La violenza è antitetica all’amore [diAntonietta Mazzette]

scarpe rosse

La Nuova Sardegna 2 aprile 2019. Ancora una volta assistiamo alla “cronaca di una morte annunciata”: quella di Romina Meloni, ad opera del suo ex compagno. Uccisa, nonostante lei avesse raccontato ad amici e parenti (non si sa se abbia anche fatto denuncia alle autorità competenti) delle continue minacce che da tempo lei e il suo compagno stavano subendo da parte di colui che sarebbe diventato il suo omicida.

Ha ragione Daniela Scano quando scrive che è urgente cambiare registro culturale, a partire dall’educazione dei figli dentro la famiglia e nella scuola, così come è altrettanto urgente abbandonare quel lessico diffuso grazie ai media vecchi e nuovi, che mette insieme amore e violenza: si pensi al titolo della nota trasmissione televisiva “Amore criminale”. La violenza, qualunque sia il livello – dalle aggressioni verbali alle percosse, fino al gesto più estremo dell’omicidio – , non ha niente a che fare con l’amore.

 Il fenomeno degli omicidi è diminuito anche in Sardegna, così come nel resto d’Italia, diminuzione che rientra nel quadro del processo di modernizzazione che ha portato gli individui a trovare altri strumenti di risoluzione dei conflitti. Questa diminuzione è stata definita ironicamente da Marzio Barbagli “decrescita felice”, ma essa riguarda esclusivamente gli uomini, mentre le percentuali delle donne vittime di omicidio (quasi sempre ad opera del partner, soprattutto gli ex partner) continuano ad essere elevate e, anzi, sono in crescita.

E allora, la prima domanda che dovremmo porci è come mai la modernizzazione non ha intaccato il fenomeno della violenza contro le donne? Le risposte possono essere numerose e sono di tipo culturale e politico insieme. Mi limito ad evidenziarne due, sapendo che sono da considerare le fondamenta su cui poggiano gran parte dei femminicidi, non la causa diretta.

La prima ragione è che la modernizzazione ha intaccato solo superficialmente e formalmente una cultura che viene da lontano e che considera le donne diseguali (non solo differenti) rispetto agli uomini. Riscontriamo questa diseguaglianza a tutti i livelli sociali, lavorativi e politici. Basta andare a vedere le statistiche sull’accesso al mercato del lavoro, sulle carriere nei diversi enti (pubblici e privati), sui ruoli politici e le cariche pubbliche che continuativamente vengono ricoperte da figure maschili e, solo in minima percentuale, da donne.

C’è un nesso tra questa diseguaglianza sostanziale tra donne e uomini e la violenza? Indirettamente sì, perché potrebbe comportare che alcuni uomini ritengano le donne “esseri inferiori” e, perciò, da tenere sotto il loro dominio. Va ricordato che la diseguaglianza sostanziale emerge con estrema durezza anche a livello linguistico, dal disconoscimento del ruolo ricoperto alle volgarità con cui spesso le donne vengono definite, comprese quelle che hanno un’importante esposizione pubblica: si pensi, ad esempio, alle aggressioni verbali subite ripetutamente dalla ex presidente della Camera Boldrini.

La seconda ragione è legata strettamente all’uso politico (e non solo economico) del corpo delle donne. Il corpo delle donne storicamente è stato considerato uno spazio su cui riversare conflitti, politiche, modelli di dominio che si sono succeduti nel tempo. Un uso che è sì cambiato, grazie alle pluridecennali battaglie di emancipazione delle donne, ma che non è mai scomparso del tutto, anzi, come un fiume carsico ricompare quando meno ce lo aspettiamo: si pensi ai recenti fatti che hanno suscitato forti reazioni da parte di molte donne e che sono racchiusi simbolicamente nel convegno di Verona sulla famiglia “naturale”.

Fintanto che non si interromperà quest’uso politico, ci sarà sempre qualcuno che ne rivendicherà il possesso. Concludo utilizzando alcune riflessioni di Milena Meo e Pierre Bourdieu, secondo i quali il corpo delle donne è “un pretesto”, dietro il quale si possono nascondere le miserie dei violenti, ma è anche lo spazio politico sul quale si esercita la forza di un ordine sociale che non deve giustificarsi.

 

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