Storia sarda nella scuola italiana: una proposta [di Maurizio Onnis]

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Sono colpevole, lo ammetto. Sono colpevole perché scrivo i libri di storia che molti ragazzi portano a scuola ogni giorno e, a parte fugaci accenni ai nuragici, non spendo parola per la Sardegna. La ragione della mia colpa è oggettiva: i programmi del Miur, il ministero dell’istruzione, non danno spazio alla nostra terra. La Sardegna compare tra le pieghe delle civiltà italiche precedenti Roma: assimilata al destino della penisola molto prima che l’Italia esistesse. E ricompare poi solo per dare il suo nome al Regno di Sardegna, che fosse in mano agli spagnoli o ai piemontesi.

Un nome, un’ombra priva di materia, una terra assunta ma non narrata nelle pagine imperniate su Madrid e Torino. Niente sui giudicati. E clamorosi errori nella cartografia: vedi la Sardegna dominata da Bisanzio ancora nell’XI secolo, quando Bisanzio si era rintanata da tempo sul lato opposto del Mediterraneo. È una situazione inammissibile: fino a quando la nostra storia non passerà per le aule scolastiche avremo ben poche possibilità di creare una coscienza nazionale e di popolo diffusa e radicata.

La scorsa primavera ho fatto un’esperienza interessante. Ho tenuto lezioni di storia sarda ai ragazzi di una media inferiore della Marmilla. Dieci lezioni di storia dei sardi e della Sardegna a una trentina di ragazzi, tra prima, seconda e terza media. Erano lezioni di circa un’ora, frontali, ma costruite su un power point molto snello: poche frasi, parecchie immagini e qualche video. Ho ripercorso l’intero nostro cammino, dalla Grotta Corbeddu al Piano di Rinascita, in termini semplici e chiari, mescolandovi informazioni geografiche, demografiche ed economiche.

Fortunatamente, oggi, nessun corso scolastico si limita più ad assemblare nozioni puramente storiche e persino quelli delle medie inferiori si aprono alle altre discipline. I ragazzi di seconda e terza sono stati piuttosto disattenti. I ragazzi di prima hanno ascoltato, hanno fatto domande, hanno preso appunti. Se anche uno solo di loro farà tesoro di quanto ha sentito, ne sarà valsa la pena. L’anno prossimo ripeteremo l’impresa, forse allungando il numero degli interventi da dieci a quindici.

Dentro gli orari della scuola italiana c’è spazio per iniziative del genere, che però naturalmente non bastano. Come non bastano gli sforzi degli insegnanti che portano i ragazzi in visita sui siti archeologici e storici dell’isola o le proiezioni in classe di documentari e film a soggetto storico. Sono azioni di una minoranza estrema, bagliori di luce in un panorama del tutto oscuro. Gli alunni delle nostre classi secondarie sanno bene cos’è la Brigata Sassari, ma raramente riescono a collocare Eleonora d’Arborea nel suo secolo e nominargli Giovanni Maria Angioy significa correre il rischio di ottenere in risposta solo silenzio.

Non c’è da stupirsi che generazioni istruite in questo modo producano, una volta adulte, risultati aberranti: come il misconoscimento della nostra storia, bella o brutta che sia, costruita sulle fonti, e l’esaltazione invece dei Shardana, di cui non sappiamo quasi niente ma ormai annoverati dal senso popolare come nostri sicuri antenati. Non si scappa, insomma. La storia sarda deve entrare nella scuola italiana e deve entrarci in misura corposa. Solo così diverremo una comunità consapevole e capace di compiere scelte adeguate. Non conoscere la nostra storia ci rende ciechi: chi può, nell’ignoranza, decidere di se stesso? O comprendere e abbracciare, per stare all’attualità politica, autonomia, sovranismo, indipendenza?

Non è possibile attendere le incertezze e le lungaggini della politica. Non è possibile appellarsi all’editoria, che ha esigenze di guadagno legittime e non soddisfabili dai numeri in gioco. È possibile ma non è morale elaborare progetti in tema (lingua, cultura o anche storia sarda nella scuola italiana) e ottenere finanziamenti pubblici che si rivelano poi, spesso, sovrabbondanti rispetto ai risultati prodotti. Serve un’azione dal basso: questa storia, la nostra storia, va scritta e portata in classe da persone volenterose, appassionate e disposte a lavorare con gratuità. E l’idea a fondamento di questo articolo è che sia possibile arrivarci mettendo in rete insegnanti e autori. Anzi, per iniziare basta mettere in rete un insegnante e un autore. Vediamo.

