Nel Centenario della Grande Guerra quando i soldati sardi divennero Brigata Sassari [di Mario Rino Me]

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Il 4 Novembre 1915 con la firma della resa dell’Austria–Ungheria Villa Giusti si concludeva la  Prima Guerra Mondiale al fianco dell’Alleanza, cui il nostro paese si era unito un anno dopo l’inizio delle ostilità.

L’assassinio a Sarajevo dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo, costituì la causa occasionale di un conflitto scatenato nell’Agosto del 1914 per un insieme di fattori eterogenei, che avevano creato una miscela pericolosa. Passerà alla Storia come la Grande Guerra per la scala e portata delle devastazioni. Essa fu dichiarata dopo l’ultimatum alla Serbia, nell’assunto degli Stati Maggiori d’Austria e Germania che essa potesse durare qualche settimana; ma si protrasse per 4 anni. Questo perché, nella fase inziale, le nazioni che via via entrarono in guerra, la affrontarono con metodiche e sistemi tradizionali che si erano rivelati efficaci un secolo prima.

Dal punto di vista della politica internazionale, le nazioni belligeranti vedevano la Guerra come una lotta di Coalizioni avverse, articolate sul tradizionale sistema delle Alleanze Diplomatiche e, dal punto di vista militare, come una lotta di eserciti di mestiere, i cui organici tuttavia erano stati decisamente aumentati dalla leva obbligatoria. Aspetto quest’ultimo, che sortì un effetto moltiplicatore, con implicazioni sulle funzioni di comando e controllo.

Ma sul finire del secolo precedente la guerra aveva mutato le sue caratteristiche: il notevole progresso tecnologico nei mezzi di locomozione e  trasporto, nel confezionamento dei generi alimentari, nella chimica, e metallurgia, avevano reso la guerra meccanizzata ed erano anche comparse nuove dimensioni del confronto come quella aerea e sottomarina.  uando

Sul piano politico –militare, le tendenze dell’epoca risentono del pensiero della scuola vincente di Von Molte il Vecchio, che riteneva che, una volta definito l’obiettivo della guerra, la sua direzione strategica passasse alla sfera militare. In breve, un temporaneo sonno della politica, che von Clausewitz, fondatore del pensiero strategico moderno, aveva invece escluso categoricamente, anche perché questa deviazione avrebbe portato, inevitabilmente, alla prevalenza delle esigenze militari su quelle politiche. Sicché, l’invasione del Belgio, nata per esigenze militari, determinerà l’ingresso in guerra della Gran Bretagna. A questo punto, anche per via delle Colonie e del successivo ingresso del Giappone, la Guerra diventa Mondiale.

L’efficacia delle nuove armi e ritrovati, come i reticolati, aveva poi spostato il tradizionale bilancio tra difesa e offesa a vantaggio della prima. Con lo stallo delle trincee venutosi a determinare nelle “Battaglie delle Frontiere”, la guerra  era divenuta di posizione con il rivolto della maggior durata e conseguente logoramento di uomini e mezzi.

Il che l’aveva resa totalizzante, al punto di richiedere la mobilitazione di tutte le forze, da quelle culturali per sostenere fronte interno, in ansia per la vita di propri  combattenti, a loro volta da motivare, a quelle industriali per mantenere  lo sforzo bellico.

Nel teatro delle operazioni militari, la condotta della guerra di posizione richiedeva retrovie, da organizzare al di là della gittata delle artiglierie, dove poter organizzare la logistica con strutture anche per funzioni di riposo e assistenza, in pratica un’ampia fascia di territorio veniva militarizzata. L’impasse permane anche con l’impiego, deplorevole di mezzi irregolari, come i gas asfissianti. Ma, come di consueto, i mezzi da soli non bastano a cambiare la situazione.

Il nostro Paese entra in Guerra il 24 maggio del 1915, quando gli schieramenti dei belligeranti si erano già attestati su postazioni di difesa naturale o artificiale, le trincee.  Fortificati contro la Francia, col cambio del sistema di Alleanze ci troviamo esposti alle insidie delle coste frastagliate dell’Adriatico e del Nord-Est.

Il piano strategico del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito,  Generale  Giuseppe Cadorna, contemplava un atteggiamento difensivo sul fronte occidentale , dove il confine col Trentino costituiva un saliente incuneato nel Lombardo-Veneto, e una postura offensiva al Nord-Est dove si poteva contare, a sua volta, su un saliente che proiettava verso il cuore dell’Austria-Ungheria.

