Visita a Buoncammino [di Bachisio Bandinu]

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L’intervento è stato scritto per la Tavola Rotonda Il riscatto dei “guardati” senza sguardo nel Seminario Michel Foucault: Istituzioni totali e comunità ospitanti organizzato dal FAI Sardegna all’interno dell’iniziativa Il primo miglio per la riapertura dell’ex Carcere di Buoncammino il 2 e 3 maggio.

Questo luogo ci invita all’ascolto per cogliere il linguaggio del silenzio e l’eco delle parole. Qui lo sguardo è povero, ha un orizzonte chiuso, pochi i segni da leggere. Bisogna disporsi ad ascoltare l’invisibile scrittura tracciata sulle pareti, l’intreccio delle parole sulla superficie del pavimento. Questo è il luogo del racconto: narrazione di un lungo percorso storico. Una storia drammatica vissuta dentro, sepolta dentro. Teatro della solitudine, dell’angoscia e, a volte, dell’assurdo. Cercare una sintonia con i colori delle voci e la loro risonanza nel labirinto. Soliloqui per non sentirsi soli, parole sussurrate e gridate, parole non dette e ributtate nelle viscere dove hanno fatto nodo. Il nostro buon cammino segue tracce per scoprire storie di vita.

Siamo in visita, grazie al FAI. Forse non abbiamo osservato il precetto di umanità di visitare i carcerati, ma oggi facciamo visita a tutti coloro che hanno vissuto in questo luogo di pena, che hanno abitato in questa casa circondariale, per intendere il significato struggente della parola “casa” e il senso straniante del verbo “abitare”.

Qui lo spazio si chiude e il tempo si dilata. Il corpo e lo spazio, il piede e il passo, la camera, il corridoio e l’infermeria: tutto secondo una misura stretta, misura metrica, tattile, ottica. Restringimento dello sguardo reale e simbolico. Oggi, noi diciamo: questo luogo è uno spazio immenso, ben più di un ettaro, perché viviamo un’esperienza di libertà, ma i detenuti hanno sentito questo spazio restringersi in un buco nero. Per noi luogo panoramico, per loro senza prospettiva e senza luce. Paesaggio interno, senza orizzonte esterno.

Il corpo e il tempo. Tempo sbarrato da un muro, senza investimento, chiuso in un cerchio ossessivo, nella scansione di una giornata d’infinita ripetizione. Anche “l’ora d’aria” è fissata da un orologio. Tempo regolato dal nome della legge, dal peso del giudizio, dallo sconto della pena. Scandire gli anni, i giorni, nell’angoscioso calcolo della scadenza di un tempo che appare fermo.

E’ stato detto che ora è un grande spazio vuoto, come riempirlo, ed invece è superaffollato, come è sempre stato, pieno di fantasmi che sono più reali del reale, presenze vere che rendono testimonianza, per dire che non si può cancellare la storia, non si può far tacere il racconto. Noi siamo venuti qui per un colloquio, c’è uno spazio destinato proprio ai colloqui: bisogna ascoltarne alcuni brani degli infiniti colloqui che qui si sono consumati, e sperimentare se troviamo le parole che in questo luogo erano essenziali e senza chiacchiera.

E infine, terminata la visita, uscendo nella strada della libertà, nel viale del Buon Cammino, provare a pensare (e se è possibili a sentire,) quali sentimenti il carcerato, diventato uomo libero, avvertisse dentro di sé, guardando dal terrapieno gli interminati spazi d’orizzonte. E magari, a margine di una visita, avviare un altro discorso, osservando la Sardegna come una metafora, per interrogarci se i Sardi vivano in un una terra di chiusura e di segregazione per spazi di vita sottratti e negati e se debbano affermare, con le opere, la volontà d’ascolto e visione di orizzonti liberanti.

 

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