In che modo? – So per esperienza diretta che gran parte degli insegnanti ha bisogno di materiale pronto da proporre agli alunni e che allontanarsi dalle linee tracciate dal ministero è difficile. La storia sarda nella scuola italiana deve dunque presentarsi nella forma di un testo preconfezionato e con un contenuto che affianchi il programma del Miur. In altre parole: se in prima media si studia il Novecento, esso sarà accompagnato dal Novecento sardo. E se al primo anno delle superiori si studiano preistoria e storia antica fino alla nascita dell’impero romano, queste saranno accompagnate dalla preistoria e dalla storia sarda fino allo sbarco delle legioni nell’isola. In modo che l’insegnante possa far precedere o seguire all’esame di ciascuna fase o epoca storica “ufficiale” il racconto di ciò che contemporaneamente è avvenuto in Sardegna. Comodamente, come più gli aggrada e, a sua scelta, in orario curricolare o non curricolare.

Chi deve insegnarla? – Possono sfruttare il materiale pronto gli insegnanti delle discipline umanistiche che già si sforzano d’introdurre lo studio della storia sarda a scuola. E a partire da loro si deve creare una rete di docenti, magari già oggi convinti della necessità di raccontare ai ragazzi la nostra storia ma frenati dalla mancanza di un testo di riferimento. A questi si dà proprio il testo, che possono spiegare in classe, dare da leggere ai ragazzi, saltare per passare direttamente alla didattica. Insomma, venire incontro al bisogno degli insegnanti è la chiave che porta alla diffusione del progetto.

Chi deve scriverla? – La stragrande maggioranza dei testi scolastici utilizzati oggi nelle medie e nelle superiori ha per autori insegnanti dello stesso ordine di scuole. Tocca al più sensibile o ai più sensibili tra loro iniziare l’opera, non così complicata come sembra. Facciamo un esempio. Un libro di storia di terza media, oggi e in tempi di agenda digitale calante, raggiunge le 350 pagine. Ebbene: sapendo che alla storia sarda toccherebbero i ritagli di tempo e che si tratta solo di avvicinare i ragazzi alla materia, senza la profondità che essa avrebbe se fosse curricolare, basterebbero un’ottantina di pagine. Ottanta paginette sul Novecento sardo, ben scandite in capitoli, nel linguaggio semplice e chiaro utilizzato per i quattordicenni, in forma semmai di pdf stampabili e fruibili da più insegnanti sono al di là della portata della nostra classe intellettuale?

Dunque, ecco cosa serve: una rete, anche limitata, di docenti disposti a usare un testo pronto, come già usano i libri che nelle scorse settimane sono stati sottoposti alla loro scelta per le adozioni, e un manipolo d’intellettuali che scrivano i contenuti. All’osso, come dicevo, per iniziare bastano un insegnante e un autore. È molto poco, se pensiamo all’obiettivo: restituire alla nostra gente la sua storia. Se sembra tanto, forse, è proprio perché siamo in Sardegna.

*Consulente editoriale. Ha lavorato con i maggiori marchi dell’editoria scolastica italiana: Arnoldo Mondadori, Bruno Mondadori, Einaudi, Mursia, D’Anna, Loescher, Paravia e altri ancora.

 

 

 

7 Comments

  1. Nuccia

    Condivido. Insegno in una scuola primaria e vorrei proprio lavorare sulla storia della Sardegna. Se c’è qualche proposta sono pronta a coinvolgermi.Nuccia

  2. Andrea

    Condivido tutto e aggiungo che se si potesse incomunciare da una piattaforma on line dove raccogliere i contributi di chi è in grado di fornirli e da pochi che sono in grado di analizzarli e realizzare un sunto affinché anche gli studenti possano studiare parallelamente al programma scolastico, sarebbe fantastico.
    Sono babbo da poco e posso dare il mio contributo in tal senso. Associarsi e iniziare dove oggi mamma regione non vuole/può/sa arrivare.

    Lo spero vivamente.

    • maurizio onnis

      andrea, è esattamente ciò cui pensavo anch’io. qui sopra trova il mio indirizzo di posta elettronica. sentiamoci e mettiamo a confronto le nostre idee. saluti.

