Ghilarza: Torre Aragonese – sabato 7 novembre e giovedì 3 dicembre ore 18:00 – Omaggio ad Antonio Gramsci [di Umberto Cocco]

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SardegnaSoprattutto organizza due iniziative a Ghilarza – Torre Aragonese ore 18:00 – con il patrocinio del Comune. Con Giorgio Fabre sabato prossimo 7 novembre e con il professor Adriano Prosperi il 3 dicembre. Diciamo dopo perché Ghilarza… Il primo appuntamento è sul libro di Fabre “Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato” (Sellerio Editore, Palermo) ovvero i tentativi falliti di liberare Antonio Gramsci dal carcere con l’interposizione del Vaticano e lo scambio con dei sacerdoti detenuti in Unione Sovietica.

Il secondo, vorrebbe sviluppare il tema che il professor Prosperi affaccia recensendo il libro di Fabre su La Repubblica: e cioè «quella sua (di Gramsci, ndr) speciale considerazione della Chiesa di Roma che ha lasciato tracce anche nei Quaderni». «Forse la più importante novità sulla questione dello scambio – aggiunge lo storico – riguarda il rapporto fra Gramsci e la Chiesa», esplorato anche attraverso l’archivio Andreotti.

Ne parleranno con lui, professore alla Normale di Pisa, accademico dei Lincei, il filosofo Silvano Tagliagambe e Andrea Oppo, giovane docente (ghilarzese) di Filosofia teoretica alla Facoltà teologica di Cagliari, studioso dell’ex Unione Sovietica, mentre, sabato prossimo, interloquiranno con Giorgio Fabre lo storico Gianluca Scroccu e Maria Antonietta Mongiu.

Ed eccoci a Ghilarza: «Il mio paese », scrive Gramsci un una lettera alla cognata Tania nel 1930. Forse si può aprire a Ghilarza una stagione interessante di appropriazione di Gramsci da parte della comunità, ora che non c’è partito che lo strumentalizzi, come molti non comunisti avevano paura che accadesse sino a qualche decennio fa. Certo, il Pci sapeva come fare a non ridurre Gramsci a mito del solo partito, anche in Sardegna.

Conosceva concetto e pratiche dell’egemonia culturale, anche grazie a Gramsci. Presidiava i rituali, le celebrazioni, a Ghilarza, Ales, Cagliari, il “Gramsci sardo” “scoperto” nella sua dimensione umana da Giuseppe Fiori a metà degli anni ’60 – con la biografia (“Vita di Antonio Gramsci”) alla quale anche Giorgio Fabre attribuisce moltissimi meriti – ma lo faceva con l’apporto di un gruppo di intellettuali di molte provenienze e di notevole spessore e prestigio.

Nel 1971 Vando Aldrovandi fonda a Milano l’Associazione Amici della casa Gramsci di Ghilarza: cognato di Giulio Einaudi, figlio di un musicista costretto a emigrare perché si rifiutava di eseguire l’inno fascista prima dei concerti, Aldrovandi è un bell’uomo alto e aristocratico medaglia d’argento al valor militare per il suoi trascorsi da partigiano, fondatore della Casa della Cultura di Milano con Antonio Banfi ed Elio Vittorini, poi della Libreria Internazionale in Galleria Manzoni che dirigerà sino alla morte, nel 1987.

Trascorreva settimane a Ghilarza e in Sardegna, c’è chi lo ricorda in giro per negozi di dischi a Cagliari alla ricerca del brano di musica classica da far precedere al comizio di Nilde Iotti, Presidente della Camera, prima che il segretario della Federazione del Pci infilasse la cassetta di “Bandiera Rossa”…. Con lui c’è ad animare quel rapporto Mimma Paulesu, figlia di Teresina Gramsci (la sorella prediletta di Antonio), che aveva sposato Elio Quercioli, deputato del Pci e vicesindaco di Milano con il socialista Carlo Tognoli.

Facevano ruotare attorno a Gramsci e conducevano a Ghilarza e in Sardegna insieme in uno stesso flusso operai della Camera del Lavoro di Milano e della Fiat di Mirafiori, ex partigiani, compagni di carcere di Antonio, intellettuali, Giulio Carlo Argan, Cini Boeri, artisti in concerto – Uto Ughi, Severino Gazzelloni – e Aligi Sassu, Ernesto Treccani, Giò Pomodoro, che facevano omaggio di sé e di loro opere, con gli storici di molte correnti, da Gaetano Arfè a Massimo Salvadori a Paolo Spriano, i curatori delle opere di Gramsci da Elsa Fubini a Valentino Gerratana, e i dirigenti politici di quegli anni da Pietro Ingrao a Nilde Iotti presidenti della Camera, a Badaloni, Marramao, Bufalini, Tortorella, sino a Sandro Pertini Presidente della Repubblica.

Trovavano in Sardegna per una incredibile coincidenza all’Università di Cagliari insieme Ludovico Geymonat e Silvano Tagliagambe, Clara Gallini, Paolo Rossi, Paolo Spriano appunto, Guido Davico Bonino, Nereide Rudas, e fra gli emergenti uomini politici non comunisti non lontano da Ghilarza Nino Carrus, per esempio, che partecipavano alle discussioni, nei luoghi gramsciani, animatori culturali, suscitatori di interessi, passioni, letture.

