Ricordo che di queste donne siete i figli [di Savina Dolores Massa]

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1978. È il periodo dei miei vent’anni e di molti vent’anni, venticinque o trenta. È il periodo di una generazione di donne mentre imparano a voltarsi da un agire impostato e imposto, e fu sorpresa e anche botte materne in attesa dietro una porta notturna, per un ritardo esagerato oltre l’orario di decenza nel rientro a casa, per una ragazza. Botte, poi discussioni, minacce, ricatti, infine una specie di invidia in una resa di chi il treno della ricerca della libertà l’aveva perduto.

Le nostre madri, avessero provato davvero a rinchiuderci, ci avrebbero spento la voce, e con la nostra, la loro. Finsero di arrabbiarsi ma ci lasciarono andare. Non ci dissero, Vai anche in nome mio, ma nel ’78 le ragazze sapevano leggere il pensiero. Ora non so. Non so cosa possono comprendere di noi e del nostro ’78, delle strade che abbiamo contribuito ad aprire loro, di altre che – può essere – abbiamo dipinto di confusione. Non posso neppure parlare della solitudine che di tanto in tanto colpisce tutte, ma della determinazione di alcune sì.

Sapevo, nel ’78, che a novanta km. dalla sottoscritta un gruppo di ragazze aveva inventato la Libreria delle donne. Le immaginavo uguali a me, con gonne a fiori e intelligenze ridenti. Tra i libri e tra i sogni. Ho scoperto recentemente, cioè pochi giorni fa, che quelle donne da me stimate senza averle mai incontrate, negli anni avevano trasformato il loro coraggioso progetto nel Centro di documentazione e studi delle donne. Quelle donne “sconosciute” accanto ai miei vent’anni le ho incontrate fronte contro fronte adesso, e amate tanto, senza sapere che fossero loro. Sono donne pensanti che accolgono con volti di vent’anni, lo giuro, e con una gioia vitale che contagia e incatena benevolmente.

Ogni giorno non ostentano sicurezze, ma insieme (che parola arcaica!) aprono a tutte e a tutti, come un dono, la porta del loro vissuto e di un futuro non temuto nella sua costruzione. Fare un torto a tanta bellezza attiva, e ricerca, e conservazione di memoria sarebbe danno irrimediabile. Come accoltellare un aquilone, come sparare al sole.

Tutte possiedono un nome e un cognome: Centro di documentazione e studi delle donne. È un nome collettivo, frutto – come un grappolo d’uva – di insieme. Ora si vorrebbe radere al suolo una vigna? Che incauti, e in nome di che cosa? Di frutta insapore ma più appariscente? Di frutta che non lascerà ricordo di sé nella bocca di alcuno?

Per un momento, uno solo e spero non ne occorrano altri, ricordo a voi che ora con disinvoltura minacciate potature, che di queste donne siete i figli. E se ne siete i figli dovreste solo ritornare alle loro gonne a fiori e inchinarvi, con vergogna.

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