La Regia Marina, a fronte delle ridotte dimensioni dell’Adriatico, adotta una strategia di sorveglianza di quel braccio di mare e di diniego del suo accesso attraverso il Canale d’Otranto per impedire il rifornimento via mare dell’Austria-Ungheria, nonché il sostegno alle operazioni terrestri. Il controllo delle principali piazze marittime nemiche (Pola, Cattaro ecc.) porta all’impiego prevalente del solo naviglio minore e dei sommergibili. Inoltre, col profilarsi della minaccia sottomarina alle vie del traffico, si renderà necessario ampliare la sorveglianza e organizzare la protezione dei convogli.

I militari della nostra Isola partecipano a tutto lo spettro delle operazioni del tempo, e dunque sono presenti in tutti corpi delle Forze Armate: dal Reggimento San Marco ai reali Equipaggi, a tutte le Unità de Regio Esercito, Reali Carabinieri, Guardia di Finanza,  fino  alle prime componenti di quella che sarà in seguito la Regia Aeronautica. Ma date le proporzioni, la storia della partecipazione alla Grande Guerra dell’Isola si identifica con l’unità simbolo della Sardegna, la Brigata Sassari. Già dal 23 giugno, il nostro Esercito, e con esso la sua punta di diamante, le fanterie Sarde, lanciano l’assalto alle posizioni fortificate, attestandosi sul fronte dell’Isonzo.

Ha inizio una serie cruenta di “spallate” in cui, come ricorda il nostro Emilio Lussu, “la mia brigata stava nel Carso fin dall’inizio della Guerra aveva combattuto solo su quel fronte. Per noi, ogni palmo di terra ci ricorda un combattimento, la tomba di un compagno morto, non avevamo fatto altro che conquistare trincee, trincee, trincee[1]”.

Un orizzonte ristretto dunque e, per di più di caro prezzo . Stando alle statistiche, in Sardegna a fronte di una popolazione di 870.077 abitanti, i mobilitati del 1915 al 1918, con l’ultima mandata dei Ragazzi del 1899 furono 98142, pari all’11,8 della popolazione[2].

Questi numeri aridi, che riguardano invece persone, mestieri e professioni, si riflettono su aspetti della vita ordinaria dell’Isola come il calo della produzione agricola e conseguenti aumenti dei prezzi, che riguardano tutta la popolazione. Gli assalti frontali, dove i nostri nonni e zii si guadagnarono il riconoscimento di tutti con l’appellativo di “intrepidi Sardi”, cozzavano contro le trincee Austro-Ungariche attestate sull’Altopiano del Carso, che sbarrava la via verso Gorizia e  Trieste. Nel 1916, fu proprio l’eroico sforzo, in particolare della Brigata Sassari, a scongiurare  la caduta dell’Altopiano di Asiago durante la cosiddetta straff expedition.

Il 2017 è l’anno dei crolli: inizia col regime change in Russia col seguito della Rivoluzione di Ottobre. Per un fronte che si chiude a temporaneo vantaggio degli Imperi Centrali, se ne rinforza però un altro dal lato degli Alleati, con l’ingresso degli Stati Uniti, che si viene a determinare anche a causa della condotta spregiudicata della Guerra sottomarina da parte della Germania.

In questo quadro di cambiamenti, le vicende belliche nazionali seguirono una brutta piega a Caporetto, dove si registrò la caduta del fronte. Proprio sul Piave, elementi della Brigata passarono il Piave per ultimi e sempre ordinati, prima della distruzione dei ponti. In quell’occasione, la Sassari fu citata dal Comandante della retroguardia, all’ammirazione della Nazione e dell’Esercito per l’abnegazione e l’eroico contegno tenuto.

A parte la confusione nelle retrovie, la ritirata ordinata dei reparti operativi  consentì il rischieramento sulla linea del monte Grappa- Piave, il cui terreno era ben conosciuto per le esercitazioni svolte l’anno prima. Questa posizione, predisposta dal Gen.

Cadorna, consentì  all’Esercito di riorganizzarsi con una struttura delle forze rinnovata, nuovi modi di conduzione delle operazioni, maggiore attenzione all’efficienza del  morale delle truppe e al trattamento del soldato. La Sassari fu tra le prime a ripassare il Piave nel quadro delle successive operazioni della  battaglia del Solstizio, del Montello e dell’offensiva finale che portò a Vittorio Veneto.

