Maria e la pietra di confine [di Gianni Loy]

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La pietra che segna il confine tra la vita e la morte era infissa da un tempo così lungo che quasi se ne perdeva la memoria. Maria sapeva che il giorno dello sconfinamento non avrebbe potuto tardare, ma non ricordava più dove quella pietra fosse conficcata. L’acqua caduta dal cielo l’aveva ripulita dalla polvere e il vento di maestrale l’aveva levigata. Ma né l’una né l’altro avevano potuto impedire l’abbraccio dei muschi.

Se la sua vista fosse stata quella di un tempo, avrebbe potuto distinguerla anche da lontano, ma il colore del cippo si confondeva con quello della terra, e poi il cielo si oscurava, lentamente, ma inesorabilmente. Oltretutto, era arrivato un tempo nel quale neppure era facile mettersi in cammino. Maria avrebbe voluto che la lasciassero andare, ma le fu impedito.

Il mondo, intorno a lei, non camminava più allo stesso modo, i volti che ogni giorno le facevano compagnia si erano rarefatti, alcuni si erano dileguati. Cercava, inutilmente, dove si fossero nascoste le sue abitudini quotidiane.  Inseguiva gli affetti, soltanto i suoi affetti, ma non riusciva più a trovarli.

Le sembrò che il tempo non scorresse più, che si fosse trasformato in un’immobile attesa. Ma lei non poteva più attendere e il cippo non l’aveva ancora trovato. Fu allora che cercò rimettersi in piedi. Incominciò a gridare.

Chiedeva, solo, di poter ritrovare quell’ultima traccia di sentiero. E sì che di strada ne aveva fatta. Nella buona e nella cattiva sorte aveva camminato, sotto il sole e sotto il temporale, aveva attraversato il tempo nel quale si sorride e il tempo nel quale si piange, aveva provato la gioia e il dolore, ma non aveva mai perso il sentiero, neppure quando sembrava che la traccia si fosse confusa, perché coperta dai rovi o devastata dal torrente in piena. Neppure in quel tempo si era smarrita.

Ed ora, cercava solo di ritrovare quella traccia di sentiero che, in poco tempo, l’avrebbe guidata sino al cippo. L’avrebbe riconosciuto, ne era certa, anche se fosse stato nascosto dai cespugli di cisto o mimetizzato sotto i licheni.

Aveva ancora una lettera da consegnare. Qualcuno l’aveva dimenticata e lei, per tutto quel tempo, l’aveva conservata. Ma il tempo della consegna stava ormai per scadere e lei non voleva mancare a quel suo impegno. Gli impegni li aveva onorati, sempre, anche quando la tromba, all’improvviso, aveva smesso di suonare e lei aveva desiderato di dissolversi con le ultime note dell’ultimo silenzio.

E invece la tromba l’aveva conservata, tenendola sempre bene in vista, e si era attrezzata per far fronte, con fermezza e con vigore, alla pesante eredità che le era toccata in sorte.

Eppure, in quel momento di confusione, neppure la tromba trovava più. Chissà a chi sarebbe toccato conservare quella reliquia. Temette persino che si fosse perduta. Fu allora che cercò rimettersi in piedi. Incominciò a gridare.

Avrebbe voluto voltarsi all’indietro e riconoscere il sentiero, sin da quando era bambina e giocava con le pietre del fiume, e poi quando la campana aveva suonato a festa, e quando un giovane che sembrava uscito dallo schermo l’aveva portata via promettendole felicità. Avrebbe riconosciuto due splendide ragazzine danzarle intorno e avrebbe ricordato quanto le era costato governarle. Anche nelle ombre si era imbattuta.

Ma che importa. Una volta ritrovato il sentiero avrebbe potuto ripercorre, in un solo istante, tutto l’itinerario, passo dopo passo. E se un velo di malinconia avesse attraversato il suo sguardo, sarebbe stata malinconia quieta e dolce. Avrebbe asciugato una lacrima e si sarebbe avviata verso gli ultimi passi, senza più nulla pensare, nulla immaginare, perché già tutto aveva pensato, già tutto aveva immaginato.

