Una nuova coscienza collettiva: quale ruolo per i comitati civici? [di Laura Cadeddu]

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È indubbio che la coscienza civica collettiva, resa manifesta dalla partecipazione delle persone ai tanti comitati diffusi sul territorio nazionale e regionale, marchi un segnale ben definito del grado di consapevolezza sull’interazione tra individuo e territorio oggi raggiunto nelle diverse realtà locali, e quindi sulla necessità di interessarsi, approfondire gli argomenti e valutare in proprio, rispetto alla varietà di programmi, pianificazioni, interventi e opere proposte.

Purtroppo questi ultimi, più che “nuove proposte”, si immettono spesso nel flusso di un modello di sviluppo oramai stantio e reso inaccettabile dall’esperienza pregressa, privo di visione complessiva, quella visione che invece le comunità intravedono, condividono e vorrebbero attuare.

I comitati rappresentano oggi la voce delle comunità, spesso inascoltate dalle istituzioni e dalla politica, mentre quest’ultima si presenta sempre meno espressiva e rappresentativa, incapace di liberarsi dai vari laccioli degli interessi forti che la snaturano: la politica, ed i suoi esponenti di punta, dovrebbe assumersi l’onere delle visioni in prospettiva, come imposte dalla conoscenza scientifica. Questa diagnostica il presente e pronostica il futuro, e suggerite dalla propria sensibilità etica, e tali visioni dovrebbero far leggere anche alla popolazione, imprimendo l’insegnamento e l’informazione-istruzione, da cui cercare la condivisione e assumere davvero la guida, dando la direzione.

Eppure, in fronte a questo compito, assistiamo invece a politici che non sono in grado di elaborare i modelli di sviluppo congruenti di cui necessitiamo, né di comprendere quelli proposti da altri, e perciò seguono invece di farsi seguire, accettano false soluzioni del passato apparentemente semplici da perseguire ma che si sono già dimostrate devastanti: per esempio modelli di sviluppo basati sul cemento e sull’espansione edilizia, modelli basati sul consumo, sull’incenerimento dei rifiuti, su una  distruzione non emendabile dalla rigenerazione, su un insostenibile tasso di entropia dell’ambiente per ottenere in cambio quelli che saranno spiccioli; e voti.

Ebbene, osserviamo attualmente che il ruolo che dovrebbe essere professione della politica e dei politici lo assumono su di sé i comitati, cioè cittadini volontari e non pagati che si accollano il compito di informarsi e informare, pensare, criticare e proporre: i numeri raccontano una realtà disconosciuta da chi amministra, infatti nel solo territorio regionale esiste un pullulare di comitati civici costituitisi spesso come risposta a differenti interventi o opere che minacciano il territorio, quindi dietro a un impulso in negativo che diventa però ben presto nuova proposizione; non appena ci si rende conto che l’insieme delle opere e disposizioni contrastate traccia all’unisono il vero quadro di una mancata pianificazione e programmazione, e di un vuoto anche culturale.

Nel contesto precedentemente indicato, anche la politica s’è accorta dei comitati, e mentre alcuni (pochi) politici virtuosi li hanno considerati un buon esempio di quella partecipazione democratica della quale si sentiva la carenza e hanno accettato l’interazione, altri, a partire dalla tanto velenosa quanto incattivita e acritica definizione dell’ex Presidente del Consiglio Renzi (“…i comitatini del no…”), li hanno considerati un intralcio ai piani del tipo di cui s’è detto in precedenza; rendendo di conseguenza sempre più risicata la possibilità di democrazia partecipativa, manifestando l’insofferenza per la discussione in modo quasi metodico nei disposti normativi che si susseguono, i quali, analizzati, vanno verso l’esclusione delle comunità dal dibattito pubblico sulle scelte da attuarsi nei territori, scelte che in sintesi si vorrebbero solo subite, e non condivise.

Alla luce di ciò i comitati resistono, si organizzano, irrobustiscono le loro competenze, spesso presenti dal nascere, e procedono ad informare e sensibilizzare i territori sulle criticità insite in vari progetti e opere, altrimenti sottaciute, trattate in modo propagandistico nelle ribalte pubbliche dai decisori pubblici e dai proponenti privati.

Spesso gli amministratori, o al loro posto burocrati malaccorti (o compiacenti) non danno risalto a quanto in procinto di avvenire sul territorio, tentando di far passare silenziosamente opere di grande impatto, mostrando di disconoscere le regole della democrazia. Essi sono o divengono sensibili, vi sono sempre le eccezioni per fortuna, nel momento in cui i cittadini informati pretendono spiegazioni.

In questo momento i comitati sono la vera molla che può orientare, influire, cambiare o frenare scelte e decisioni che altrimenti verrebbero assunte in solitudine, dimenticando che chi vive i luoghi, e con essi è intrinsecamente legato, non può accettare da bestia il destino che altri gli vogliono scrivere.

Per questo è anche importante che i comitati interagiscano con le istituzioni, e questo gli è ovviamente connaturato per via della loro azione sempre all’interno del quadro normativo, ed eventualmente in subordine anche con la politica, rappresentata dai partiti e dai loro esponenti, ma tenendosene separati, senza farsene digerire, senza la perdita dell’autonomia, cosa che equivarrebbe evidentemente alla morte dei comitati stessi.

*Referente del Comitato No Megacentrale

 

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