Casteddajos! … procurad’’e moderare … [di Salvatore Cubeddu]

ca_torre_elef

Sono arrivati i viri illustres dalla città turritana per far intendere ai viri clarissimi di Cagliari di moderare sa tirannia, chiedendo: “Sardegna: ma c’è solo Cagliari?”. Con un approccio originale rispetto al tradizionale: non mugugni, ma ragioni; non secessioni, ma collaborazione; non pugni sul tavolo, ma riflessioni competenti. I sassaresi già ci sono a Cagliari e comandano, oggi come non mai. E sono attentissimi a fare l’interesse del proprio territorio, come ben sanno i sindaci o le associazioni che hanno a che fare con certi assessorati o con il banco di Sardegna.

Mario Segni e Arturo Parisi rappresentano l’ultima leva di quei sassaresi che siedono tra pari con i politici continentali. In tempi in cui la sola Francesca Barracciu partecipa al governo di Renzi e nessun nostro parlamentare della maggioranza, se non un emigrato illustre di seconda generazione( Luigi Zanda), ‘ha nome’ tra i senatori della maggioranza, ritornano gli homines novi di un tempo non lontano.

Vengono a mettere pace tra Sassari e Cagliari e a far ragionare su un fatto incontestabile: il cagliari-centrismo – anche consapevolmente incrementato ai tempi del centrodestra nei confronti della sinistra “Sassari” – non conviene alla Sardegna. Diciamo noi: è dispendioso e non funzionale a causa della marginalità geografica di Cagliari; è dannosa per le caratteristiche da città del terzo mondo nel quale si sta consolidando; è distruttiva dei ruoli delle altre città dell’Isola; è intollerabile nella sua attrattività demografica.

Perché si arriva a parlarne ora e con tanta urgenza?

Tutti i nodi degli ultimi tempi sono esplosi in pochi giorni, quelli della natura e quelli delle istituzioni: Olbia nuovamente sott’acqua, le istituzioni locali sarde l’una contro l’altra armate perché insicure del proprio destino, l’eterno tema dell’assenza di lavoro e della scadenza dell’assistenza. E in Consiglio regionale si discute del futuro delle province e dei comuni.

Olbia va rifondata e ricostruita nella parti in cui l’uomo si è opposto alla natura, ma valorizzando di essa quello che farebbe di questa città di fiordi marini e di stagni e ruscelli da incanalare una cittadina da sogno, superando il miserevole stato di dependance della Costa Smeralda, al quale troppo spesso i suoi concittadini si sono abituati e di cui inopinatamente menano vanto. Il conflitto è dappertutto: tra province, e asl, e comuni, e città metropolitane, e università, e dentro i comuni e le città. E dentro il partito egemone, il PD, le sue giunte, le correnti e i suoi leaders o capicorrente.

Questo contrastarsi continuo di uomini e istituzioni ha sostituito negli ultimi due anni in Sardegna ogni visibile conflitto sindacale. Il lavoro è allo sbando, quello di chi ce l’ha e quello di chi lo desidererebbe e non vuole vivere di assistenza. Come sempre, si dirà, o come succede da decenni: ma adesso ci si è stancati di denunciarlo o di attenderlo. Ci si combatte rosicchiando l’osso.

La lotta per l’esistenza tra le istituzioni riguarda tutti in Sardegna tranne Cagliari. Le istituzioni cagliaritane tacciono. Seppure la provincia dovesse concludere il suo percorso, alla città resterà tutto. Nella deprivazione diffusa, qui ogni servizio è destinato a durare, anzi a vedersi concentrare quello che altrove verrà chiuso. L’esclusiva logica della spending rewie, decisa secondo logiche e per contesti da noi lontani, e l’accettazione acritica della situazione demografica, punto di arrivo di innumerevoli scelte sbagliate non solo da parte dello stato, porta inevitabilmente in quella direzione.

La legge e le disposizioni ministeriali impongono un forma di unificazione delle due università, salvo pagare delle penali: come, dove, per quanto ancora si riuscirà a tergiversare? Intanto si batte cassa alla Regione. Se chiudono le province, le seguono le prefetture e i servizi connessi: da Oristano si ritorna a Cagliari (la soluzione Nuoro sarebbe anche peggiore … per gli utenti dell’Oristanese). E il discorso vale per tutte le cosiddette autorità, da quelle portuali ed economiche alle istituzioni culturali. L’operazione istituzionale va ulteriormente accelerando il processo di costizzazione della Sardegna e l’emarginazione del suo interno.

L’unificazione, con le diverse forme e sfumature, dei comuni viene invece sovraccaricata di attese e di soluzioni. Cioè: per risparmiare nelle province, si chiede a dei sindaci – che ricevono un semplice riconoscimento di 1.000 euro al mese (nella grande parte dei paesi che si propone di ‘unificare’), di sostituirle nei compiti più vari. In una situazione in cui tutti si scannano, i piccoli comuni (che la storia ha portato persino a differenze linguistiche che variano nell’arco di pochi chilometri) non si sa per quale miracolo dovrebbero scegliere e/o riuscire a negare parte della propria identità e a mettersi insieme, a fare unità ed a mettersi d’accordo.