Maria, in tutto quel tempo, mai si era allontanata dal posto che le era stato assegnato. Dalla sua casa, dovunque essa fosse, aveva continuato a guidare chi doveva essere guidato, rimproverare chi doveva essere rimproverato. Nel suo telaio, invisibile, tesseva ancora gli affetti, in attesa di rimettersi in cammino, quando fosse arrivata l’ora.

Ma quando si guardò intorno e incontrò lo sguardo di sconosciuti, temette. Chi la amava le si avvicinò, la cinse alla vita e le parlò, con voce imperativa, cercando di scuoterla. Ma lei non la riconobbe.Fu allora che Maria cercò di rimettersi in piedi. Incominciò a gridare.

Almeno la compagnia della vecchia madre avrebbe voluto. Nella vecchia casa del vecchio paese sarebbe voluta tornare. Avrebbe voluto calpestare quel suolo e riascoltare il crepitio delle fiamme che danzavano nel camino. Ed invece, la accompagnarono in un luogo dove tutti vestivano di bianco, in un letto bianco l’adagiarono. Furono premurosi. Le medicine, quelle che segnavano il tempo delle sue giornate, non gliele fecero mancare. Le rivolsero parole suadenti per restituirle serenità. Ma non vollero accompagnarla verso l’ultima traccia del sentiero. Se fossero sopraggiunte le tenebre sarebbe stato più difficile trovare il cippo. Fu per questo che Maria cercò di rimettersi in piedi, di nuovo gridò.

Donne vestite di bianco l’aiutarono a distendersi sul letto, un’altra medicina le diedero. Maria fu vinta dalla stanchezza. Trovò la quiete e si abbandonò al sonno. Sognò di camminare nel bosco, al crepuscolo. L’accompagnavano lo stridulare dei grilli e lo squittìo della civetta. Incontrò la traccia di sentiero, la riconobbe senza esitazione. Mantenne lo sguardo fisso verso il terreno e la seguì. Le gambe avevano ripreso a sorreggerla, i polmoni capaci di dilatarsi senza fatica. Il direttore dell’orchestra comandò di proseguire in diminuendo.  Proseguì, mentre il silenzio, a poco a poco, soggiogava natura.

Trovò il cippo, lo riconobbe. Era soltanto una pietra, insignificante all’apparenza. Ma era proprio come l’aveva sempre immaginato. Si fermò davanti al cippo. Soltanto un dubbio la sfiorò: se avesse dovuto voltarsi indietro, ancora una volta, prima di attraversare il confine. Sorrise e proseguì.

 

 

One Comment

  1. Annamaria Deidda

    Grazie, Gianni per il tuo racconto profondo e dolce che hai dedicato alla mia mamma che il 5 maggio è volata via . La immagino pudica e sorniona nel leggerlo , orgogliosa come sempre del suo nipote che tanto amava . Da figlia non posso che essere orgogliosa di una mamma forte e coraggiosa che troppo giovane è rimasta sola a crescere due ragazze che ancora dovevano portare a termine gli studi . Con fatica ci è riuscita senza mai lamentarsi e senza mai volere niente per se , ma donandosi fino all’ultimo alle figlie ,ai suoi generi, (per lei più che figli) e ai suoi tre nipoti che ci ha aiutato a crescere con severità ma con infinito e inusuale amore . Era una femminista ante litteram e ci ha insegnato l’importanza dell’indipendenza e dell’autonomia . “Andare avanti senza chiedere mai” era il suo motto al quale ha tenuto fede per i suoi splendidi 97 anni. Il dolore lacerante per la sua perdita può solo essere mitigato dall’orgoglio di averla avuta in dono. Grazie mamma ,adesso da lassù saprai come al solito intervenire nella nostra vita che per noi continuerà nel tuo ricordo.

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