Obiettivi degli Ordinamenti Scolastici e Formativi oggi in Sardegna [di Anna Maria Sanna]

scuola primaria

I processi di cambiamento che da decenni attraversano il sistema scolastico e formativo sono in qualche modo continui, ma anche contrastanti ed opposti. Ciò significa che non hanno prodotto un quadro coerente ed organico di norme di cui la scuola ha bisogno per instaurare e gestire prassi educative e didattiche  certe ed efficaci. Di un quadro di riferimento normativo certo hanno necessità sia i cittadini italiani, gli utenti del sistema formativo e scolastico, che vogliono capire e  sapere quali immediate prospettive di formazione e di crescita si aprono per i propri figli e nipoti, ma anche  valutare in quale misura la scuola può e potrà essere strumento di sviluppo, di coesione e promozione sociale; sia gli operatori scolastici, che hanno il compito e la responsabilità di organizzare e gestire la crescita delle nuove generazioni nella prospettiva di portarle ai traguardi formativi prescritti dallo stato.

Principi ispiratori delcambiamento sono stati – e tuttora rappresentano il file rouge, la continuità in un processo peraltro contradditorio, fatto di improvvise accelerazioni, di momenti di stasi, di retromarcia confusionarie – il principio di sussidiarietà e l’Europa. La riforma costituzionale del titolo V ed il decentramento amministrativo hanno chiamato in causa il territorio e le scelte e le responsabilità locali, che, ci dispiace ammetterlo, ma è la dura realtà, non hanno dato grande prova di sé, vuoi per insipienza vuoi per calcolo. La necessità di coerenza con le scelte europee, che sono quelle del miglioramento della formazione nella prospettiva della life long learning, rappresentano uno stimolo, che fatichiamo a raccogliere.

La riforma già fatta è l’autonomia. Ma, come dice Vertecchi, l’autonomia ha bisogno di una grande cultura. Al momento il quadro culturale è vuoto. Prima si parlava di quale cultura fosse necessario assicurare, della qualità dei profili educativi e culturali da garantire a tutti i cittadini. Oggi constatiamo che il cambiamento è frutto di logiche subalterne all’economia. Tutte le rilevazioni su cui si lavora hanno origine nell’economia. Sembra che la cultura possa essere sostituita dai ricettari delle organizzazioni economiche. Noi sappiamo che la scuola si riforma col consenso e con le risorse. E sappiamo anche che la spesa scolastica è un investimento, non dissipazione economica. Siamo inoltre convinti del fatto che un nuovo modello di governo dell’autonomia debba essere legato ad un nuovo modello di valutazione nazionale. La valutazione infatti rappresenta lo strumento per raggiungere il successo scolastico e formativo in modo diffuso su tutto il territorio nazionale. In Italia ci sono le scuole, non la scuola. E permangono mediamente forti differenze tra nord e sud. Quali i nodi irrisolti?

L’uguaglianza nominale nell’educazione non basta a garantire l’equità. Nelle società industrializzate le distanze tra classi sociali si stanno allargando. Già in USA e in GB ci sono scuole di fascia alta e fascia bassa. Le disuguaglianze non si superano ragionando in una logica liberista, di semplici aggiustamenti in materia di produzione del capitale formativo di una nazione. Nella nostra scuola secondaria non c’è equità; il livello culturale familiare condiziona i risultati più che il reddito.

Occorre ricostruire il rapporto tra cultura della scuola e cultura del lavoro. Il rapporto col territorio deve essere culturale, non solo funzionale. Anche il rapporto col mondo del lavoro va recuperato prima di tutto culturalmente. Negli ultimi 10 anni si è registrata una frattura nel modo di produrre a livello mondiale. Unica via alternativa è investire nell’unico luogo in cui si può intervenire sul valore aggiunto, cioè la scuola. Contestualmente va costruita la capacità formativa delle imprese. Abbiamo poche risorse, perciò vanno cercate nel pubblico, nel privato in modo sinergico. Occorre una politica organica: dobbiamo ragionare in modo non separato dalle politiche per l’inclusione sociale…la società sta cambiando rapidamente. Le spese di welfare si prevengono e si programmano mediante un inserimento precoce di tutti i bambini nella filiera scolastica ed un accompagnamento ed orientamento continuo soprattutto di quelli che provengono dagli ambienti socioculturali più disagiati. La pace forzosa in campo educativo nasconde il sopruso che si attua nei confronti delle nuove generazioni senza una logica di lungo periodo, ma fermandoci all’attualità ed alla contingenza. La definizione di un nuovo profilo culturale del cittadino italiano implica una riflessione condivisa ed un impegno prioritario per una forza politica democratica. Il progresso ha bisogno di una cultura non utilizzata. La responsabilità di definire profili culturali che tengano conto delle nuove aspettative di vita è enorme.

Parole chiave da declinare all’interno delle scuole.

TEMPO SCUOLA. La didattica laboratoriale va diffusa in tutti gli ordini di scuola: la logica laboratoriale rappresenta uno spazio che aggrega emozioni. L’azione didattica e formativa del docente e degli studenti può e deve essere trasformata in uno spazio inventivo di cultura, in un apprendistato cognitivo. La scuola promuove i talenti attraverso la composizione e scomposizione dei saperi. Così come all’interno delle scuole, superando il modello idealistico gerarchico per via ordinamentale, va recuperato il concetto e lo spazio del lavoro, del fare.

