Economia e Denatalità [di Pier Giorgio Testa]

Si ritorna ogni anno a piangere sulla statistica che ci parla di aumento della denatalità , rispetto agli anni precedenti, ma siamo privi di soluzioni o, quelle che ci prospettano, sempre solo di carattere economico,  sembrano davvero insufficienti se non del tutto inutili e, così, c’è da scommettere che l’anno prossimo andrà peggio di questo.

La Stampa 15/05/2023.  Le principali cause del problema vengono indicate (attraverso sondaggi) negli stipendi bassi e nell’aumento del costo della vita (70%), nell’instabilità lavorativa e nella precarizzazione del lavoro (63%), nella mancanza di sostegni pubblici per i costi da affrontare per crescere i figli (59%), nella mancanza di servizi per le famiglie diffusi e accessibili a tutti (57%) e dalla paura di perdere il posto di lavoro (56%, il 61% tra le donne).

Già in passato a rinforzare questa tesi economicista, magari da un altro versante (i bambini servono per le pensioni), nel suo articolo sul Corriere di sabato 15 maggio 2021 Federico Fubini sosteneva “Oltre 1 milione di abitanti in meno creano problemi strutturali: equivalgono all’uno per cento di prodotto interno lordo in meno ogni anno: meno consumi, minore fatturato delle imprese. Meno investimenti…meno gettito fiscale, meno capacità di sostegno al welfare.” Sempre Fubini osservava, a ragione, come l’Italia affamata e distrutta del 1946 faceva più figli della consorella sconfitta e ancor più distrutta Germania e della ex nemica Francia, invece vittoriosa.

In un articolo dello scrivente del 17/5/2021 e pubblicato qui, si evidenziava come Romania e Repubblica Ceca risultavano più povere di Spagna e Grecia, ma gli indici di Natalità erano più alti e tutto ciò sembrerebbe non accreditare ipotesi economiciste. Risultava anche che le povere Romania e Repubblica Ceca, avessero lo stesso indice di natalità delle ricche Danimarca, Irlanda e Svezia. Nello stesso articolo veniva proposto il ruolo centrale svolto in questo problema dalla perdita di un valore essenziale, quale l’identità culturale ritenendo che identità e cultura fossero antitetiche ai processi di omologazione e potessero ostacolare il dilagante consumismo.

Se evitassimo di lasciarci indirizzare l’attenzione solo sugli aspetti economici e potessimo stare attenti ai nostri giovani, forse potremmo scoprire, che oltre ai soldi mancano altri requisiti, magari di carattere psicologico, che consentirebbero ai giovani odierni di avere più coraggio di fare scelte.

Non sembra mai sufficientemente evidenziata l’osservazione comune della fragilità che caratterizza i nostri ragazzi, cresciuti senza conoscere la frustrazione da casa (guai a sgridare) a scuola ( guai a correggere un alunno o a rimproverarlo o a mettergli un brutto quanto realistico voto).

Al contrario vige la legge della rapida soddisfazione di tutti i desideri, meccanismi alla base della svolta consumistica vigente. Sarà difficile immaginare che persone cresciute con queste modalità sentano il bisogno di “impegnarsi” nel dare al mondo figli, impegno, a cui non sono stati abituati e che sentono troppo oneroso e in contro-tendenza rispetto alle nuove abitudini. Tempo fa alcune coppie di giovani che avevano deciso di non aver figli perché non volevano rinunciare a viaggi frequenti, a cene del sabato sera, a gite fuori porta alla discoteca, alle crociere, furono considerate ammalate.  Chi scrive non sottoscrisse questa ipotesi, ritenendo tali comportamenti in linea con il nuovo modus vivendi così ben dettato dal consumismo, che pretende queste novità.

La stessa preoccupazione avanzata da molti giovani di non voler fare figli per paura delle malattie dei bambini e delle frustrazioni a cui crescendo potevano andare incontro sembrano credibili, ma sempre frutto della fragilità a cui tali mancati genitori sono andati incontro.

Gli unici credibili sono sembrati quelli preoccupati di far nascere figli stante le condizioni del clima: questi hanno ben presente la realtà di oggi e di un prossimo futuro, che sembra venire nascosto da un potere economico sempre meno preoccupato dei deleteri effetti collaterali dovuti al suo agire.

Questi ultimi non compariranno mai nelle statistiche

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