Il pane e le spranghe [di Nicolò Migheli]

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Che cosa sia diventata l’Italia ce lo chiediamo in molti. Le spiegazioni socio economiche sull’impoverimento di ampie fasce popolari non bastano a spiegare l’inferno dei sentimenti e delle relazioni che si è impadronito di molti italiani. Se le sinistre non avessero abbandonato le periferie sarebbe stato diverso? Difficile dirlo, ma anche questa tesi ha del giustificatorio, un allontanate da me questo calice.

C’è dell’altro che va oltre il giusto diritto al lavoro. Succedono eventi orrendi e ogni notizia lascia meno attoniti. Una mitridatizzazione delle coscienze che derubrica la xenofobia a comportamento ordinario. Nei fatti di Casal Bruciato c’è un aspetto che è stato sottolineato poco ma che ha una valenza simbolica dirompente. La famiglia bosniaca prima di prendere possesso dell’appartamento che gli era stato assegnato, era passata in un market dove aveva acquistato delle buste di pane da regalare ai propri vicini come segno della propria amicizia, come speranza di accettazione in un contesto difficile.

Il regalo del cibo, tradizione arcaica che percorre la vicenda dell’umanità. Condividere la fonte della vita. Un po’ come si faceva in Sardegna in altri tempi quando le famiglie si scambiavano la carne del maiale o pacchi di caffè e zucchero in segno d’amicizia. I bosniaci hanno riproposto la tradizione slava dell’offrire pane e sale all’ospite in segno di benvenuto. Però l’atto va oltre quel dono che nella nostra società assume anche risvolti religiosi.

Spezzare il pane è il rito più importante dei cristiani, in quel gesto si confermano come comunità in relazione con il divino. In comunione che è anche trasfigurazione della comunità: uniti in Cristo. Il pane con l’uovo è il simbolo della rinascita pasquale, in Sardegna per il kalendarium, candelargiu, il Capodanno, si regalavano come augurio ai bambini delle bamboline fatte di pane. Pane come nutrimento e simbolo, oltre ad essere cibo e archetipo. A quel dono si è risposto con le spranghe. In altre occasioni simili le pagnotte  si sono calpestate, prese a calci, distrutte. Un oltraggio che è la quintessenza del rifiuto, dell’ostilità insanabile.

La tribalità contemporanea, a differenza di quella antica, non ha la capacità di ricomporre i conflitti perché non ne conosce più le sintassi vivendo il tempo dello scontro continuo. Si insulta il pane perché dimentichi della fatica contadina. Si sono smarriti simboli e significati perché si è diventati incapaci di riflessione, non si cerca più neanche chi possa aiutare o si ha la capacità di riconoscere chi è in grado di farlo e se ne accetti i consigli. Individui sollecitati continuamente dalla scarica di emozioni che i vari media distribuiscono quotidianamente, lasciati alle loro solitudini esistenziali. Si vive dentro un oceano di cinismo che sovrasta tutti.

I politici attingono a piene mani a questo disagio per avere e conservare il consenso, lasciano che squadracce si incarichino del lavoro sporco. Questi aizzano gli animi contro il diverso, costruiscono manifestazione dopo manifestazione l’idea mitica di una società chiusa, in cui solo il comunitarismo che esclude ha diritto di cittadinanza. Una società di ineguali che per reggersi ha bisogno di chi sia il più ineguale di tutti. Una scala gerarchica che dovrebbe agire da consolatrice, invece produce frustrazione continua.

Prima gli italiani, che cos’è se non questo? La predicazione che arriva dagli alti pulpiti trova menti disposte perché l’Italia non ha mai fatto i conti con se stessa e con le sue peggiori pulsioni. Un paese che si vive come portatore di civiltà, invece è stato capace nelle colonie, in Jugoslavia e Grecia, di azioni identiche a quelle naziste. Tutto questo però non è mai stato raccontato, nessuno dei criminali di guerra italiani è mai comparso in un tribunale che lo giudicasse come è avvenuto per i tedeschi a Norimberga e per i giapponesi a Tokio.

A Casal Bruciato si minaccia la signora bosniaca di stupro. La peggiore ignominia, l’arma delle guerre etniche: ingravidare con la propria progenie le donne del nemico. Italia 2019 sempre più simile al Ratto delle Sabine, mito fondante della romanità da cui i fascisti italiani attingono da sempre. Che cosa diverrà l’Italia dopo anni di questo accanimento terapeutico praticato scientemente nessuno lo sa. Una società non può reggersi con il conflitto permanente che spacca le coscienze, intorbida ogni relazione, incuba i segni di una disgregazione profonda.

Passerà anche questo governo. I principali attori conosceranno la polvere della sconfitta come è sempre avvenuto, anche il Reich millenario è durato solo dodici anni. Resteranno diseguaglianze territoriali, etniche, comunitarie difficili da ricomporre. Il danno più grave sarà quello delle coscienze. Occorreranno anni per riparare questi vulnus. Sempre sia possibile farlo.

One Comment

  1. nt

    … e tiat èssere chi (e pro no fàghere contu de mafia, camorra, ndrangheta, furberia, afarismu tangetopolista) s’Itàlia at civilizadu a nois Sardos, sempre ifatu sou mancari nos iscazet in totu sos furros suos e sempre putzi putzi pro carchi cosa chi zughet fragu de sardu!

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