POLI TECNICO PROFESSIONALI (L.35 del 2012 reti tra tecnici/ professionali/imprese). La competenza di istituzione dei poli è regionale, le misure di accompagnamento non sono state attuate. Senza, i poli non si reggono. L’autorganizzazione richiede energie provenienti dall’esterno, le Camere di commercio, in cui ci sono tutte le categorie, vanno coinvolte. Il core curriculum deve contenere competenze qualificate…dobbiamo puntare sulla ridondanza….al termine dell’obbligo i ragazzi non hanno alcuna qualifica.

LINEE GUIDA DEI TECNICI E PROFESSIONALI. Sono innovative. L’agire viene valorizzato non in termini di bricolage. La scuola dell’adolescenza deve essere un polo tecnologico con, alla base, la cultura del lavoro, con un approccio laboratoriale che abbia, al centro, la scoperta da parte dei ragazzi, che oggi apprendono diversamente; abbiamo bisogno di compiti di realtà. Il curricolo deve essere flessibile: i ragazzi debbono poter scegliere. L’esame conclusivo del 1° ciclo deve essere orientante, non di certificazione. Alternanza e non alternativa tra studio e lavoro. Le esperienze di altri paesi e regioni ci dicono che la crescita del Pil è proporzionale alla frequenza degli istituti tecnici; che  l’apprendistato è un pezzo del processo formativo, non l’alternativa allo studio. La Legge Regionale sul sistema scolastico e formativo dell’Emilia Romagna tiene insieme istruzione e formazione professionale attraverso un primo anno comune: formazione professionale e apprendistato sono paralleli; le azioni di accompagnamento non sono marginali.

BIENNIO Il suo ruolo è strategico per tutto il sistema, infatti deve dare i fondamenti di una cultura unitaria, ma oggi rappresenta uno snodo debole, il 13% degli studenti evade o abbandona. Come possiamo abbattere il 10% di dispersione nei prossimi 7 anni?

– In termini normativi il biennio deve essere orientativo; la scelta di indirizzo deve essere fatta nel biennio, non nella scuola media, con passaggi flessibili nel primo anno del biennio.

Dobbiamo garantire obiettivi comuni a tutti i percorsi del b. coerenti con le competenze finali del 1° ciclo.

– La certificazione del biennio deve essere conclusiva del percorso decennale obbligatorio.

 MATURITÀ A 18 ANNI. Qualsiasi scelta di riduzione ai 18 anni va riferita ad una logica che investa tutto il percorso. Due ipotesi:

 – anticipo ai 5 anni ( ma l’anticipo Gelmini è stato utilizzato solo da 8% genitori)

occorre accedere alla secondaria un anno prima: ingresso a 6 anni con riduzione della primaria. la risorsa si può spendere sul tempo Pieno

– scorciare le superiori  a 4 anni.

Il nostro orientamento è assolutamente inefficace. Il biennio deve far emergere le attitudini, i talenti.  Nelle scuole italiane all’estero ci si diploma a 18 anni.

RUOLO DOCENTE. La funzione docente va rivista in senso maieutico contrapposto a quello autoritario. Il riconoscimento della funzione e del ruolo implica la  modifica contratto di lavoro sulla formazione iniziale e in servizio. Lo svilimento attuale del ruolo e della funzione dei docenti è in qualche modo legato anche al fatto che noi non abbiamo un’idea forte di scuola, al di là della contrapposizione pubblico/privato. Abbiamo invece sempre più bisogno di una contaminazione sociale permanente del sapere, sapere come libertà, in contrapposizione al disinteresse per il sapere.

*Già Dirigente Scolastica. Intervento nella Tavola Rotonda Obiettivi degli Ordinamenti Scolastici e Formativi oggi in Sardegna nel corso dell’iniziativa Sardegna: Terra della conoscenza e della comunità educante, organizzata il 27 gennaio alla MEM di Cagliari da LAMAS, www.sardegnasoprattutto.com, Terra di pace e di solidarietà 

 

One Comment

  1. Giovanni Scano

    Condivido i punti di fondo dello scritto, soprattutto riguardo alla didattica laboratoriale. Qualcuno dice che dopo la Legge Casati e la Riforma Gentile la scuola italiana ha bisogno di cambiamenti della stessa portata. La questione centrale è secondo me la rottura della centralità della classe per introdurre un po’ di flessibilità nelle attività didattiche. Al posto delle aule/classe dovrebbero costituirsi delle aule/laboratorio, almeno una per ciascuna disciplina, ma possibilmente, meglio, una per ciascun insegnante. Introduzione di curricoli flessibili, composti da una parte fondamentale (tipo italiano, matematica, …), uguale per tutti, e da un’altra parte fatta da materie opzionali e facoltative (tipo la scelta delle lingue straniere, …). Il curricolo non riguarderà la classe, ma il singolo alunno: una specie di piano di studi. Ciascun alunno potrebbe essere vincolato solo riguardo agli insegnamenti fondamentali; per il resto potrebbe avere libera scelta. Mi riferisco soprattutto alla scuola secondaria, sia di primo che di secondo grado. Riguardo al riordino dei cicli, penso sia perfettamente fattibile la diminuzione di un anno della loro durata complessiva. Io farei come in Francia: 5 anni per la scuola primaria, 4 per la secondaria di primo grado e 3 per la secondaria di secondo grado. Obbligo scolastico fino ai 18 anni. Secondaria di primo grado che verta soprattutto sull’ orientamento e secondaria di secondo grado anche professionalizzante, in modo da consentire l’ingresso nel mondo del lavoro anche in età giovanile.

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