancellando la percezione di una parte del corpo e pregiudicando sia la comprensione del linguaggio che la memoria, lotta tenacemente per vent’anni per riappropriarsi della propria identità e ricostruire il racconto della sua vita riuscendo a scrivere, tra mille difficoltà e superando grandi sofferenze, tremila pagine in cui ci ha lasciato la testimonianza del suo calvario.

Non sarebbe mai riuscito a ricomporre le parti isolate in cui era polverizzato e spezzettato ciò che era rimasto nella sua memoria, dando a esse un ordine e un significato, se non fosse stato seguito con pari tenacia e straordinaria competenza da un neuropsicologo, Lurjia appunto, che si era reso conto che il modo migliore di comprendere lo sviluppo delle funzioni mentali era quello di integrarlo con lo studio della loro disintegrazione. Aiutato, in questa sua visione, da una concezione della scienza medica basata su un’idea integrata tra corpo e psiche nella genesi delle malattie, ereditata dal padre Roman Al’bertovič, uno dei più noti gastroenterologi russi dell’epoca, e per questo refrattaria a ridurre a schemi astratti la ricchezza della persona umana nella sua unicità.

Lurija è stato uno dei grandi protagonisti della scienza russa del 900 e ne ha vissuto e subito le contraddizioni e le tragedie che hanno portato, soprattutto dal 1934 in poi, a dissipare le sue migliori energie in una storia che si sviluppa anch’essa lungo il confine tra uno sforzo eroico di ricostruzione di una società in decomposizione e l’incomprensibile distruzione di vite umane e di intere linee di pensiero.

Di questa repressione Lurija è stato testimone diretto e vittima, non solo perché, nel 1952, fu accusato di far parte del cosiddetto “complotto dei medici” ebrei ai quali si imputava il tentativo di attentare alla vita di Stalin, ma per il, fatto che la dura repressione del regime colpì, oltre alla sua famiglia, con la sorella Lidija, una psichiatra, a lungo detenuta in un lager e il marito di lei fucilato nel 1937, anche il suo maestro e amico Lev Vygotskij, incluso nella lista nera dei nemici del partito e del popolo e morto di tubercolosi a soli trentotto anni.

Anche il pensiero di Vygotskij – e sta proprio qui il senso dell’analogia proposta all’inizio – può essere considerato l’esempio di “un mondo perduto e ritorovato”. Se Zaseckij aveva perso l’uso della parola, per cui era condannato a leggere solo sillabando, in seguito all’impatto di un proiettile nemico, Vygotskij fu colpito dai “nemici della parola”, per riprendere quanto scrisse profeticamente nel 1921 il poeta Osip Mandel’stam, suo caro amico: “le differenze sociali e i contrasti di classe impallidiscono dinanzi alla divisione odierna degli uomini in amici e nemici della parola, in agnelli e capri”.

I nemici della parola, i capri, si impegnarono a decostruire il senso dell’opera principale del grande psicologo, Pensiero e linguaggio, attraverso corposi tagli, la “semplificazione” dei passi trappo filosofici, l’aggiunta di nuovi vocaboli, la soppressione di altri, la riscrittura di intere frasi, l’eliminazione e l’introduzione arbitraria di corsivi: un lavoro incredibile di censura e “ricomposizione”, che ha finito con l’allontanare in maniera impressionante l’autore del testo dal Vygotskij reale. C’è voluta la paziente e competente ricostruzione filologica di Mecacci per restituirci questo classico del pensiero psicologico, di un’attualità ancora stupefacente, nella sua versione originaria che rischiava di andare perduta.

Ho avuto la fortuna di conoscere Luciano a Mosca nel 1970 mentre cominciava questa sua meritoria attività di recupero, entrambi lì con una borsa, lui del CNR e io del Ministero degli esteri, impegnati ad addentrarci nei complicati meandri della cultura russa, lui in psicologia, io in fisica, e ne posso testimoniare la serietà e la passione. Lurjia fu costretto ad assistere a questa distorsione e disintegrazione della parola dell’amico e a prendere anche parte a essa: forse questo può aiutarci a capire meglio le motivazioni profonde della febbrile e instancabile cura con cui si dedicò a restituire il linguaggio, orale e scritto, e la memoria a un giovane che li aveva perduti e per questo non riusciva più a organizzare il suo universo interiore.

La storia di un mondo perduto e ritrovato è quella del tenente Zaseckij, ferito di guerra: ma era anche quella, ed egli ne era ben consapevole, di Lev Semënovič Vygotskij e dei suoi lavori, vittime, come tanti altri scienziati e pensatori, della repressione staliniana. Anche per questo il libro pubblicato in questi giorni da Adelphi merita di essere letto e meditato.

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