L’insularità in Costituzione: un salto culturale [di Maria Antonietta Mongiu]

L’Unione Sarda 29 luglio 2022. Il Commento. “Quando ti metterai in viaggio per Itaca/devi augurarti che la strada sia lunga, /fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi/o la furia di Nettuno non temere, /non sarà questo il genere di incontri/ se il pensiero resta alto e un sentimento/fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo”. Così l’incipit di Itaca di Konstantinos Kavafis , egiziano di origine greca, che riassume il senso profondo di un’insularità, generativa di opportunità.

Un altro adagio, non meno suggestivo, recita “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi dell’insularità”, modifica, dal 28 luglio 2022, l’art. 119 della Costituzione per restituire la percezione positiva dell’insularità, maturata in questi anni. Irriducibile e potente come le metafore di Kavafis.

Perché il cambio della Costituzione è figlio, soprattutto, di un cambio di paradigma e di sguardo che si configura come un epocale cambio culturale. Inatteso ribaltamento non solo giuridico, che pure ha inaudita rilevanza, e vero e proprio recupero di senso, attraverso un viaggio in quell’oscuro magma che si chiama percezione di sé. Ambito assai difficile da definire; specie per un popolo che, talvolta, persiste in un retorico quanto reificante etnocentrismo.

Ogni semplificazione o scorciatoia; ogni strada abbreviata o qualsivoglia autoassoluzione, non funzioneranno e renderanno sterile persino questa tappa così rilevante, anche sul piano simbolico.

Quanti stigmi e autostigmi, sono stati tematizzati in questi anni? Quanti gli irrisolti discussi? Quanti sindaci, studiosi, intellettuali, professionisti, imprenditori, sindacalisti, appartenenti al clero o alle associazioni, o semplici cittadini sono stati interpellati, durante questo viaggio? Migliaia. Un intellettuale collettivo che vuole essere società educante e che ha trovato voce anche in questo gruppo editoriale che ha aderito ad una processione, affollata quanto anonima.

I processi dei grandi cambiamenti partono dal basso e, per essere fondanti di reali mutazioni, si fanno anonimi senza leaders, capi o capetti. Perché i gruppi chiusi, autocefali e autoriferiti non servono come non serve la semplificazione. Meno che mai ora. Bravi gli esponenti delle istituzioni rappresentative che lo hanno inteso e ne hanno seguito l’esempio di compattezza.

Imparis ovvero insieme e pari.

Da subito, quando con Roberto Frongia abbiamo condiviso il viaggio, per lui troppo presto interrotto, tematizzammo l’utilità di un processo di autocoscienza che necessitava di un cambiamento linguistico che ha modificato, in diverse tappe, il percorso. Da assumere il linguaggio della quotidiana normalità di ogni cittadino che affronta il disagio della vita ordinaria, senza privilegi e corsie preferenziali. Ecco nel nuovo vocabolario comparire un’espressione, ormai, patrimonio collettivo: pari opportunità.

Nell’art. 3 della Costituzione si legge: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Era sotto i nostri occhi. Eppure, in decenni di Autonomia speciale, non ci eravamo accorti che la Repubblica, e le sue declinazioni, per le aree insulari, non hanno agito un articolo tra i fondamentali della Costituzione. Quasi il suo incipit.

Una volta che la Costituzione ha recepito il principio di insularità, è salutare esercizio di ecologia istituzionale, sociale e personale chiedersi perché non lo abbiamo mai invocato. Urge, di conseguenza, non smettere di interpellare le pratiche delle nostre classi dirigenti, a principiare dalle politiche e dalle rappresentanze partitiche, e studiare il cambio di passo e il recente percorso che ci hanno portato fin qui.

Ecco perché il Comitato tecnico scientifico continuerà la strada della discussione sui diversi temi seguendo il percorso inaugurato da subito. Per la stessa necessità di documentare, per tabulas, sottraendosi al memorialismo di parte, un passaggio di tale rilevanza storica abbiamo progettato la Insularità in Costituzione Digital Library, in corso ormai di realizzazione, in cui ci saranno le testimonianze in video non solo di decine di protagonisti di tanto processo ma di tutti i/le sardi/e vogliano costruire insieme un Archivio di Comunità. Le modalità saranno presentate ad horas.  Auguri a tutti noi.

One Comment

  1. Mario Pudhu

    Mariantonietta, cun s’Itàlia de candho l’ant fata, prima Monarchia, apustis Dittatura e in úrtimu Repúbblica, sos Sardos semus sempre paris e sempre «impari» e segundhu tue, comente ti apo intesu nendhe, fintzas a como s’Itàlia fit solu un’Istadu, ma no Repubblica!
    Su tou mi paret meda prus su “canto del Cigno”.
    Cun sa “insularità in Costituzione” amus a sighire a isperare, ispetare, pregare, pedire, pistare abba e mòrrere prima chi a s’Itàlia li avasset tempus pessendhe a sos fatos suos.

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