  3. Antonio

    Nuccia, non ho ben capito se sia pronta a “coinvolgersi da sé” nel progetto o ad “essere coinvolta” nel progetto. Potrebbe chiarire meglio la sua dichiarazione di disponibilità? Grazie!
    Antonio

  4. MARGHERITA MELONI

    Intanto condivido al quadrato, nel senso che sono pienamente d’accordo su tutto e, nel mio piccolo, ogni volta che ho fatto storia, di mia iniziativa ho aggiunto la storia e la preistoria sarda, proprio come suggerisce, qui, Onnis . Persino quest’anno, pur non facendo storia, in quinta (Primaria) ho invitato Alessandra Garau, (che in ogliastra lavora con le scuole su progetti per la conoscenza della storia e della preistoria sarda), la quale è venuta da noi, GRATUITAMENTE, e ha fatto una lezione di due ore con molte immagini, proprio come propone Onnis, ma soprattutto con molto entusiasmo. (lei mi aveva chiesto di cosa volevo che parlasse e io le ho detto, guarda di quello che vuoi, l’unica cosa che mi interessa è che loro colgano il tuo amore per la nostra terra e che riesca a trasmettergliene un po’): c’è riuscita. Peccato averci pensato solo a fine anno scolastico … Seconda cosa, poi, condivido su facebook, visto che uno dei metodi suggeriti è quello del “parliamone, contiamoci, chi ci sta?” Lo farò anche a scuola, con colleghi e colleghe… ma ormai se ne riparla a settembre. Grazie.

  5. Giovanni Serreli

    Caro Maurizio Onnis,
    cerco di sintetizzare in poche righe il mio pensiero, premettendo che opero nel mondo della ricerca storica (sul medioevo rurale sardo in particolare) ma cerco di divulgare nei modi più efficaci la storia, la nostra storia.
    Sono perfettamente d’accordo con te nell’evidenziare la necessità, per noi popolo sardo, di conoscere e quindi appropriarci della nostra storia senza cadere negli (ahinoi) atavici errori della ricerca di origini mitiche e fantastiche o della ricerca del “colpevole” della nostra “arretratezza”.
    E sono parzialmente d’accordo anche nello stimolo che hai cercato di dare al mondo della scuola affinché l’introduzione della storia di Sardegna nei programmi delle nostre scuole sia possibile.
    Non vedo, però, la risposta a una domanda fondamentale: cosa vogliamo proporre (dentro o fuori gli orari curricolari, a pagamento o gratuitamente…) della storia di Sardegna alle nostre future generazioni?
    Vogliamo proporre una storia che è passata sopra l’isola di Sardegna, portata dai dominatori di turno che hanno costruito per noi le città fenicie e cartaginesi, le terme romane, i castra bizantini, i castelli pisani e genovesi, le torri aragonesi o spagnole o i forti piemontesi?
    Se questa è la risposta, beh!, scordiamoci di entrare nei libri di storia perché i libri di storia già parlano dei Fenici e Cartaginesi, dei Romani, dell’Impero Romano d’Oriente, delle Repubbliche Marinare, degli Aragonesi e Spagnoli, dei Sabaudi. Noi non siamo che la periferia di questi “dominatori” e non possiamo trovare spazio nei manuali di storia. Da questo punto di vista aveva paradossalmente ragione il prof. Giuseppe Serri quando, qualche lustro fa nella prima pagina dell’Unione Sarda, scriveva che noi non avevamo personaggi, battaglie o eventi in grado di competere con quelli osannati nei libri di storia.
    Oppure vogliamo proporre la storia di Sardegna come storia fatta di quattro stati chiamati Regno di Càlari, Regno di Torres, Regno di Gallura e Regno di Arborèa che giocarono un ruolo fondamentale nello scacchiere socio-politico ed economico del Mediterraneo e dell’Europa medievale? Che avevano leggi e strutture amministrative all’avanguardia. Che portarono avanti, tramite i loro protagonisti, precise strategie politiche ed economiche? Finché continueremo a chiamarli giudicati (dove sta scritto?) non dobbiamo pretendere che oltre i confini della nostra isola (e anche all’interno) ci comprendano.
    Vogliamo parlare di quello stato che, nato anche dall’infausta sconfitta arborense a Sanluri, ha preso il nome di Regno di Sardegna? Come si è sviluppato questo stato? Quali sono le sue vicende? Dove è andato a finire (se mai è finito)?
    Solo allora i vari Sigismondo Asquer, Giovanni Francesco Fara, Giovanni Maria Angioy, Guseppe Maria Pilo acquistano un ruolo e una visibilità internazionale che ne rende possibile l’inserimento a pieno titolo nei manuali di storia nazionali. Si vuole fare questo? Ne abbiamo la piena coscienza e il coraggio?
    Un caro saluto
    Giovanni Serreli

    • maurizio onnis

      caro serreli, lascio anche a lei il mio indirizzo di posta elettronica: scritture@alice.it. mi scriva e mettiamoci in contatto. la risposta ai suoi quesiti richiede certamente più di un paio di righe sul web. intanto, la ringrazio molto per l’interessamento e l’accurata riflessione.

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