Ma: ci si è chiesti che fatica sociale si sta imponendo ai nostri amministratori? Quale difficile e costoso protagonismo? Quali pericolosi esiti potrebbero sortire dalle difficoltà dell’operazione? Forse bisognerà farla, l’operazione: ma sapendo che, se si vogliono positive soluzioni, occorreranno altrettanti investimenti, in qualità e preparazione degli uomini innanzitutto!

Andiamo a decidere la Sardegna del futuro e ciò che non si vede da parte dei responsabili è il quadro d’insieme da proporre ai Sardi, chiamati ad un patto socio-istituzionale dal carattere epocale. Eppure tanto si è discusso negli ultimi decenni . Iniziamo a riprendere il discorso. Si dà prima di tutto una questione di metodo:

1. poiché sono in discussione tutte le istituzioni, il discorso deve essere generale e niente e nessuna attribuzione deve darsi per scontata;
2. la proiezione temporale delle decisioni va dal presente verso tempi non brevi (la prima autonomia è durata già settant’anni);
3. le questioni centrali sono quelle del lavoro attraverso le nostre risorse e quello demografico, delle popolazioni dei paesi e delle città;
4. ciò che ora siamo è frutto di decisioni tutto sommato recenti, che possono/debbono mutare, se non vogliamo restare nel presente impasse;
5. l’esigenza della riforma istituzionale per noi viene da lontano e abbiamo il dovere di intervenirvi secondo le nostre esigenze prima di quelle di qualsiasi altro.

Bisogna fare proposte convincenti, impedendo lo sfoglio di una margherita dopo l’altra. Sassari si batte, Oristano se la prende con il governo, e Nuoro? E gli altri comuni? Il Consiglio regionale non può non proporre loro un credibile e accettabile futuro.

2 Comments

  1. fra

    Ancora una volta Sardi contro, tanto per cambiare.
    Anche ai tempi della mia gioventù i Sardi del nord dicevano che Cagliari è terzo mondo. “Africa” dicevano, avida e vorace. Vivendo al nord, quasi ci credevo a questa favola dei Sassaresi colti e “superiori” che non potevano esprimersi al meglio perché deprivati delle risorse dai Cagliaritani ingordi.
    Ora la questione ripetuta in quegli stessi termini è un già visto poco convincente, quasi fastidioso.
    Olbia va rifondata, certo, e ricostruita, ma a spese degli stessi Olbiesi che l’hanno affondata per propria cupidigia. Quali sarebbero le colpe della politica cagliaricentrica nell’affondamento di Olbia?
    Trovo comico il punto della marginalità geografica di Cagliari. E Boston allora? E’ anch’essa marginale? Rassegnamoci, i fari sono sempre al margine estremo dei territori.
    Tutti quelli che hanno brigato , dico brigato perché non c’era alcun progetto politico alla base di quel delirio, per l’abolizione delle province, ora brigano per conservarne i servizi senza spiegare chi li dovrebbe gestire e come, in assenza dell’istanza territoriale abolita.
    Nessuno, neppure gli intelligentissimi sassaresi e nuoresi hanno pensato che forse andavano abolite le Prefetture prima e al posto delle Province, trattandosi di presidi governativi non democraticamente scelti.

  2. Riflessioni correlate…
    Il ruolo di Cagliari per la Sardegna nell’Europa che vogliamo

    Un tempo contestando il malgoverno della cosa pubblica in diverse realtà si diceva che anche la sola “buona amministrazione” costituisce di per se un fatto rivoluzionario. Mi è venuto in mente pensando all’esperienza amministrativa del sindaco di Cagliari Massimo Zedda e della sua Giunta. Fare una buona amministrazione per la nostra città come il sindaco ha cercato di fare ha aspetti positivi a vantaggio dei cittadini cagliaritani. E di questo occorre dare atto, come abbiamo fatto in diverse circostanze. Ma certamente non basta. L’amministrazione Zedda ha finito per rinchiudersi nell’ambito dell’ordinario, senza azzardare progetti strategici di lungo respiro dei quali la città ha invece ineludibile bisogno, pena l’acuirsi di processi di decadenza e marginalità. Ecco perché si avverte l’inadeguatezza degli attuali amministratori unita alla non credibilità che siano in grado di prospettare esiti diversi per il futuro. Cagliari non ha finora saputo esercitare quel ruolo decisivo che le compete: di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone (e dovrebbe poter disporre in misura maggiore) di risorse specifiche, che, al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate, cioè a tutti i sardi. In Sardegna abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase, come necessità, non certo, purtroppo, come visioni politiche egemoni e concrete realizzazioni e come attuale classe dirigente in grado di farsene carico. Al riguardo è richiesto soprattutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade debba essere l’Europa, non certo l’attuale Europa, che in questa fase storica sta dimostrando la sua inadeguatezza, proprio perché chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli, capace di accogliere nuove genti e con esse rigenerarsi. In questo recuperando i valori delle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione o Federazione di Stati è solo ancora un sogno, e l’integrazione politica rischia di arretrare anche rispetto agli scarsi attuali livelli.
    Allora Cagliari deve conquistare sul campo il ruolo di “città capitale”, sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa, della quale può rappresentare in certa parte le politiche per il Mediterraneo (soprattutto della sua sponda sud). Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro la stessa “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.

Lascia un commento