La Storia in musica [di Franco Masala]

Un accordo virtuoso fra teatri di tradizione – Cremona Como Pavia Pisa Ravenna – ha fatto sì che la produzione del capolavoro di Claudio Monteverdi L’Incoronazione di Poppea potesse girare per un totale di dieci rappresentazioni, ammortizzando i costi. Se si pensa ai tre differenti allestimenti del Mefistofele di Boito (Cagliari Roma Venezia) nella stessa stagione 2023-24 si capisce come il rapporto tra enti dovrebbe essere la prassi corrente e non l’eccezione.

A Pisa, nel teatro Verdi dotato di ottima acustica, sono risuonate le note monteverdiane in una esecuzione festeggiatissima. Tralasciando i problemi sulla paternità o meno del “Divino Claudio” riguardo alla partitura (Venezia 1643 o Napoli 1651) e gli annosi dilemmi sull’utilizzo di questa o quella tipologia vocale per i diversi ruoli, occorre mettere in evidenza la bellezza del libretto di Giovanni Francesco Busenello ispirato agli Annales di Tacito e quindi primo melodramma a trattare fatti storici e non mitologici. Si rammenti il valore aggiunto dei tipi di personaggi come l’amante abbandonata, l’innamorata svampita, la nutrice vogliosa, il vecchio saggio per capire l’importanza del lascito che passerà successivamente nelle opere a venire.

Dire che la riuscita di un’opera deriva dai suoi interpreti è una tautologia ma qui viene rimarcata anche perché tutti i cantanti sono italiani e il recitar cantando di Monteverdi richiede una intelligibilità non garantita da interpreti che non siano di lingua madre. La voce fresca e acuta del sopranista Federico Fiorio (Nerone) si spande perfettamente nel fraseggio e nelle arie per amalgamarsi d’incanto nei vari duetti con una espressività assoluta.

Degna partner è il soprano Roberta Mameli, una Poppea ideale che utilizza al meglio la sua voce sicura, disegnando il personaggio con il surplus di una figura decisamente affascinante. Josè Maria Lo Monaco offre una bellissima interpretazione di Ottavia, soprattutto nell’Addio a Roma finale, degnamente affiancata dal controtenore Enrico Torre (Ottone) e dalla fresca Chiara Nicastro (Drusilla).

Buone la parti di fianco che contribuiscono a garantire il continuo mutare di registro tra comico e tragico, tra serio e faceto, assicurando lo scorrere delle vicende in scena. Ottimo Seneca dalla voce grave è Federico Domenico Eraldo Sacchi mentre la nutrice Arnalta di Candida Guida ha il momento di grande emozione nella bellissima aria di sonno (‘Oblivion soave’).

L’altra nutrice en travesti di Danilo Pastore è giustamente divertente e ironica come Paola Valentina Molinari nel duplice ruolo di Amore e del Valletto. Va segnalato ancora il bravissimo Luigi Morassi nel ruolo di Lucano con una voce baritenorile, perfettamente a contrasto con il timbro di Fiorio nel duetto di gioia per la morte di Seneca. Completano la lunga locandina Luca Cervoni, Mauro Borgioni, Francesca Boncompagni e Giorgia Sorichetti, impegnati anche in più ruoli.

Antonio Greco dirige l’orchestra Monteverdi Festival-Cremona Antiqua con dodici agguerriti musicisti che oltre agli archi suonano strumenti desueti come lirone e tiorba, dulciana e cornetto, assicurando una varietà di timbri e di accompagnamento di grande fascino che sostiene continuamente i cantanti.

L’intera messinscena – regia scene costumi luci – è affidata al veterano Pier Luigi Pizzi che riprende i suoi modi abituali di grandissimo “sarto” nei costumi che riempiono letteralmente una scena scarna fatta di pochi elementi (due colonne corinzie, un albero e una sfera dorati, una panca e un triclinio). Si può dire, per esempio, che il vestito bianco di Poppea e i manti rosso e nero di Nerone siano parte integrante dell’azione che, pur limitata, sottolinea la recitazione dei cantanti in un gioco continuo di gesti e di sguardi.

Teatro gremito per un successo grandissimo.

*foto di StudioB12 di Giampaolo Guarneri ©

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