I ghilarzesi sempre un po’ ritratti, si affacciavano alla finestra per scorgere Enrico Berlinguer che transitava nella via fra la Torre Aragonese e la casa di Gramsci, e non riempivano loro le sale o le piazzette dove si tenevano le celebrazioni, anno dopo anno, ogni 27 aprile. Capitò un sindaco del Pci nel 1975, Tino Piras, che provò a intitolare a Gramsci il corso del paese sul quale s’affaccia la Casa Museo del grande intellettuale: non ci riuscì, per l’opposizione dei commercianti, la silenziosa ostilità dei cattolici. Rieletto nel 1990, non ci riprovò nemmeno.

Nonostante quella sindacatura, il paesone restava conservatore, bigotto, con circoli cattolici organizzati e qualche circuito massonico parallelo, il popolo composto di muratori, bravi artigiani della pietra e i figli man mano impiegati nei nascenti uffici territoriali, nell'”ospedaletto“, burocrazia del contado.

Non li attraeva il Pci, anzi. E circolavano ancora dei Gramsci ricordi troppo freschi, la disavventura del capofamiglia costretto al carcere per un ammanco nell’ufficio del registro di Sorgono, i loro sensi di colpa (dei ghilarzesi) per le compromissioni con il fascismo che aveva incarcerato e ucciso quel loro compaesano disarmato, e poi invidie e ammirazione per Nino, i fratelli e le sorelle così bravi a scuola, nonostante le difficoltà del vivere, sino alla riconquista del prestigio sociale, Teresina impiegata alle poste, e i figli – in parte ancora oggi viventi, Diddi insegnante di generazioni di ghilarzesi – con belle carriere professionali e accademiche.

Del resto Antonio Gramsci se lo ricordava così il suo paese, sorridendone: chiedeva notizie ai familiari dal carcere sui «Corroncu e Brisi Illichidìu e tia Juanna Calamontigu. Erano tipi originali, nella loro specie, più di tanti altri che andavano per la maggiore e che realmente erano noiosissimi e coi quali non si poteva scambiare altro che complimenti e salamelecchi».

Si dispiaceva della morte di «zia Nina Corrias. Povera donna – scriveva alla mamma – Credo che fosse molto brava, nonostante qualche sua innocente posa di superiorità continentale. E poi, ha certamente contribuito a svecchiare un po’ l’ambiente di Ghilarza, senza paura di urtare pregiudizi, istituzioni e persone. Ti ricordi il primo circolo femminile da lei propugnato? E quando fece seppellire civilmente il suo fratello censore? Che scandali, che brusii! Io ricordo proprio tutto e sebbene molte delle sue iniziative «progressiste» mi facessero ridere alquanto, penso che in fondo si trattava di cose serie e che lei ci metteva un fervore, encomiabile in ogni modo. Si è confessata e comunicata prima di morire?»

Poi è successo che quella stagione “milanese” della Casa di Gramsci e di Ghilarza è finita: non solo per la morte dei protagonisti, forse già prima minata dal prevalere di una posizione sardistica dentro il medesimo Pci sardo, come se fosse coloniale il rapporto dei milanesi con la Sardegna, con Gramsci, e prevalente la “loro” lettura rispetto alla “nostra“. E a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, forse inevitabilmente, l’edificazione togliattiana del mito di Gramsci si è volta se non nel suo contrario, certo in un accantonamento, Gramsci lasciato alla cultura (ci sarebbe da sperare), espunto dalla politica. Nessun dirigente di partito che lo metta nel proprio Pantheon personale.

Scriveva Leonardo Paggi in un articolo su il manifesto qualche giorno fa, rilevando la caduta di interesse per l’opera di Gramsci in Italia e il fiorire degli studi nel mondo: «Si finge così di dimenticare, con un po’ di filisteismo, che c’è di mezzo la sconfitta subita dallo schieramento politico che nella sua opera si era riconosciuto». E aggiungeva: «Gramsci potrà tornare ad essere parte della cultura italiana solo se riuscirà ad essere nuovamente intrecciato con una lettura del presente».

Così Adriano Prosperi cominciava la recensione del libro di Fabre su La Repubblica: «Uno dice: Antonio Gramsci. E quel nome gli apre agli occhi della mente un grande paesaggio, come accade con pochi altri nomi dell’intera storia civile e vita intellettuale italiana. Di Gramsci si legge e su Gramsci si riflette nel mondo intero». Ah, se i ghilarzesi diventassero finalmente orgogliosi di lui, senza paure….

C’è una nuova amministrazione comunale; i ragazzi della leva organizzano una settimana di musica classica, concerti di pianoforte, presentano un libro di Carlo Boccadoro (“Musica Coelestis“)… Nella biblioteca comunale ci sono i libri di Svetlana Aleksievic, solo qui e in due o tre altre biblioteche della Sardegna, naturalmente prima dell’assegnazione del Nobel, qualche settimana fa… Mentre il Circolo di Lettura non è più solo un bar: ha avuto in dono il fondo di Franco Corrias, già console italiano a New York, un’enorme biblioteca del figlio dell’ambasciatore Angelino….

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