Alla fine, il modello del sistema Occidentale, su base democratica, e società aperte a vocazione mercantile, aveva vinto grazie anche potere marittimo che aveva eroso quello degli imperi continentali. Proprio dal nostro fronte era iniziata la loro fine. Il 4 Novembre di cento anni fa l’Austria capitolò. La guerra, nata per for fine alle guerre finì, purtroppo, con una Pace che, per come fu congegnata, pose fine alla Pace. Non a caso il Generale De Gaulle l’aveva classificata Come “armistizio”. Da allora, gli ismi iniziarono a prendere  il sopravvento.

Caduti e dispersi furono 17000, pari al 17% dei combattenti[3], numero decisamente alto rispetto alle medie del 10% dell’epoca. Sempre le statistiche ci dicono che, a livello regionale, i caduti furono circa il 2 % a fronte del circa  0,6% nazionale[4] In definitiva, la Vittoria “mutilata” fu pagata dalla Sardegna con  un enorme tributo di sangue, superiore alle altre Regioni. La guerra era dunque finita a caro prezzo per tutti,  lasciandoci in eredità una storia scritta con lettere di sangue e “a fogu intro”.

Ma l’esperienza maturata grazie anche agli stenti e sacrifici, oggi impensabili, contribuì a forgiare marchio e identità, di cui Gabriele D’Annunzio sintetizzò gli aspetti salienti: “stirpe più che ferrea , silenziosa sublimità sarda, eroismo dalle labbra serrate, sacrifizio senza parola”.

Lo stile è l’uomo si usa dire, e di fronte alle belle parole del vate, non c’è proprio nulla da aggiungere. Se non le belle manifestazioni di camaraderie, che si manifestava, all’insegna del Forza Paris, anche nel raccogliere gli amici feriti, Gesto anche questo che tanti pagarono con la morte. E, sempre in tema di giudizi, questa volta dall’estero, un politologo di fama internazionale, Michael Walzer, commentando un passaggio di Emilio Lussu che tocca il delicato tema della necessità militare[5] ha definito la nostra Sassari come “la migliore unità dell’Esercito Italiano”.

E’ doveroso ricordare quella straordinaria Vittoria che unì tutto il Bel Paese in uno sforzo senza precedenti, e, in particolare quei nostri predecessori che, nelle trincee, sul mare e nell’aria,  sacrificarono gli anni migliori anche al prezzo della loro vita.  Si suole dire che senza memoria, l’identità e, con essa, la Nazione non poggia su solide basi. E “senza riferimenti vale il detto di Seneca: “Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare”.

*Ammiraglio di Squadra (r)

[1] Emilio Lussu , Un anno sull’Altopiano, Einaudi, Torino , 1970, pag 13.

[2] https://seieditrice.com/chiaroscuro/files/2011/03/grande-guerra-sardegna.pdf

[3] ttps://seieditrice.com/chiaroscuro/files/2011/03/grande-guerra-sardegna.pdf

[4] Valore derivante dall’interpolazione dei censimento del 1911e 1921, pari a circa 40.400..000, (https://www.tuttitalia.it/statistiche/censimenti-popolazione e un numero di Caduti pari a 615.000 (senza considerare i prigionieri e dispersi  pari a 600.000 e feriti 947.000) http://www.lagrandeguerra.net/ggdati2.html

[5] L’orgoglioso pastore che conosce, senza averla studiata , la differenza tra combattere e uccidere.  Michael Walzer , Just and Unjust Wars , Basic Books, New York , pag 141-142. Vaòle la pena di ricordare che il libro Un Anno sull’altopinao , di Emilio Lussu,. È l’unico testo italiano di ricordi sulla Prima Guerra Mondiale , tradotto in Inglese . L’editore , facendo prvale il soggetto della narrazione , cioé  la Brigata, rispetto ai ricordi personali, l’ha intitolato, The Sardinian Brigade

One Comment

  1. nt

    Custa gherra ia a nàrrere chi si podet cunsiderare su “top” de sa genia “hard” de is termovalorizadores tricolores chi ant iscagiau is Sardos: si is mannos nostos morindho de fàmene, maladias e miséria boliant èssere “orgogliosi” de èssere “italiani” giai teniant su tanti, ibertandho s’àteru “top” chi s’Itàlia nos’at arregalau su Baranta, si boleus èssere “orgogliosi” de èssere “italiani” ibertandho àteru iscallamentu!…

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